Maddalena Adorno, Co-Founder & CEO Dorian Therapeutics

 

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Dorian Therapeutics è una startup biotech basata a Palo Alto nel campo della longevità. Maddalena ci porta in un entusiasmante viaggio nel mondo della ricerca in Silicon Valley e ci spiega come e perché le università, ed in particolare Stanford, giocano un ruolo centrale nella continua crescita ed innovazione che vediamo in Silicon Valley.


Per molti versi la storia di Maddalena è un perfetto esempio di come prendere rischi, anche nel campo della ricerca accademica può portare a grandi risultati. Maddalena ha un'intuizione, lontana dallo scopo originale della sua ricerca post-dottorale, che segue fino a pubblicare un paper sulla rivista Nature che sarà il “breakthrough” in medicina per quell’anno. Realizza una scoperta rivoluzionaria: il meccanismo che ritarda l’invecchiamento.


Da lì, una serie di decisioni, la porta, insieme alla sua co-founder Benedetta di Robilant, ad entrare a Y Combinator e dopo quel percorso nascerà Dorian Therapeutics, una startup biotech che sta sviluppando farmaci innovativi per bloccare l’invecchiamento e rigenerare i tessuti del corpo. In questa chiacchierata Maddalena ci spiega anche il meccanismo complesso del go-to-market per le aziende biotech.

 

TRASCRIZIONE EPISODIO

Camilla Scassellati (00:00:26) – Maddalena, sono molto felice di averti finalmente. Qual è la tua storia? Una storia che utilizzeremo anche un po’ per capire il mondo accademico americano. Forse dovrei dire californiano, perché la tua esperienza è proprio a Stanford, che è l'università che in un certo senso siede un po’ al centro della Silicon Valley. Ma ti farò raccontare un po’ quello che rappresenta per sia il mondo accademico che imprenditoriale. Perché appunto, hai proprio fatto il salto da dall'Accademia all'imprenditoria. E vorrei anche usare la tua storia un po’ per comparare in un certo senso il mondo accademico italiano al mondo accademico americano. Perché di nuovo hai vissuto in mezzo a questi due mondi e anche tu fatto il salto da dall'Italia all'America. E quindi vorrei partire dalla tua scelta universitaria. Quindi hai studiato biotecnologie mediche all'Università di Padova che diciamo, era l'università la tua regione. In un certo senso ci puoi raccontare un po cosa ti ha portato a scegliere quella materia e quindi di decidere di studiare biotecnologie mediche.

 

Maddalena Adorno (00:01:23) - Certamente quando era il momento di iscrivermi all'università io ero convinta di fare medicina e proprio in quell'anno a Padova hanno aperto per la prima volta il corso di biotecnologie mediche. Fino ad allora c'era solo a Bologna una sede aperta da due anni, che combinava un po’ le due cose che per me sono centrali in quello che voglio fare da un lato la medicina al servizio del paziente e dall'altro l'aspetto dell'innovazione. Quindi creare qualcosa di nuovo, non solo trattare i pazienti con quello che esiste già, ma avere un nuovo approccio in queste biotecnologie mediche rappresentava esattamente questa intersezione tra le due cose e quindi siamo partiti come gruppo di biotecnologie mediche era eravamo un po’ pionieri da quel punto di vista e sono poi diventata anche presidente italiana dei biotecnologi proprio per cercare di disegnare questa figura che non è solo una figura di scienziato, ma una figura di scienziato innovatore proprio per definizione.

 

Camilla Scassellati (00:02:23) - E infatti hai scelto di seguire questa strada di biotecnologie mediche fino al dottorato, se non sbaglio. Hai studiato, hai fatto un dottorato in medicina molecolare studiando proprio le metastasi del cancro che poi giocheranno una parte importante nel tuo percorso. Però mentre stai facendo il dottorato ti sei resa conto che con biotecnologie mediche mancava un po’ il rapporto con il paziente che per te era un Forse ti sei resa conto il driver del perché ti piaceva e ti interessava la medicina, magari da ragazza e hai deciso di iscriverti al primo anno di medicina e quindi di studiare medicina dall'inizio mentre facevi il dottorato che detta così sembra una scelta folle. Quindi ti volevo chiedere di raccontare un po’ questa scelta perché l'hai fatta. Forse un po’ l'ho anticipato, ma anche perché hai dovuto ricominciare dall'inizio. Non se non c'era un modo di combinare le due cose in modo più semplice.

 

Maddalena Adorno (00:03:17) - Sì, in realtà non sono proprio partita. All'inizio ho potuto cominciare da Ho. Ho fatto gli esami che mi mancavano dei primi anni e poi sono partita da lì, insomma. E la scelta era proprio quella di combinare la mia educazione da un punto di vista di ricerca al contatto con il paziente. In America esiste la figura di PhD, che è quindi una persona che fa il dottorato in Medical School. Contemporaneamente è proprio un cammino tradizionale della formazione del medico può essere un medico normale oppure un medico ricercatore e questo cammino manca nel landscape italiano e quindi l'ho creato da me appunto non son dovuto proprio partire dall'inizio perché comunque c'erano molte cose in comune tra biotecnologie mediche e medicina ma altri esami li ho dovuti rifare insomma e quindi sono partita con questo doppio percorso per creare il mio team di PCT che poi in realtà è stato anche quello che mi ha spinto verso Stanford nel senso che a Stanford, quando io stavo cercando un post-doc, ero soprattutto attratta da posti dove un cammino come il mio sembrava un cammino totalmente normale. Quindi a Stanford essere in clinica e fare ricerca in parallelo era la prassi.

