Democratizzare l’intelligenza artificiale con Uljan Sharka, Founder e CEO di iGenius

 

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La storia di Uljan inizia in Albania e la sua infanzia è segnata dalla guerra civile.
A 16 anni decide di partire da solo ed arriva in Italia dove inizia a gettare le basi per il suo futuro. 

Si trova a dover imparare l’italiano da zero ma riesce a usare il suo background tecnico e la sua passione per il coding per trovare il suo primo lavoro nel settore IT. La vera svolta poi arriva quando Uljan prende in mano il suo primo iPhone e viene folgorato dalla user experience di Apple. Il suo nuovo sogno è quello di lavorare per la big tech di Cupertino. 

Uljan riesce ad entrare da Apple che aveva appena lanciato un programma di certificazione che gli ha permesso di avere tutte le skills necessarie pur non avendo studi universitari. 

Grazie a questo lavoro trascorre un periodo nella Silicon Valley dove si immerge in quell’atmosfera unica per l’innovazione e le startup che lo ispira e lo spinge a lanciare la sua impresa.

Uljan aveva sperimentato la mancanza di tecnologie dedicate alle aziende che avessero una semplicità d’uso come quelle sviluppate da Apple per gli utenti consumer. Nasce così l’idea di iGenius, uno strumento innovativo per la business intelligence e la data analytics. Ora iGenius, col suo prodotto Crystal, è leader del settore e a luglio 2022 ha raccolto 10 milioni di euro, per un totale di 30 milioni di investimenti e punta a quotarsi in borsa.

L’Italia ha dato un’opportunità a Uljan che l’ha saputa cogliere.

La sua è la dimostrazione di come sia possibile sfruttare l’italianità per raggiungere il successo internazionale anche in uno dei settori più innovativi e competitivi a livello globale. 

Scopri la storia di Uljan.

 

 Uljan sei nato in Albania e sei cresciuto con la guerra civile che purtroppo ha fatto da sfondo alla tua infanzia. A 16 anni hai deciso di lasciare l'Albania e ti sei trasferito in Italia. Raccontaci di questa decisione, che sicuramente non è stata una decisione facile, anche perché eri molto giovane. Perché hai deciso di provare a partire e come ti sei organizzato per renderlo possibile?

Sono nato tre giorni dopo che il Paese è diventato una democrazia e quindi sono cresciuto in un contesto in cui la prima democrazia poi è fallita dopo 5 anni, perché di fatto, come hai menzionato, il fallimento della democrazia, è sfociato poi in una guerra civile, quindi ho visto un intero Paese fallire e ripartire. Diciamo che questo ha un po’ cambiato la mia vita per sempre, credo di aver toccato con mano i due estremi della società in questa esperienza, quella parte che si approfittò della situazione opportunistica per fare male, ma anche quella bella, fatta di speranza, che vede in tali occasioni la possibilità di crescere, cambiare e fare la differenza. Dopo diversi anni la mia vita si era stabilizzata perché parliamo della guerra civile che è avvenuta nel 97, quindi fino ai miei 16 anni, ne avevo 5 durante la guerra civile, ho avuto la possibilità di riprendere gli studi, però mi sono trovato in un’Albania che era un Paese chiuso, quindi la voglia di provare nuove esperienze era molto forte. Ho cambiato Paese perché prima di tutto non credevo più nell'istituzione pubblica e privata che avevo avuto modo di provare, sia uno che l'altra, e perché ero affascinato dall'idea di ripartire da zero in un contesto in cui i modelli di successo erano diventati la storia di Apple, piuttosto che di Google, eccetera.

I tuoi genitori ti hanno fatto partire a 16 anni. Loro ti hanno spinto o è stata un’idea tutta tua e una voglia tua?

Era una voglia personale molto forte. Sicuramente il contesto e il mio passato oggi possono far pensare a questo contesto in cui ti devi separare dai genitori e devi concordare un'azione così forte in quegli anni. La guerra civile ha creato un rapporto, all'interno delle famiglie, che si era evoluto, non so se il termine giusto, però sicuramente è cambiato rispetto alla normalità, per cui io in un certo senso avevo già iniziato a staccarmi dalla mia famiglia all'età di 13 anni e ho iniziato a far le mie prime esperienze lavorative nel Paese, chiamiamoli tirocini per imparare. Quindi quella brutta esperienza della guerra mi ha sicuramente fatto crescere prima del dovuto e quindi questo poi ha portato una serie di conseguenze come quella di poter prendere in autonomia determinate decisioni a un'età che oggi può sicuramente considerarsi prematura.

E infatti avevi appunto 16 anni, non avevi neanche finito il liceo. Come hai trovato la prima opportunità lavorativa in Italia, che se non sbaglio era un tirocinio nel mondo del dell'IT, avevi delle conoscenze tecniche all'epoca? Parlavi italiano? Com'è andato questo arrivo, questo sbarco in Italia?

È stata sicuramente una partenza difficile, non parlavo italiano, avevo un background tecnico perché studiavo in autonomia sviluppo software, quindi scrivevo programmini molto basici rispetto a quello che può essere oggi un software che vediamo come prodotto, però questo background tecnico sicuramente mi aveva aiutato a impostare un mindset di un certo tipo, infatti sposo molto il grande statement di Steve Jobs che disse a un certo punto “tutti devono imparare a programmare”, perché questa cosa ti insegna come pensare, come partire da zero, da un foglio bianco e a costruire, un qualcosa che sia uno strumento, in questo caso un percorso di vita. Quindi ho iniziato con l'aiuto anche del sistema che è l'Italia oggi e lo era allora, oggi, forse ancora di più, molto organizzato per accogliere persone. Io ero ancora in minore età, possono scegliere dei percorsi di inserimento che vanno dall’imparare la lingua, accedere a percorso di studi. Infatti sono finito in questo pensionato, dove tra l'altro ho conosciuto anche alcuni dei colleghi che oggi lavorano insieme a me e quindi ho avuto quel cuscino sociale che mi ha permesso nei primi mesi di poter imparare la lingua da una parte e di potermi orientare da un punto di vista lavorativo. Quindi ho iniziato dopo una ricerca abbastanza complessa e tante porte chiuse in faccia con un tirocinio nel mondo IT grazie alle competenze che avevo, mi ha permesso di iniziare a costruire le finanze personali.

Posso chiederti come mai scelto l'Italia? Cosa ti affascina del nostro Paese? Perché non hai scelto un altro Paese in Europa o in America, direttamente, cioè come mai hai preso questa scelta di venire in Italia?

Mi sono affidato al caso e siccome la mia prima tappa dopo che ho lasciato l'Albania era l'Italia, mi sono trovato molto bene e quindi anche se avevo un'idea di andare verso Paesi anglofoni perché il mio percorso di studi mi aveva permesso di imparare bene l'inglese, che era un po’ la mia seconda lingua ai tempi. Poi mi sono trovato in Italia e mi sono trovato tanto bene, c'è un collegamento penso anche di valori che avviene in modo del tutto naturale, organico, che una persona, difficilmente può spiegare con le parole, però questo collegamento culturale è stato talmente forte che a un certo punto mi ha in un certo senso ha parlato e mi ha detto di costruire in Italia la mia vita e il mio futuro.

Abbiamo raccontato che il tuo primo lavoro in Italia è stato nel mondo IT con questo tirocinio che ti ha aiutato a partire e come dicevi anche a costruire le tue finanze personali, perché sicuramente quello era una fonte di stress grande per te. Ci hai detto che la vera svolta a livello lavorativo e anche di motivazione personale arriva quando prendi per la prima volta in mano un iPhone, che eri riuscito a prendere con un abbonamento, e hai capito che sarebbe stato il futuro. Ci puoi spiegare meglio questa cosa? Cosa intuito e cosa hai capito? Hai deciso che volevi in quel momento lavorare da Apple, com'è andato questo momento?

È una storia molto romantica quella con la Apple perché quando avevo la possibilità di acquistare un iPhone ed era un po’ la voglia di scoprire la qualità della Apple di cui tanto avevo letto, perché fino a quel punto avevo pochissima esperienza. Ovviamente di quei pochi anni in cui ho avuto la possibilità di utilizzare un computer per scrivere i primi programmi, piuttosto che poi lavorarci nel tirocinio che ho menzionato, l'acquisto di questo iPhone è stato trasformativo, perché in un certo senso ha materializzato quell'idea di qualità e quell'idea di soluzione a tutte le frustrazioni toccate con mano nell'IT precedentemente, quindi questo oggetto che racchiudeva sostanzialmente insieme quello che doveva essere la qualità di un prodotto software hardware e che quindi aveva come fine ultimo quello di servire l'utente da un punto di vista universale. Questo significa garantire un'acquisizione, naturale rispetto agli utenti e come questi possono poi utilizzare quel tipo di prodotto piuttosto che permettere a un utente con competenze tecniche molto limitate di poter sfruttare il massimo che la tecnologia poteva offrire, quindi rendere universalmente possibile, la tecnologia stessa, grazie a questo livello di qualità e di semplicità di utilizzo.

E quindi in quel momento hai deciso che avresti voluto lavorare da Apple e spoiler, ci sei riuscito, come hai trovato questo lavoro? Come l'hai cercato? Ovviamente non avevi qualifiche perché non avevi finito il liceo, forse lo avevi appena finito. Come sei riuscito ad entrare da Apple con tutte queste circostanze?

Sono rimasto affascinato dal mondo Apple, perché l’IPhone materializzava questo sogno che secondo me era un po’ di tutti, anche se ci sono quelli che fanno un po’ i duri e dicono che Android è meglio piuttosto che altri dispositivi che sicuramente hanno tutta una serie di specifiche tecniche fantastiche, ma quando si parla di user experience non si può negare la leadership della Apple. Quindi ho deciso a tutti i costi di doverne farne parte. Ai tempi la Apple non era ancora atterrata al 100% in Italia, c'erano i cosiddetti premium reseller che esistono tutt’oggi che erano il canale indiretto della Apple per aprire un nuovo Paese. Io ho iniziato a lavorare con uno di questi che mi ha permesso di accedere a quel mondo. Considerate che erano controllati quasi del tutto dalla Apple, che decideva esattamente anche la disposizione dei device all'interno di questi negozi e questa catena retail che appunto è stata quella che ha portato la tecnologia Apple in Italia e poi grazie a un percorso di certificazioni che mettevano a disposizione, sono riuscito ad accedere alla Apple Consultants Network. Era una rete indipendente di consulenti affiliati a Apple e che Apple utilizzava per servire le aziende, quindi quelle aziende che avevano come parte del loro percorso di digital transformation, azione di tecnologia Apple su larga scala e che puntavano soprattutto in particolar modo a utilizzare gli iPhone prima e poi dopo gli iPad per abilitare la mobilità presso le proprie operations. Vi immaginate aziende fatte di 10mila o più persone che avevano centinaia di manager che lavoravano a livello internazionale, che tramite questi dispositivi dovevano essere in grado di accedere patrimonio informativo dell'azienda ai vari applicativi enterprise in mobilità, quindi questo è stato un po’ il percorso che ho fatto, chiaramente un percorso estremamente intenso che per me è sembrato durare 10 anni, anche se in realtà sono stati poco più di due anni.