 

Camilla Scassellati (00:04:50) - Si sa che è vero anche l'opposto in Italia se non sbaglio cioè che se tu vuoi fare medicina per fare solo il ricercatore devi comunque avere qualche tipo di rapporto con il paziente. Mentre per esempio, sempre negli Stati Uniti, puoi essere anche semplicemente ricercatore senza fare il medico in ospedale o avere dei tuoi pazienti. Quindi diciamo che la medicina in Italia in un certo senso richiede i due lati. E invece non avendo una laurea in medicina come biotecnologo non potevi interfacciarsi con i pazienti. Quindi ti sei dovuta un po’ creare questo tuo percorso che immagino sia stato complicato sul momento, decidere un po’ quello che fare per terra per scegliere un po’ il tuo futuro. Mi puoi parlare un po’ di quali sono i tuoi migliori ricordi dell'università in Italia? Quali sono le cose che ti sei portata poi avanti? Ti porti ancora dentro di te, di quella, di quel tuo percorso iniziale?

 

Maddalena Adorno (00:05:44) - Beh, gli anni di Padova restano gli anni più belli della mia vita. Da un punto di vista di sviluppo personale, di crescita. Sono comunque stati anni incredibili. Prima di tutto, appunto, biotecnologie mediche. Era un nuovo corso di laurea che abbiamo un po’ creato noi, quindi il fatto di essere al centro della mia stessa educazione e di essere coinvolta con Palù nel decidere ok. Il professor Palù era molto coinvolto nel disegnare con noi un corso di laurea che prima non esisteva e con esso una professione che non esisteva. Quindi questo cammino è stato molto affascinante e Padova resta anche un centro in cui la professione accademica è quella di molti universitari e clinici. Ha una storia, una profondità che non si trova altrove. Quindi ho trovato anche grandissimi mentor all'Università di Padova, una persona che mi ha dato un insegnamento che poi mi è rimasto negli anni è stato un primario di oncoematologia a Padova che adesso purtroppo non è più tra noi e il professor Basso e quando io ero in crisi che non sapevo cosa faccio medicina vado all'estero non vado all'estero faccio la tesi a pediatria la faccio in genetica eccetera. Lui preso del tempo nonostante non fosse un mio professore diretto per parlare un po’. E è una cosa che lui mi ha detto e ha detto Maddalena non importa quello che fai non importa esattamente dove fai la tesi. Qualsiasi cosa decidi di fare, falla bene. Questa è la cosa più importante. Falla bene. E questo resta per me una cosa cruciale. Nel senso, invece di perdere troppo tempo a disegnare tutti i dettagli che dopo diventano anche imprevedibili nel lungo tempo e nel lungo termine.

 

Maddalena Adorno (00:07:45) - Perché le cose cambiano, le cose evolvono. Però qualsiasi cosa ognuno faccia, se ci mette la passione e l'intenzione veramente giusta, ha dei risultati positivi.

 

Camilla Scassellati (00:07:57) - Insomma, sei un bellissimo insegnamento, anche perché se poi uno fa le cose bene, come dicevi, magari viene notato dal professore, ti crei un po’ il tuo l'aura intorno a te e quindi poi riesci di solito a districarti anche in mondi complicati come il mondo accademico italiano e ci raccontato un po’ di perché ci sei? Perché ti sei avvicinata a Stanford con questa figura, Però vorrei parlarne un po’ di più proprio nella pratica di come hai preso la decisione di andare a Stanford dopo appunto questo percorso in Italia. E quando ci siamo per la prima volta ti sei auto descritta come molto italiano fila e nel tuo cuore non avevi nessuna voglia o ambizione di andare in America. Quindi quasi una cosa che hai fatto tra virgolette, inizialmente controvoglia perché volevi provare a rimanere in Italia. Quindi ti volevo proprio chiedere appunto praticamente com'è andata, a cosa hai dovuto fare? Perché hai deciso di andare?

 

Maddalena Adorno (00:08:55) - Sì, hai ragione, mi definisco italiano fila e al massimo europeo. Nel senso che comunque l'identità europea per me è estremamente forte. La scelta dell'America è stata un po’ guidata dal fatto che comunque, soprattutto per alcuni settori della medicina, fare ricerca a Stanford voleva dire fare ricerca al 100%, nel senso fare veramente provare veramente cosa vuol dire la vita del ricercatore. Per me questo almeno rappresentava venire a Stanford dire ok, stai facendo questo cammino di nuovo, prova farlo al 100%, farlo al 100% per me voleva dire andare in un centro di fama internazionale in cui la gente giorno e notte usava le proprie energie per fare ricerca al massimo livello. Quindi questo era un po’ quello che volevo fare. Inizialmente l'idea era di andare A1O2 anni e quindi fare un breve una breve vacanza. Vacanza lavoro all'estero e avere questa esperienza di Stanford. Quindi la prima volta quando sono andato a fare la mia interview di lavoro per Stanford, era la prima volta che andavo in America. Non avevo mai messo piede in America.

 

Camilla Scassellati (00:10:18) - E cosa ti ha colpito? Appunto il tuo arrivo a Stanford? Un po’ anche a livello umano.

Come hai vissuto i primi e i primi giorni? Mesi di Stanford?