Hai passato un po’ di tempo negli Stati Uniti grazie al tuo lavoro e ne sei rimasto colpito, cosa in particolare ti ha attratto dalla cultura lavorativa americana?

L'accesso a Apple Consultans network e quindi la possibilità di lavorare con la Apple mi ha portato a lavorare sia in Europa che negli Stati Uniti, in particolar modo ho passato del tempo a San Jose e quello che mi ha affascinato è l'ambiente e quindi poter andare la sera in un in un bar, piuttosto che un ristorante, sentir parlare di storie pazzesche dove ci sono stati un paio di ragazzi che escono dalla Stanford e che con un tech di 15 pagine sono riusciti a tirar su 20 milioni. Se con quei 20 milioni hanno generato un miliardo di capitalizzazione nel giro di qualche anno, lasciando poi il segno sia in settori già stabili piuttosto che creando addirittura nuovi settori. Quindi questa fame e cultura che oggi direi che è anche troppo, però in quel momento, immaginate questo shock immediato che ti arriva addosso, dove appunto la sera sei abituato a parlare delle vacanze piuttosto che di come sta andando il lavoro, piuttosto che comunque una diversità di argomenti, e poi sei catapultato in questo mondo dove si parla solo di lavoro, si parla solo di disruption, si parla solo di startup e scaleup, quindi questo ha sicuramente portato a un cambiamento immediato di punti di vista su come bisognava approcciare il futuro e soprattutto cosa mi piaceva, perché credo che questo sia poi un collegamento anche molto personale. Molto probabilmente un'altra persona vede la stessa cosa in un modo diverso

Certo, è una bolla che quando sei dentro, gli inglesi dicono you live and you breeam questo mondo startup, quindi, poi ti dà anche quella carica e quella motivazione, se hai la personalità e il carattere giusto, quindi sicuramente un posto che ti dà molta ispirazione per innovare e fare qualcosa di davvero grande. Da questa sua esperienza negli Stati Uniti come nasce poi l'idea di iGenius, che è la startup che hai fondato?

La combinazione della mia esperienza in Apple con l’essere entrato in contatto con l'ambiente dell'Adiconsum Valley mi ha portato a sicuramente a uno spirito imprenditoriale, ma più voglia di costruire qualcosa, farlo con un team e farlo con un'ottica a lungo termine. Quindi questo tipo di idea che si va a inculcare nell'orizzonte, sia unito poi a una forte esperienza personale dove nell'implementare tecnologia Apple presso le aziende mi sono trovato molto spesso e volentieri a ricevere dei feedback che parlavano di quanto il mondo consumer era distante dal mondo Enterprise. Voi pensate oggi, ci sono investimenti di milioni, centinaia di milioni in alcuni casi miliardi di dollari euro che vengono investiti in sistemi formativi IT che non riescono a raggiungere l'efficacia delle applicazioni che noi scarichiamo gratuitamente come consumer sui nostri smartphone. Quindi la distanza di questi due mondi ci stava portando a un feedback in cui tutti mi chiedevano perché il dispositivo Apple o la Apple stessa non investe in semplificare, portare un approccio consumer a questi applicativi Enterprise, cosa che la Apple molto apertamente, pubblicamente aveva dichiarato di non voler fare, perché non è, diciamo il loro mondo e quindi da lì nasce l'idea di poter entrare in questo spazio con IGeniuns che sta per Information Genius, quindi quel pain riscontrato sul campo, trasformarlo in una soluzione che sostanzialmente poi avrebbe permesso alle aziende di colmare questo gap, questo digital divide che si è creato tra il mondo consumer e il mondo Enterprise per l'accesso ai dati. Come sapete si parla di big data e di data driven decision making ormai da tantissimo tempo, però la realtà è che le aziende hanno fallito più di una volta nel democratizzare l'accesso alle informazioni e la maggior parte non per una loro responsabilità, o voglia di fare o mancanza di fondi, ma perché la tecnologia a disposizione è una tecnologia che non è riuscita ad allinearsi con i trend consumer, dove l'utente oggi ha una linea di riferimento, quella dell'applicazione che può scaricare in pochi secondi o quella del parlare in linguaggio naturale con il dispositivo e poi trova nel mondo professionale, dove chiaramente ti trovi 15 applicativi anterprice che ti chiedono mesi di formazione per poter essere utilizzato.

Questo è un ottimo spunto per i nostri ascoltatori di lanciare qualcosa, trovando il problema nelle aziende in cui sei, perché ti dà un vantaggio che tanti non hanno. Hai usato un metodo molto interessante per accogliere i primi capitali. Ci puoi raccontare un po’ come hai fatto e come li hai raccolti?