 

Maddalena Adorno (00:10:30) - Sì, beh, per chi è stato a Stanford sa che l'arrivo a Stanford è da un punto di vista emotivo molto strano ed ha un effetto, un effetto emotivo molto forte. Sembra un po’ un parco divertimenti perfetto. Non c'è una foglia fuori posto, la gente corre, ci sono le palestre all'aperto, la gente che studia seduto sull'erba quindi sembra questo posto idilliaco di ricerca e di sviluppo insomma. E quando sono arrivata io per la prima volta era aprile e in Italia si moriva di freddo lì c'era questa temperatura mite e accogliente quindi faceva un effetto incredibile. Poi la gente è anche molto aperta a Stanford c'è gente da tutto il mondo, quindi rispetto anche ad altre parti dell'America o altri paesi anglofoni, anche l'Inghilterra stessa, Stanford e la West Coast sono molto più socievoli e aperti all'ingresso di nuove persone e italiani, anche con il loro forte accento, con la loro mentalità. Insomma, in genere.

 

Camilla Scassellati (00:11:53) - Sei talmente abituato a giudicare le persone per quello che è, come nel modo in cui pensano e diciamo alla ricerca il lavoro che producono, che magari cose come non parli inglese perfettamente o ti comporti in modo diverso dalla norma tra virgolette la norma BNP in American non importano quindi immagina che sia un bellissimo ambiente nel quale arrivare anche difficile sicuramente perché immagino anche ultra competitivo no.

 

Maddalena Adorno (00:12:19) - Sì sì sei decisamente estremamente competitivo anche se c'è molta collaborazione tra gruppi e tra persone però rimane che ogni persona sta lì per un periodo di tempo limitato e ogni persona è lì per lasciare un'impronta duratura quindi ognuno è lì per massimizzare l'effetto nella loro nella propria vita quindi questo crea un sacco di pressione in ogni singolo individuo nel portare a casa il più possibile insomma. Quindi come ambiente è un po’ un ambiente molto competitivo. La figura tipica di Stanford è la papera. La papera in superficie sembra tranquilla, sembra che si sta godendo l'ambiente sott'acqua e invece sta muovendo le sue le sue zampe il più veloce possibile per andare avanti. E questa è l'immagine di Stanford rilassato in superficie, che fa sport di bella presenza ma che in realtà sta lavorando al massimo alla massima potenza per essere dov'è.

 

Camilla Scassellati (00:13:31) - Insomma una bellissima figura. Effettivamente se dico anche per gli ascoltatori, se avete visto il video di cosa succede sott'acqua quando le papere nuotano, rende benissimo l'immagine e come ho detto nella mia piccola introduzione quando abbiamo iniziato a chiacchierare, Stanford giocherà un ruolo abbastanza importante nella nostra serie. Parleremo di Stanford durante tanti degli altri episodi. Quindi ti volevo chiedere se ci puoi raccontare un po’ quello che significa Stanford nella Silicon Valley, un po’ qual è il ruolo di Stanford, come diciamo uno delle due università o due tre università principali di quella della zona? Io penso a Berkley poi forse

 

Maddalena Adorno (00:14:15) - Sì, appunto. La storia di Stanford è un po’ interessante perché è arrivata ultima qua nella Silicon Valley come università c'era già l'Università di San Francisco io sia SEF c'era Berkeley e entrambe erano poli di eccellenza per come università. Nel 1885 nasce Stanford come università privata. È stata fondata in realtà dalla famiglia Stanford, che era molto coinvolta nello sviluppo delle ferrovie perché il loro figlio Dylan Stanford, era morto proprio in Italia tra l'altro di tifo e quindi avevano deciso di investire i loro capitali nell'aprire questa università. Quindi università relativamente giovane ma che si è imposta a livello mondiale come uno dei leader universitari in diversi settori. Quindi la scuola di business è molto famosa matematica, fisica, medicina sono tutte punte di eccellenza di Stanford. Al momento a Stanford ci sono venti Nobel Price, quindi venti premi Nobel viventi e altri 16 che ormai sono deceduti però quindi una densità di premi Nobel che si vede in pochissimi posti insomma è uno dei degli aspetti di Stanford che la rende unica è proprio quello della connessione con l'innovazione. Quindi c'è molta ricerca molta ricerca di base ma anche molta transizione di questa ricerca al di fuori quindi creare impresa a partire da dall'università. Esempio famoso Google, è tutto partito da lì insomma e molte menti appunto fanno riferimento a Stanford come centro di eccellenza da cui partire. L'altra cosa secondo me interessante di Stanford è l'influenza che ha avuto la di School la scuola di design e quindi il design non solo applicato ad oggetti ma da applicato a idee e all'innovazione e anche alla vita stessa nel senso l'idea del prototipo che viene testato e poi le iterazioni fatte sul prototipo stesso. Di volta in volta questo concetto è diventato un concetto da applicare all'azienda e applicare anche alla vita privata. E questo non è che viene necessariamente insegnato a ogni singola persona che va a Stanford, è semplicemente che questi concetti permeano le persone che sono lì così tante che dire che l'innovazione e il design eccetera diventano parte del modus operandi di chiunque. Lì, insomma, diventa normale aprire un'azienda, diventa normale fare iterazioni, fare tentativi, vedere cosa succede e poi cambiare in base ai risultati.