Io sono partito come soul founder che è un grande punto di debolezza, sia agli occhi degli investitori, sia da un punto di vista di banda e possibilità di condividere determinate difficoltà iniziali o compiti iniziali per far partire la startup e quindi quello che ho fatto come prima cosa, considerando che senza un team di un certo livello questa idea non sarebbe mai realizzata, è stato costruire un business plan che valorizzasse correttamente, dall'impiego del capitale umano come elemento differenziante e cercare di in un certo senso scaricare a terra il valore del capitale umano, a prescindere da quello che poteva essere poi il risultato sul mercato. Quindi iGenius è partita con un piano dove doveva assumere immediatamente 20 persone, quindi creare una squadra molto forte per la prima fase di startup e l'ha fatto con l'idea di poi lavorare in due direzioni, da una parte riuscire a capitalizzare il grande lavoro che il team doveva iniziare un'ottica di asset, un'ottica di proprietà intellettuale, considerando la serie di fattori nel mondo dello start up può essere il Platform chief, quindi un momento di mercato laddove i trend sono talmente forti in modo da poter non solo capitalizzare chiaramente l'opportunità di mercato, ma anche la tecnologia che porterebbe. Scenario: i prodotti di iGenius non riuscissero a trarre vantaggio del mercato e dell'opportunità di questa finestra che si apre nel settore. Buttare in quel caso, capitalizzare la proprietà intellettuale che potrebbe interessare altri che sono stati più bravi di iGenius nel prendersi poi quella fetta di mercato, poi dall'altra parte, chiaramente comporre questa proprietà intellettuale in prodotti taglio proposition proprietaria che per iGenius si è tradotto in cristal, il nostro primo prodotto e ad oggi rimane comunque la nostra soluzione core, con cui abbiamo rappresentato la nostra visione, che è quella di umanizzare i dati all'intelligenza artificiale, alla pari per tutti, quindi democratizzare l'accesso alle informazioni e chiudere il digital divide, che è il mondo consumer ha creato nel nell'Enterprise.

Sei riuscito a raccogliere questi primi capitali usando questa tecnica di usare anche molti dati per convincere gli investitori? E come sono andati? Ci hai parlato un po’ della vostra missione, del vostro primo prodotto, ma a livello anche umano, come imprenditore, come sono andati i primi anni? Quali sono stati i momenti più difficili? Molti devono fare pivot sull'idea, non so se questo è stato lo stesso per voi, cioè l'idea con cui sei partito, poi si è rivelata quella giusta oppure ci sono stati problemi per crescere il team? Raccontaci un po’ di questi inizi.

Gli inizi sono stati sicuramente molto difficili perché stavamo entrando in un contesto di mercato molto complesso, un mercato della business intelligence, della analytics oggi conta centinaia, migliaia di soluzioni che nascono come i funghi, tutti i giorni probabilmente ne nasce un mercato molto importante che conta 50 miliardi spesi solo sulle licenze software e altri 100 miliardi di spese sui servizi professionali che abilitano questi software poi sui clienti e questo è stimato coprire meno del 30% del Total Addressable Market disponibile che potrebbe usufruire oggi della business intelligence. Quindi noi abbiamo iniziato con un'idea di assumere fin dall'inizio un approccio data driven, perché se dovevamo andare a vendere un prodotto che abilitava l'azienda ad essere datadriven, non potevamo non essere noi per primi, per cui abbiamo iniziato a creare un'alfa del prodotto e della soluzione del giro di 30 giorni per poi iniziare a presentarla in vari convegni in giro per il mondo per ricevere feedback e poi capitalizzare quei feedback. Questo processo di iterazione è durato molto, circa tre anni, poi abbiamo fatto un'uscita di mercato con un caso d'uso che non ha funzionato, perché era incentrato sul mondo del marketing, dove tra le altre cose avevamo partecipato anche al primo acceleratore di Facebook, che poi si è dovuto fermare perché c'è stato lo scandalo di Cambridge Analytica, quindi in realtà poi non c'è stato un secondo, però in questo primo acceleratore noi c'eravamo, una delle tre aziende selezionate al mondo da Facebook, il management si è spostato a Menlo Park per diverse settimane in cui abbiamo avuto la possibilità di validare il business model, abbiamo anche ricalibrato il nostro Business Plan. Peccato che quando poi siamo usciti sul mercato, abbiamo registrato migliaia di utenti con quel caso d'uso che era in fase, pre market test se vogliamo e abbiamo capito che quel tipo di caso d'uso non poteva monetizzare, ritorni e fatturato da lì a 3/4 anni, se non potenzialmente anche di più, anzi, col Covid sicuramente sarebbe andato oltre, perché le piccole medie imprese non avevano ancora, o almeno non credevano di avere ancora un patrimonio informativo su cui valeva la pena investire per usare l’Intelligenza, non comprendevano ancora il mondo del datadriven, quindi forti di questo feedback di mercato e se vogliamo anche del primo fallimento di go to market, abbiamo fatto un pivot sulla grande impresa in cui abbiamo sostanzialmente, con la stessa tecnologia lo stesso prodotto è la stessa proposition, esteso lo spettro dei casi d'uso, oltre al marketing siamo andati sulle operation, sulle vendite, sul controllo di gestione, poi successivamente anche sulle’HI e lì abbiamo trovato il nostro posto perché abbiamo avuto adopter che hanno firmato contratti pluriennali e hanno permesso ad iGenius di fatturare diversi milioni nei primi anni comunque di market test, perché poi lì abbiamo imparato altre cose, come per esempio che il modello funzionava da un punto di vista di marketfit, ma non era scalabile. E questo poi ci ha portati a raccogliere altri fondi con cui lo abbiamo reso scalabile e poi successivamente continuato il nostro percorso.

È molto interessante. Ci piace molto chiedere questa domanda sugli inizi e su come viene definito, poi veramente il prodotto, perché si parte sempre con un'idea che forse è quella giusta, ma poi quando si inizia a mettere tutto a terra ci sono tantissime piccole modifiche che si devono fare per arrivare, credo che le nominate tutte e tre no: come trovare il market fit, ma poi anche trovare un prodotto che possa monetizzare ed essere scalabile, soprattutto se uno vuole avere investimenti di venture capital, quindi sicuramente molto interessante vedere che avete affrontato tutte e tre le sfide e piano piano siete riusciti a trovare il fit giusto. Poi ti vogliamo fare un'altra domanda di una cosa interessante, tu comunque eri stato molto in America, lo abbiamo raccontato e questo tipo di prodotto, avete fatto l'acceleratore con Facebook, questo tipo di prodotto è questo tipo di società è più facile da fare in America perché c'è semplicemente ce ne sono di più e c'è un'infrastruttura più sviluppata, ma tu hai deciso di comunque basare l'azienda in Italia e non in America. Puoi spiegare perché hai preso questa decisione di rimanere in Italia con questa startup?