 

Camilla Scassellati (00:17:12) - E in un certo senso la tua storia è abbastanza. Una storia perfetta che dimostra un po'questa confluenza di tutti gli aspetti che rendono Stanford un po'il il come dicevi un posto dove si crea innovazione dove quell'innovazione poi a volte lascia il circolo universitario e va diciamo nel business anche se adesso siamo ancora all'inizio del tuo percorso Stanford non stavi ancora pensando assolutamente all'imprenditoria quindi prendiamo un passo alla volta e volevo chiederti di parlare un po’ del tuo dato esperienza Stanford del tuo post-doc mi correggerà se sbaglio però sei entrata in un lab in un gruppo di ricerca per studiare le cellule staminali nel cancro come possibile cura al cancro per capire alcune delle cure al cancro. E però mentre eri in questo lab decidi di seguire un progetto ad alto rischio fare una ricerca su qualcosa che non si era ancora guardato prima quindi ti volevo chiedere di raccontarci un po'a questa ricerca del perché era un po’ un progetto ad alto rischio e cosa ti ha permesso di poterla seguire anche se non era esattamente nei diciamo contorni della tua ricerca del tuo gruppo di ricerca.

 

Maddalena Adorno (00:18:21) - Camilla è ricapitolato perfettamente quello che è successo è un po’ brevemente appunto la mia ricerca a Stanford era inizialmente focalizzata sul Cancer stem sell e i meccanismi di funzionamento delle cellule staminali quindi stavo seguendo un approccio abbastanza tradizionale di guardare a diversi regolatori coinvolti nel in questo meccanismo e durante quel periodo ho cominciato appunto a un po’ anche grazie al mio cammino anche di un cui seguivo anche abbastanza la clinica un fatto epidemiologico che per me era molto interessante appunto guardare alle persone con sindrome di Down e al fatto che non sviluppavano molti tumori solidi.

 

Maddalena Adorno (00:19:06) - In particolare stavo studiando il cancro al seno e le persone con la sindrome di Down sembravano non sviluppare il cancro al seno e quindi ho cominciato a parlare di più con esperti di sindrome di Down. Capire un po’ che strumenti c'erano per studiare la sindrome di Down e qual era il quadro clinico e fisiologico complessivo di questi pazienti insomma E la cosa che è emersa sempre più chiaramente era che un altro aspetto interessante di questa. Per me era l'invecchiamento precoce e questo per me è diventato ancora più interessante l'aspetto di invecchiamento precoce perché stavamo studiando le cellule staminali e le persone con la sindrome di Down avevano meno cellule staminali nei loro tessuti. E quindi c'era un interrogativo se la sindrome di Down e una mancanza di cellule staminali fossero collegate in qualche modo. E quale fosse il nesso con l'invecchiamento precoce. Quindi questo non era l'ambito di ricerca in cui mi aspettavo di lavorare e anche l'expertise del laboratorio in cui ero non era assolutamente un expertise di sindrome di Down. E anche da un punto di vista accademico. Di solito una delle chiavi per il successo accademico, perlomeno in Italia, è consistency.

 

Maddalena Adorno (00:20:38) - Nel senso essere molto e in un certo modo conservativo nella propria carriera accademica. Se uno è un esperto di cancro e poi si mette a fare qualcosa di completamente diverso perde un po’ il suo territorio di forza insomma. Quindi per me questo lanciarmi in questo progetto sulla sindrome di Down era un po’ un uno step a rischio perché comunque guardavo qualcosa di cui non sapevo molto e di cui non sapevo i risultati. Ricordiamoci che quando si fa ricerca non si sa, non si ha la sicurezza che qualcosa salta fuori proprio perché ricerca. I tuoi risultati possono essere estremamente interessanti o estremamente noiosi e inconcludenti. Insomma. Quindi è sempre un rischio calcolato ma sempre un rischio insomma. Quindi questa decisione di dire no sembra interessante andiamo fino in fondo su questo è stato è stato un passo che un po’ ha determinato la mia carriera e però sarebbe potuto andare in una direzione diversa insomma quindi lì kudos al mio supervisor di Stanford professor Michael Clark che ha visto il potenziale in questo ha detto ok, mettiamo i fondi, mettiamo hai carta bianca, fai quello che deve fare, vediamo, vediamo cosa c'è insomma da questo punto di vista. E poi anche la California ha dei fondi stanziati in particolare per la ricerca sulle cellule staminali in controcorrente con praticamente tutto il resto del mondo ha detto ok a livello anche governativo si fa fatica a supportare la ricerca sulle cellule staminali lo Stato della California mette i propri fondi per supportare questo perché sappiamo che è interessante e ricordo che qua non stiamo parlando di embrioni non stiamo parlando di tutti i campi delle cellule staminali che hanno delle componenti etiche molto importanti che non voglio in nessun modo minimizzare qua stiamo parlando di cellule staminali del sangue del cellule staminali della pelle quindi cellule staminali che in realtà sono oggetto di studio da decenni insomma e quindi anche lo Stato della California ci ha dato altri 3 milioni di dollari per studiare appunto questo aspetto della dell'invecchiamento e delle cellule staminali nella sindrome di Down.

 

Camilla Scassellati (00:23:10) - Ci sono ovviamente le hanno detto sicuramente stati dei motivi strutturali però appunto sei riuscita ad avere il Grant quindi i soldi di cui avevi bisogno per seguire questa ricerca grazie a appunto al fatto che Stanford abbastanza flessibile è riuscita comunque darti soldi anche se non è esattamente in quello in cui eri stata diciamo assunta per assunta per fare poi appunto ci ha parlato della California del ruolo che ha giocato ma al di là della parte pratica che forse di nuovo sto cercando di comprare all'Italia sarebbe stato abbastanza complicato ma togliendo quello a livello di mentalità diciamo proprio di tipo mentalità no cosa ti ha dato Stanford nel dirti ok come dicevi prendo questo grande rischio e vado a studiare questa cosa anche se potrebbe essere competente. Un buco nell'acqua non è quello in cui sono il massimo esperto.