Diciamo in quella fase di esperienza di lavoro negli Stati Uniti mi sono sempre sentito un outsider, è difficilissimo sentirsi un insider all'interno della Silicon Valley, ma credo che questo valga in generale per mercati in cui non ci sei nato dentro, quindi non conosci lo storico e non hai una storia da raccontare, perché chi nasce lì quel background di Google piuttosto che di altre esperienze, parte già con una leva in più, che sia Stanford o Google, poi sono sicuro che comprendete il punto. Poi, oltre a questo ragionamento, l'altra cosa interessante che era venuta fuori dalla mia ricerca e che poi si è rinforzato con la grande esperienza che ha portato il team è il fatto che in questo mercato dove c'è un sovraffollamento di soluzioni e di investimenti, non si poteva vincere in alcun modo con una logica di miglioramento delle soluzioni che già esistevano. Quindi il modello non poteva essere “prendiamo la migliore possibile soluzione in linea con quelle che sono le aspettative del mercato, ci investiamo sopra per renderlo ancora migliore, quindi di poter salire di punti percentuali sopra la media al migliore che c'era in questo momento per prendersi poi delle fette di mercato”. Poi questo, unito alla nostra voglia di fare qualcosa di grande e di lungo termine, sin all'inizio abbiamo settato la direzione della nostra nave verso l’ IPO questo, non tanto perché nel mezzo non poteva succedere altro, ma per settare il tono dell'importanza di determinate decisioni che dovevano essere assolutamente giustificate anche da una linea di direzione e quindi sostanzialmente abbiamo deciso di seguire un approccio di cambio di paradigma, quindi, la nostra value proposition sarebbe stata diversa, non migliore di molti altri che stavano risolvendo lo stesso problema con tantissime soluzioni, tantissimi approcci e eravamo anche consci che questo poteva essere molto disallineato rispetto al mercato, che poi da una parte era difficile farla partire in un contesto in cui è tutto quadrato e tutti seguono dei trend in modo molto preciso, quindi raccontare un qualcosa di diverso, anche se può sembrare assurdo perché, dici, sei in Silicon Valley piace molto l'idea di fare qualcosa di diverso nel mondo della PI non funziona così, ma credo tutt'oggi. Se vai con una soluzione di PI davanti a investitori agli stage. Ci sono molto forti delle loro idee, quindi vedono il mercato in modo abbastanza evolutivo. Quindi l'idea era quella di rimanere un'outsider per questa prima fase di ricerca e sviluppo, eliminando anche eventuali rischi di perdita di know how all'interno di un mercato dove sicuramente c'era che aveva più capitali e capacità di noi, che poteva poi assorbire questo approccio e questo cambio di paradigma, poi la l'altra cosa magica che avevamo aggiunto alla nostra formula era l'idea di fare il software, di presentare il software, con un approccio qualitativo diverso, che era quello di collegare il nostro approccio di costruzione di questo prodotto con i valori dell'Italia, per cui costruire il software con lo stesso amore, con la stessa precisione, con la stessa qualità in cui l'Italia costruiamo la moda, il food piuttosto che in generale il modo manifatturiero italiano, diciamo la bandiera si porta dietro tutta una serie di valori qualitativi che tutti conosciamo e soprattutto il mondo riconosce. Queste sono state poi razionali dentro in modo disorganizzato, che ci hanno portato a partire in Italia, ma soprattutto a rimanere in Italia perché non abbiamo fatto parte della società in Italia per rimanere fuori dai radar e poi tornare negli Stati Uniti con l’approccio di trasferire, tutto il team in America, sappiamo che dovremo poi competere nel mercato americano e che l’IPO lo dovremo fare lì, però lo facciamo da italiani.

Interessante che appunto hai usato questa italianità che vediamo nei mondi più tradizionali, li hai citati, moda, design e il food in generale e portarlo al mondo software perché appunto abbiamo un'attenzione al dettaglio, all'estetica, si può creare un'interfaccia più piacevole, più facile da usare, che sicuramente è molto molto importante quando presenti un prodotto, anche se è un prodotto con un core molto tech, sicuramente l'abbiamo già sentito un po’ raccontare, però è bello scoprire così tante storie che fanno dell'italianità una forza. Però c'è anche l'altro lato della medaglia, ti volevo chiedere, comunque voi vendete in America, cioè i vostri clienti sono in maggior parte in US. Hai trovato scetticismo da parte dei clienti sul lavorare con una società software italiana piuttosto che americana, una volta che vai a vendere o non esiste questa paura?

Paura sicuramente esiste ed è comprensibile, soprattutto quando vai a lavorare con la fascia alta, comunque il grandissime aziende che hanno tutta una serie di temi di compliance e di gestione del rischio che giustamente vanno in modalità protetta quando si parla di lavorare con player che stanno fuori dagli Stati Uniti, può essere motivi culturali, normativi, eccetera eccetera. Noi ci riteniamo un'azienda internazionale, chiaramente abbiamo deciso di tenere la nostra testa in Italia con un'idea, un piano molto chiaro e ci piace raccontare quest'idea, questo piano, ne abbiamo fatto un elemento di forza. Per esempio, mi piace raccontare questa storia, quando noi andiamo negli Stati Uniti presentiamo l'immagine del nostro head qarter che è un bellissimo palazzo milanese che è stato poi rinnovato dalla proprietà e che noi abbiamo in affitto, rappresenta un po’ quel quella connessione di valori, culturali con il futuro e la tecnologia, perché è fatto di sensori, e quindi ha preso anche una delle certificazioni prime, certificazioni led e green più importanti in Italia e così via. Quindi tu pensa, noi raccontiamo l'azienda con l'immagine della nostra sede. Per noi questo vuol dire utilizzare il punto forza dell'Italia fuori dall'Italia, soprattutto nel mercato complesso come quello americano, cioè essere molto onesti e trasparenti delle proprie origini e trasformare queste in un punto di forza e non in un punto di debolezza. Chiaramente poi lo scetticismo c'è, bisogna vincerlo e questo lo puoi fare con un lavoro organizzato e soprattutto con la collaborazione di persone molto capaci che hanno portato più di un'azienda dall'Europa negli Stati Uniti, che quindi ti possono aiutare a mitigare quei rischi iniziali che magari un team giovane finisce per fare perché manca di esperienza.

E pensi che questo vostro modello, quello di iGenius, di basare la società in Italia ma di sviluppare prodotti in Italia e poi venderli in America sia un modello che può avere potenziale anche per altre startup italiane?

Io credo di sì, ne sono fermamente convinto e credo che questo trend è proprio all'inizio, sta già iniziando, e che sarà sicuramente uno degli elementi che porterà l'ecosistema italiano a diventare un sistema rilevante e a crescere anche più di altri sistemi che questa cosa l'hanno forzata, per esempio pensate alla Francia, questo tipo di approccio ha cercato di implementarlo a livello governativo, dove Macron ci ha messo la faccia per primo e ha investito diversi miliardi, però se vediamo dove sta l'ecosistema francese oggi, se vediamo e confrontiamo diciamo i tassi di crescita, sicuramente è molto meglio posizionato di quello italiano, però credo che in Italia la stessa cosa avverrà in modo organico che ci deve ci renderemo conto di quanto questi valori siano un elemento distintivo nel mondo, il mondo li apprezzerà e questo avverrà anche per un tema correzione dei mercati, dove gli investitori non guardano più solo alla capitalizzazione piuttosto che a tutte quelle che sono, le soft metrics, ma guardano se la società è profittevole, guardano tutti quei valori che oggi la piccola media impresa italiana rappresentano, perché un approccio molto familiare di gestire l'impresa, questo unito, poi un approccio scalabile e internazionale come quello che ha il tech, sarà il modello vincente per il futuro e l’Italia ben posizionata a cavalcare questa onda di crescita che si baserà sulle sue componenti più forti.

A luglio di quest'anno hai chiuso un round A+ di finanziamento che ha portato la vostra raccolta a 30 milioni di euro, un round molto importante per una startup italiana. Quel è stata la sfida più grande della vostra raccolta?

La sfida più grande della nostra raccolta è stata sicuramente quella di trovare gli investitori giusti, mi collego anche alla domanda precedente su come fa una startup italiana ad avere successo negli Stati Uniti. Una delle chiavi principali, oltre alla squadra che va in quella direzione siano i giusti investitori. Non ne faccio una questione di giusti o sbagliati, forse non sono i termini migliori da utilizzare, ne faccio un tema di fit, quindi trovare degli investitori che la pensano come te, che hanno una visione allineata rispetto al team, perché poi alla fine si finisce per diventare un’unica squadra e se si inizia e si continua con approcci e visioni, disallineate, questo può essere quello che uccide l'azienda. Quindi noi abbiamo incontrato tantissimi fondi e nonostante avevamo delle opportunità che stavamo portando avanti da mesi, poi alla fine siamo finiti per chiudere un round di investimento con fondi che abbiamo conosciuto alla fine del processo, perché abbiamo trovato un fit totale di allineamento e di visione.

Bisogna sempre parlare con tanti fondi diversi, perché non si sa mai. Ti posso chiedere se i fondi che poi alla fine hanno partecipato in questo round 30 milioni sono fondi stranieri o fondi italiani? Perché spesso si sente dire che in Italia non ci sono tanti fondi che mettono dei ticket grossi, quindi spesso si fermano a delle somme non molto importanti, quindi che chi sono i vostri investitori e siete andati all'estero?

Sicuramente era vero alcuni anni fa pensare che grandi capitali non potevano essere investiti in Italia dai fondi, tant'è che molti fondi, lo dicevano molto chiaramente alla prima call conoscitiva che si aspettavano il famoso flip societario, dove si aspettavano che il core team la testa dell'azienda venisse poi spostato nel mercato in cui operavano loro che poteva essere l’Inghilterra o gli Stati Uniti. È cambiato molto ultimamente e quindi noi nel incontrare vari investitori sia europei che americani nel processo non abbiamo visto un cambiamento di approccio radicale, dove viene cercata la qualità dell'impresa e del team e quindi c'è molta più flessibilità rispetto a dove si investono i soldi, soprattutto se riesci a spiegare in modo trasparente e significativo la strategia che c'è dietro il modello operativo e noi siamo finiti per portare a bordo due investitori italiani, è stata una scelta spinta dal fit più che dalla nazione. Non escludiamo che il B piuttosto che C e in avanti siano poi fondi internazionali o una composizione di fondi europei e americani per poter arrivare all'obiettivo.

Parlando proprio di obiettivo, dovevo dovevi di arrivare iGenius? Qual è l'obiettivo che ti sei posto con l’azienda?