 

Maddalena Adorno (00:24:05) - Uno dei concetti principali è un po’ di Stanford, un po’ della cultura americana è non considerare il fallimento un non considerare il fallimento un difetto caratteriale o una cosa che ti rovinerà per sempre. E la cultura del rischio è collegata alla cultura del fallimento e deve essere collegata alla cultura del possibile fallimento per essere rischio altrimenti non è un rischio non c'è la possibilità di fallimento e questo in a Stanford sì chi non risica non rosica quindi se vuoi vincere grande devi prendere dei rischi insomma e in questo c'è il fatto che il fatto stesso di provare qualcosa di rischioso è di per sé di per sé un valore che stai introducendo il sistema stai provando qualcosa di nuovo e questo provare qualcosa di nuovo ha un valore questa questo tipo di mentalità una mentalità che mi ha aiutato molto nell'andare in questa direzione nel senso ok sì potrà potrebbe non andare come penso però vale la pena vale la pena è un'avventura che vale la pena rischiare insomma.

 

Camilla Scassellati (00:25:21) - Proprio questa cosa che ho appena raccontato questo trasmettere l'importanza. Del rischiare e della non paura di fallire. Penso che in un certo senso si sieda proprio al centro di quello che rappresenta la Silicon Valley e parte appunto dall'università. Poi arriva in tutte le start up che nascono in quel in questo mondo ed è un po'quello che differenzia secondo me. Se guardiamo al cuore il modo di fare business in America forse rispetto ad altri Paesi nel mondo e secondo me anche un po’ quello che in Italia manca e stiamo cercando di riprogrammare nei nostri cervelli perché siamo abituati a pensare che il fallimento è la cosa peggiore che ti possa succedere sarai giudicata da tutti a partire dalla tua famiglia e tutto il tuo la tua la tua città eccetera quindi è molto mi piace molto come l'ha proprio raccontato e come quanto è importante anche appunto facendo ricerca non solo perché nel mondo start up diciamo tradizionale di cui parliamo di solito però per tornare un po appunto a questo tuo a rischio che hai preso il rischio che hai preso ed è stato ripagato perché ovviamente è stata una ricerca che ha portato degli enormi frutti ed è stato anche.

Mi hai raccontato il tuo breakthrough, Il tuo research paper che hai scritto è stato il breakthrough in medicina per l'anno in cui lo hai pubblicato quindi ci puoi spiegare un po’ appunto dove ti ha portato questa ricerca, cosa hai scoperto e se ci credevi mentre lo stai facendo E che inusuale sensazione che hai provato, mentre trovavi che appunto la tua ipotesi si stava rivelando vera, In un certo senso sì.

 

Maddalena Adorno (00:27:04) - Sono stati, sono stati anni entusiasmanti quelli in cui abbiamo studiato queste questo nuovo aspetto della biologia che non era conosciuto fino. Allora abbiamo capito appunto che nel cromosoma 21 che è il cromosoma che è presente in tre copie nelle persone con la sindrome di Down c'era un regolatore delle cellule staminali e dell'invecchiamento che era il responsabile dell'invecchiamento precoce. Questo voleva dire intanto che l'invecchiamento e le cellule staminali venivano regolate insieme, ma anche venivano regolate da un punto di vista epigenetico, cioè l'epigenetica è un'informazione che abbiamo nel nostro organismo che non è trasmessa direttamente di padre in figlio come la genetica, ma è un'informazione importante che cambia durante il tempo e spiega e comunica quali parti del genoma vanno lette, quali non vanno lette durante un certo periodo di tempo, quindi decide che pagine del nostro genoma è il momento di leggere. Quindi cambiando le pagine del genoma possiamo leggere, possiamo cambiare quello che succede all'interno di una cellula durante l'invecchiamento. Però questa epigenetica che cambia si può anche in un certo modo correggere e riportare a dei livelli normali. Quindi questo è quello che un po’ abbiamo capito, a partire dallo studio sulla sindrome di Down quindi abbiamo pubblicato su Nature nel 2000 e 13 appunto come dicevi tu è stato un breakthrough per quell'anno perché ha messo insieme tante tante cose stiamo ancora parlando di un momento in cui anche l'invecchiamento era leggi nel settore delle leggi della Longevity non era adesso c'è molto molto clamore in questi studi all'epoca nel 2000 e 13 quindi soltanto un decennio fa c'era pochissima ricerca solo sull'invecchiamento c'era una ricerca sull'Alzheimer e ricerca su alcuni modelli di invecchiamento animale come sia Elegans che un uomo un nematode, però a parte quello non c'era molto altro quindi abbiamo collegato cose che la gente conosceva come le cellule staminali a cose che la gente ancora non conosceva come l'invecchiamento e quindi è quando crei queste connessioni tra un settore molto avanzato è un settore che è ancora a uno stadio precoce che crei praticamente nuovi settori di studio.

 

Camilla Scassellati (00:29:55) - E quindi e di base avete un po’ teorizzato il fatto che si poteva regolare in qualche modo l'invecchiamento almeno sotto alcuni aspetti come dicevi molto prima adesso anche con la tua start up andrà più tech siete un po'in questo parte di questo grande movimento che sta portando un po’ il settore delle Longevity ad essere uno dei più seguiti e ci sono anche tanti capitali che entrano in questo mondo però come dicevi era ancora il 2013 tu eri una ricercatrice eri ancora molto inserita nella realtà accademica. Quindi lo step, dopo aver pubblicato questo primo paper, è continuare a studiare e a guardare sempre più in profondità questa cosa che avevate comunque scoperto. E quindi sei rimasto a Stanford, hai continuato a scrivere papers, a fare ricerca. Però poi hai raccontato un po’ e ti sei iniziato ad annoiare e che fino a quel momento tu pensavi di rimanere un po’ all'università per sempre. No, Di essere un accademico accademica, che quello fosse la tua strada, che saresti stata una tua professore. Non so quali erano le tue ambizioni in quel momento, cosa è cambiato dentro di te in poi, in questo periodo della tua vita e come sei arrivata a realizzare che forse, appunto, fare il professore non era la tua massima ambizione.