È cresciuto con il tempo e questa è quella cosa che puoi dire guardando indietro e sicuramente noi siamo partiti con l'idea di rivoluzionare il mondo dell'analytics, della business dell'intelligence e questo lo stiamo facendo, stiamo facendo tanti progressi, però nel frattempo si sono verificati tutta una serie di feedback del mercato dei clienti che ci hanno permesso di amplificare il nostro modello di business e di prodotto, per cui noi abbiamo un piano di 10 anni che è iniziato nel 2016 e punta di concludersi nel 2026, dopo il quale abbiamo l'obiettivo poi di approcciare i mercati pubblici. Chiaramente c'è ancora tanta strada da fare, però puntiamo di creare un leader di mercato, in quella che sarà la onda di trasformazione del mercato della business intelligence, ma in generale del software BtoB Enterprise, in cui crediamo che ai Genius possa appunto prendere una fetta di mercato e diventare un leader del proprio segmento. Chiaramente ci sono tante sfide che dobbiamo vincere nel frattempo però la nostra nave indirizzata in quella direzione, in questo momento.

Su questo podcast ne parliamo quando uno fa startup e lo vuole fare in un certo modo, si fanno tanti sacrifici per far crescere la startup a una velocità così intensa, a te cosa ti tiene motivato quando il gioco si fa duro, quando magari ricevete dei no le cose magari non vanno bene. Cosa ti tiene lì ogni giorno e ti spinge a comunque sacrificare la tua vita personale e lavorare duro tanto sempre?

È una cosa condivisa che non riguarda solo il sottoscritto ma tutto il team. Abbiamo una fame di riuscire a costruire un prodotto che possa lasciare il segno che possa in un certo senso fare quello che ha fatto l’iPhone, piuttosto che altri prodotti che sono stati trasformativi per la società. Chiudere quel divario di diseguaglianza che oggi c'è nella società. Se oggi pensate al grande divario che si è creato dalla piccola media impresa, alla grande impresa in tutti i settori si parla tantissimo di democratizzazione, intelligenza artificiale però molti sono lasciati fuori da questo percorso di disruption continuo che va a tutti i livelli. L'idea di creare strumenti che permettono alle imprese di competere alla pari è sicuramente quello che ci fa svegliare presto la mattina e qui parlo a nome del team, che ci fa andare tardi a dormire la sera, questo è un po’ la nostra benzina e di poterlo fare insieme chiaramente.

Poi abbiamo parlato un po’ della tua storia all'inizio di questa chiacchierata, quindi volevo fare anche delle domande per riguardarlo un po’ all'indietro. Tu non so se hai avuto tante occasioni di farlo, ma se ripensi un po’ appunto al tuo background, anche al momento in cui sei dovuto partire, lasciare la tua famiglia, la tua casa, per arrivare poi in Italia che avresti mai pensato di arrivare dove sei ora? E che sogni avevi in quel momento? E si stanno realizzando in questo tuo percorso?

È un'ottima domanda, sicuramente da quando ero piccolo avevo l'idea, sicuramente influenzato dalle difficoltà socioeconomiche, vedere un paese fallire e poi ripartire da zero, quindi avevo quest'idea, questa voglia di costruire. Non ho mai avuto aspettative, mi piace molto prendere questo percorso con calma e con molta pazienza, anche se di pazienza chi mi conosce direbbe che non ne ho. Sapevo non ero però in realtà, se mi vedo dove sono oggi mi ritengo molto fortunato, nel senso ho potuto portare il mio contributo e la mia voglia di fare all'interno di gruppi di lavoro, all'interno di squadre, che hanno poi la capacità di far succedere le cose, perché chiaramente se ti vedi da solo, con un altro tipo di team, un altro modello del passato, sicuramente non sarei arrivato fino a qui, per cui oggi devo molto al team e oggi mi ritengo un CEO che sono al servizio di iGenius, sono sempre pronto ad aiutare il team in qualsiasi momento, che si tratti appunto di prendere decisioni o anche di mettere le mani in pasta per risolvere una serie di problemi dove abbiamo bisogno, perché quando si è una piccola azienda, lo sapete benissimo, bisogna veramente avere questa flessibilità, per cui ecco un approccio dove mi ritengo fortunato di aver avuto la possibilità di lavorare con persone eccezionali per raggiungere questi risultati e con questo approccio credo che arriveremo molto lontano, però ci vuole, in America, dicono “you have to be humble”, io dico “bisogna essere molto umili”, perché viviamo in un contesto dove è diventato tutto molto imprevedibile e dove le storie di successo che oggi impostano il modello di molte nuove giovani imprese non sono più attuali, perché abbiamo un contesto in cui ci nascono, se non sbaglio, oltre 100mila startup ogni giorno e ne muoiono altrettante, quindi il contesto è estremamente competitivo e ci vogliono valori diversi per poter navigare questa complessità.

Poi invece, a livello personale, ci fa molto piacere sentire la tua risposta sul team, perché lo sappiamo, lo diciamo spessissimo sul podcast ad nauseam diranno forse i nostri ascoltatori: quando si vuole fare startup, il team è la cosa più importante, trovare le persone giuste con le quali crescere è importantissimo e poi poterle motivare a rimanere e a dimostrare tutto il loro potenziale, è tutto un lavoro a sé, quindi quello sicuramente è una grande sfida anche come CEO tua, ma, se guardi a te, alla tua imprenditorialità e a te come imprenditore, a te come CEO, pensi che la tua storia personale ti abbia dato una motivazione, una spinta diversa che altri non hanno, oppure anche più generalmente, da dove viene questa tua voglia di arrivare ad a obiettivi così ambiziosi?