 

Maddalena Adorno (00:31:09) - Sì, in Italia avevo avuto una ottima esperienza con gli accademici, quindi quello era un po’ la visione che avevo di me nel tempo che sarei stata un accademico tornato in Italia e contribuito alla ricerca di insegnamento in Italia quello che è successo principalmente sono successe due cose una è che appunto è arrivato il momento in cui dovevo scrivere le application come professore ehm non ne avevo voglia non avevo la spinta a farlo io mi fido molto del mio corpo e il mio corpo mi diceva che non che quella cosa non era mia cosa insomma non sentivo nessuna spinta a portare avanti questa cosa di fare application per posizioni universitarie quindi da un lato non avevo proprio il desiderio concreto di andare in questa direzione e la seconda cosa è che in realtà il mio professore di Stanford ha aperto una start up e di cui io ero co-founder però senza che ci lavorassimo concretamente perché appunto io ero ancora in Accademia quindi continuavo a fare l'Accademia quindi era soltanto un paper sulla carta ero co-fondatrice di una di una start up in Silicon Valley e quindi io ero molto interessata in realtà dicevo no ma è bella teniamone conto eccetera eccetera focalizzati sulla ricerca quindi focalizzati sulla ricerca quando uno si focalizza sulla ricerca non fa altro e quindi la start up un paio d'anni dopo è stata chiusa senza aver portato granché a casa insomma e questa me l'ho sentita come un'occasione sprecata insomma ho detto va beh c'era la possibilità di costruire qualcosa a partire da questo mi dispiace che non è che non sia successo. E appunto per design proprio per Costituzione il modo in cui costruire il cammino accademico è fatto sui grandi breakthrough quindi viene valorizzato il breakthrough quindi il mio paper del 2013 ha avuto un impatto molto grande tutto quello che segue a questo quindi ricostruire dopo i dettagli il dettaglio del dettaglio del dettaglio non viene valorizzato. Perché sì, fai un follow up e perché però non ha lo stesso valore accademico del primo paper che apre un nuovo settore. Quindi in realtà quello che viene valorizzato è va beh, fai un breakthrough, lascialo lì, ricomincia da zero e fai un altro breakthrough che però almeno per la mia mentalità non non è quello che mi dà soddisfazione Io vedo la soddisfazione nel portare le cose dall'inizio fino alla fine e per me questa scoperta che avevo fatto a Stanford portarla fino alla fine voleva dire fare Budget Betsaida completamente a partire dalla scoperta al bancone, e portarla in clinica questo per me era l'arco che volevo compiere. Insomma e quindi per questo l'Accademia non era il posto giusto insomma e anche questa breve esperienza con questa start up con l'altro professore mi ha dimostrato che non era possibile. E c'è un po’ a volte l'idea che aprire una start up possa essere una un hobby fatto on the side e quindi dice sì ho una posizione accademica con un condimento di start up.

 

Camilla Scassellati (00:35:06) - Che invece.

 

Maddalena Adorno (00:35:07) - È molto difficile questo, è molto difficile nel senso che per la mia esperienza almeno fare una start up è più di un full time job e quindi richiede un commitment totale a quello, non si riesce a fare accademia e start up contemporaneamente.

 

Camilla Scassellati (00:35:28) - E poi c'è stato un altro pezzo del puzzle che si è unito a queste tutte queste tue realizzazioni che è stato l'incontro con la tua oggi co-founder Benedetta di Robilant che in un certo senso è stato anche un po’ un punto di svolta perché forse ha portato anche lei energia a queste tue e a questi tuoi pensieri. Cosa ci racconti un po’ di questo incontro? Cosa è scattato tra di voi e se hai cambiato punto anche qualcosa su come vedevi la tua, la tua, insomma il tuo, la tua scoperta e come portarla avanti.

 

Maddalena Adorno (00:35:56) - Sì, l'incontro con Benedetta decisamente è stato uno dei momenti che ha cambiato la mia vita e la sua vita. Completamente. Lei è venuta durante e durante il dottorato. Ha fatto un periodo durante il dottorato e poi è venuta per il suo post-doc e si è unita al laboratorio al mio laboratorio a Stanford proprio nel momento in cui stavamo concludendo un po’ e mettendo e facendo gli studi finali su questo lavoro su sulla sindrome di Down delle cellule staminali all'invecchiamento e quindi anche lei ha avuto una parte cruciale nel portare insieme questi dati e creare la ricerca come l'abbiamo adesso e anche lei è stata coinvolta nei lavori di follow up su quello ha fatto un lavoro sull'Alzheimer su come l'Alzheimer sia regolato nello stesso modo quindi ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo della scienza ma non solo nel senso che all'inizio entrambe ci siamo un po’ invitate a Stanford, nel senso che eravamo due italiane nello stesso laboratorio e quindi non volevamo fare la critica di italiane che appunto stanno tra di loro però appunto c'era una naturale empatia tra di noi. Benedetta è una persona con energia incredibile e quindi è travolgente in tutto quello che fa e che quindi ha portato nuova linfa a questa cosa un nuovo entusiasmo che appunto pochi anni dopo ci ha portato insieme a dire ok c'è tra me e te c'è abbastanza energia per creare qualcosa di nuovo per essere veramente non conservativi in questo e fare un salto un salto quantico nel modo in cui approcciamo questa cosa.

 

Camilla Scassellati (00:37:57) - E infatti ti voglio portare un po’ a parlare di qualcosa come avete fatto… il salto da Academy pura a essere nell'ambito della ricerca a nonostante la start up accantonata che rimarrà nel passato decidere di crearne un'altra che diventerà d'ora in poi diventerà la tua vita, il tuo lavoro. E inizia tutto con quello che mi hai raccontato è la cultura del saloon e volevo chiederti di raccontarci cos'è e secondo te perché è importante, che ruolo può giocare in tutto questo mondo di portare l'innovazione al prossimo step?

 

Maddalena Adorno (00:38:33) - Sì, appunto, questa. I saloon per me hanno avuto un ruolo, un ruolo chiave nel senso che in quegli anni appunto si dice che in Silicon Valley non c'è molta cultura c'è un tipo di cultura diversa. Decisamente il modo di fare cultura è un modo di fare cultura diversa che guarda meno al passato e più al futuro diciamo. E quindi c'era questa questi eventi di Longevity saloon che erano dei ritrovi informali tra persone con diverso background diverse storie diverse età che si ritrovavano una volta al mese per parlare di che cosa vuol dire Agen che cosa vuol dire longevity che cosa che cosa che cos'è che si può fare in questo settore Quindi c'erano imprenditori c'erano a che c'erano persone che facevano software c'erano filosofi c'erano scienziati ricercatori quindi ognuno aveva un punto di vista molto diverso sull'argomento e all'epoca c'erano alcuni filoni di persone che pensavano al uploading l'anima sul cloud quindi questo era il modo di alcune persone di pensare alla longevità e alla vita eterna Altre persone pensavano che io preservazione quindi veramente c'erano c'era un po’ di tutto in questo in questo ambiente di cui parlare e quindi era un modo di confrontarsi di pensare che stiamo pensando a cose che non esistono. Cos'è che oggi non esiste e può esistere tra dieci anni e questo modo di pensare alla ricerca? Anche mi ha permesso di inquadrare quello che stavo facendo in un quadro molto diverso e di pensare questo non è solo una ricerca che va a finire su un articolo scientifico. Questa è una ricerca che effettivamente può avere delle ricadute sociali sulla società e quindi anche ha creato anche un network di persone a cui ho potuto parlare con cui ci siamo potuti confrontare dire ok qual è la business idea che può nascere da questa scoperta scientifica e quindi ci ha permesso un po’ di cambiare il quadro di referenza di quello che stavamo facendo insomma.

 

Camilla Scassellati (00:41:05) - Ed è anche lì se non sbaglio che hai conosciuto le prime hai avuto dialoghi con alcuni rappresentanti di Why Combinator che lo ricordo per i nostri ascoltatori è diciamo l'acceleratore con la l maiuscola la il numero uno acceleratore in Silicon Valley dove sono nate tantissime aziende che a questo modello molto molto conosciuto nel mondo start up di cui sono sicura molti hanno sentito parlare. Che appunto ha conosciuto alcune persone di network che erano interessate a creare dei business basati sulla ricerca sull'invecchiamento che avevano visto un po. Che forse e Longevity Science sarebbero state il prossimo trend e quindi ti hanno un po’ messo anche una pulce nell'orecchio, ma ci racconti appunto cosa è successo dopo? Come siete arrivate ad entrare poi a effettivamente A Way Combinator decidere di provare ad entrare l'acceleratore in un momento di vita se non sbaglio un po’ complicato perché o sia tu che Benedetta eravate incinta avevate appena avuto un bambino quindi anche non so poi ci racconterai però non è il momento perfetto per decidere di dire mollo tutto. Entrano in un programma di acceleratore e prova a lanciare una start up.

 

Maddalena Adorno (00:42:22) - E il cammino di voi Combinator è stato un cammino inaspettato appunto io non mi ero mai interessata tanto di acceleratori di impresa eccetera quindi anche per me era un concetto abbastanza nuovo. Nel appunto siamo adesso nel 2018 in cui in questo momento che stai descrivendo e nel 2018 appunto anche a questi saloni di Longevity partecipavano dei delle persone vai Combinator appunto per capire un po di più che cosa sta succedendo adesso da un punto di vista di ricerca e sviluppo che può essere utilizzato per fare impresa. E proprio nel 2018 hai deciso di fare un investimento strategico in Company che si focalizzasse proprio su questo aspetto dell'invecchiamento perché era un momento di maturazione del da un punto di vista scientifico di tante scoperte in quest'ambito quindi finalmente dopo decenni c'era veramente qualcosa di nuovo di reale su cui investire insomma non si parlava più di. Di filosofia solo di tecnologie che di fantascienza si parlava di no questa è scienza che può diventare innovazione insomma. E quindi ne avevo parlato un po’ con un membro di Combinator punto.