Sicuramente non posso dire di essere avvantaggiato di un percorso personale complesso, dove ho potuto fare tutta una serie di esperienze personali, soprattutto nella relazione con le persone, ai tempi in Albania vedevo molte firme di contratto, avvenivano con una stretta di mano e vederle fallire piuttosto che altre sopravvivere ti dà sicuramente accesso a una serie di soft skills che poi sono molto utili nel mettere insieme una squadra e, appunto servire una squadra con l'idea di poi raggiungere il successo, però credo che dall'altra parte mi sono mancate anche tutta una serie di altre esperienze che viceversa, per esempio un altro CEO oggi porta nel proprio bagaglio, quindi credo che alla fine la diversità si trova nel team non tanto nel singolo, per cui se tu porti una parte, che sia quella delle soft skills piuttosto che delle hard skills, quella di essere cresciuto in un ambiente complicato come quella di una guerra civile, piuttosto che essere laureato in una delle migliori università al mondo, piuttosto che in Italia. alla fine questo si normalizza con l'idea che una persona da sola non può far niente senza il team, e se metti in piedi il team giusto e crei un complemento di tutte le parti che servono per raggiungere il successo, credo che alla fine questo è quello che faccia la differenza per il sottoscritto ma anche per altri, appunto CEO, che magari dispongono di un percorso diverso e devono acquisire dal team altri tipi di esperienza.

Abbiamo parlato di tutti i successi di iGenius, il fatto che comunque sta crescendo molto velocemente questo vostro ultimo round sicuramente, e la raccolta totale che avete raggiunto, sicuramente è una delle cose che lo dimostra, tu riesci a goderti questi tuoi successi? Se ti faccio una domanda anche prima, cosa vuol dire per te successo e riesci a godertelo, riesci a capire tutti i momenti in cui stai raggiungendo dei milestones e riesci a guardare indietro e a essere fiero di quello che hai costruito e che avete costruito insieme come team?

Assolutamente, noi abbiamo un processo di misurazione dei nostri obiettivi a risultati molto strutturato, quindi ci fermiamo come team diverse volte nei12 mesi, quindi nell'anno fiscale per andare a fare una retrospective degli obiettivi che abbiamo raggiunto anche di quelli che non abbiamo raggiunto, quindi siamo in grado, grazie a questo approccio data driven, poi di festeggiare i milestone, perché è assolutamente importante festeggiare il raggiungimento degli obiettivi, ma anche di cambiare e adattarci in modo molto veloce a quelli che sono i segnali invece negativi che ci hanno portato a non raggiungere determinati obiettivi e come possiamo fare sì che possiamo raggiungere nel futuro. Poi lavoriamo molto anche per chiudere il gap, perché poi il tempo è l'elemento più critico nel percorso di costruzione di un'impresa. Quindi credo che oggi sono assolutamente fiero, come lo è qualsiasi team membro di iGenius, che vede il nostro prodotto nelle mani di grandi aziende che ne traggono benefici, ma soprattutto ci danno anche feedback molto soddisfacenti rispetto a come lo utilizzano e quanto i loro utenti finali sono felici. Abbiamo una fame di successo molto, molto più grande. Devo dire che questo sicuramente ci limita un po’ nel godere di questi piccoli traguardi. Nel frattempo abbiamo questa fame di successo dove vogliamo veramente che iGenius passi, noi diciamo che siamo passati con la fase di scaleup dal nuotare in una piscina a fare il bagno al mare, adesso arriverà l'oceano e quindi si fa sempre più interessante, quindi questa cosa qui secondo me poi è fondamentale perché sennò poi ci si siede e sai, obiettivi così importanti sono la tensione positiva e sana.

Ed è esattamente un po’ il motivo per cui ti volevamo fare questa domanda. Ci piace fare questa domanda perché c'è sempre un po’ quella tensione, come l'hai descritta, tra godersi il proprio percorso e i propri successi, perché altrimenti uno si può chiedere perché stiamo facendo tutto questo, e però dall'altra parte, bisogna continuare a tenere tensione sull'obiettivo, perché devi comunque arrivare, continuare a crescere, soprattutto quando le ambizioni sono così grandi, quindi lo hai descritto molto bene. Siamo arrivati alla fine della nostra intervista che finiscono sempre con la stessa domanda, in questo caso ancora più importante per te, perché la tua italianità è acquisita ma non meno forte. Ti volevamo chiedere appunto in che modo questa tua italianità ti ha aiutato nel tuo percorso e ti aiuterà a raggiungere tutti i successi che ti sei prefissato?

Io credo che senza questo iGenius oggi sarebbe dove si trova. Sono abbastanza convinto che in un contesto americano piuttosto che di altri paesi europei, non sarei riuscito a portarlo a questi livelli, insieme al team e credo che sarà l'elemento differenziante che ci permetterà di provare a creare un leader di mercato nel futuro. Questo principalmente perché credo che noi italiani abbiamo senz'altro un modo di vedere le cose diverso, e anche qui sono sempre neutro sul fatto che non è migliore o peggiore, però oggi, in un mondo che si standardizza, dove c'è uno standard su ogni cosa, pensare fuori dagli schemi, e noi lo riusciamo a fare molto bene, credo che sia un elemento determinante per il successo. Quindi credo che questo farà la differenza, ha fatto la differenza fino ad oggi e lo farà ancora più nel futuro.

Bellissimo, grazie Uljan di averci raccontato la tua storia, che sicuramente è molto interessante nel suo inizio, ma soprattutto tutti i successi, tutto il lavoro che hai fatto per crescere iGenius, portarlo dove è adesso e poi ovviamente a scalare ancora di più, arrivare all’IPO, se quello sarà il modo giusto di fare la vostra exit o di continuare la crescita di iGenius, ma comunque ovunque arriviate in bocca al lupo per questo percorso e speriamo di reinventarti presto sul podcast per sapere come stanno andando le cose.

Crepi il lupo ed è stato un vero piacere. Grazie.

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