 

Maddalena Adorno (00:43:53) - Però il punto di svolta come dicevi tu è stato appunto in questo momento strano in cui sia io che Benedetta eravamo in maternità per un paio di mesi. Entrambe avevamo appena avuto un figlio e abbiamo pensato a quali potevano essere dei modelli di business attorno a questo. Quindi abbiamo messo insieme un deck per presentare la nostra idea e l'abbiamo mandato a un paio di investitori qua nella Silicon Valley e ai Combinator. Il termine di chiusura per l'application era già chiuso. Abbiamo mandato lo stesso. Abbiamo detto Va beh, magari riceviamo qualche feedback, capiamo un po’, ci serve come giro di riscaldamento e in realtà ci hanno richiamato in pochi giorni ci hanno detto no questa cosa ci interessa, però dovete farlo adesso e dovete mollare Stanford Quindi il vostro momento è ora prendere o lasciare. E in quel momento, Benedetta, io e Benedetta ci siamo rese conto che sì, era quello che volevamo fare, che volevamo fare il salto e che era e che era la nostra opportunità insomma per poter fare questo tentativo insieme che appunto il fatto che avevamo due figli piccoli non ci avrebbe fermato e il fatto che dovevamo Stanford non ci avrebbe fermato e avremmo preso questa opportunità con accettando la possibilità che fosse una breve esperienza con un fallimento alla fine insomma.

 

Camilla Scassellati (00:45:35) - Sì anche perché l'iter non ti permette ovviamente di dire rimani a Stanford a fare ricerca e tu fai Will Combinator, poi vediamo se ne esce una start up. Cioè devi proprio prendere la decisione di mollare tutto quindi avete dovuto fare prendere una decisione drastica che come dicevi è l'unica. In realtà se uno vuole veramente dedicarsi a una start up, perché se cerchi di avere anche un po l'esperienza di cercare di fare le due cose quella start up alato non funziona quindi combinatorie diciamo in generale investitori nel mondo di sì lo sanno e vogliono full commitment dai dai co-founder appunto non avevi esperienza nel nel mondo imprenditoriale non sapevi quasi cosa hai combinato il piano di fare ricerca insomma di di di di scoprirlo e di e di guardare un po cosa era il programma cosa ricordi di quell'esperienza dentro quel Combinator come ti sei approcciata un po all'aspetto imprenditoriale del fare start up e che cosa sì che filosofie che altra cultura imparato un po da quel da quel mondo.

 

Maddalena Adorno (00:46:35) - Quell'esperienza che appunto dura tre mesi in cui si è nel programma di Will Combinator. In realtà quello che mi ha insegnato è che non c'è un insegnamento che ti cambia la vita. Nel senso, quello che mi aspettavo era oh, finalmente dopo hai combinato. Mi insegneranno a fare un business plan, mi insegnano a fare questo. Ci siederemo lì e prendono i miei appunti e imparerò a fare le cose che devo fare. Questa aspettativa era completamente sbagliata. Non c'è niente di tutto ciò. Non c'è. Non si prendono appunti, non ci sono lezioni frontali, non c'è un curricolo questo questa cosa non esiste non è parte di quello che loro considerano diventare un imprenditore dice va beh vuoi sapere come si fa un business plan prenditi un libro guardati dei video leggetelo è quello che puoi imparare in un altro modo. Quello che a cui che Combinator ti dà è un valore diverso è il network l'esposizione ad altre persone che fanno questo e quindi il gol di Will, cioè cambiare il modo in cui guardi al fare impresa. Secondo me questa è la cosa principale che porta e smettila di pensare in piccolo, quindi pensa al di là del piccolo prodotto che puoi creare adesso eccetera eccetera. Qual è qual è la visione più grande qual è il qual è la cosa che cambia la vita di 1.000.000 di persone? Questa è sempre la domanda che fanno che cosa stai facendo che cambia la vita di 1.000.000 di persone e questo cambia la scala del tuo pensiero cambia il modo in cui pensi non pensi al ritorno Nei prossimi sei mesi pensi a qualcosa di distruttivo, qualcosa che cambi il modo in cui le persone fanno vivono la loro vita. Insomma, come che puoi cambiare la vita della gente come la conosci oggi e quindi quello è un po’ il modo in. E la cosa forte che per me è stata un cambiamento e come lo comunichi in maniera concisa, in maniera chiara a persone che possono essere esperti del tuo settore o possono essere completamente non familiari con quello a cui stai facendo come, come lo spieghi, come lo comunichi, come fai capire che è importante? E poi dove trovi la gente da coinvolgere nel tuo progetto? Che vuol dire non solo trovare persone da assumere ma come trovi gli investitori, come crei il network che ti supporterà E e la cosa secondo me è importante ricordarsi anche che questi sono network che durano una vita nel senso che quando si crea impresa quando si fa biotech e la gente più o meno sarà la stessa gente che avrà intorno tra dieci anni. E quindi anche il contributo che tu dai al network ritorna non in maniera diretta il giorno dopo la settimana dopo, ma stai mettendo delle energie in un network che solo il network che ti sosterrà negli anni a venire.

 

Maddalena Adorno (00:49:52) - E quindi tutto questo per me è stato un po’ essere esposta ai Combinator. L'altro aspetto importante appunto che per chi viene come me dall'Accademia è la parte difficile è capire che cosa della tua ricerca. Ha un valore per accademia e che cosa ha un valore per l'innovazione che ovviamente c'è un un'intersezione tra le due cose però non sono la stessa cosa quando si pubblica un paper servono un certo tipo di dati. Quando si vuole usare la ricerca per l'innovazione serve un altro tipo di dati e quindi focalizzare le spese e le energie e il tempo sulle cose che permettono di portare avanti. L'innovazione è uno dei passi più difficili da fare per un accademico. E dice ok, focalizzati solo su quello che ti permette di fare innovazione.

 

Camilla Scassellati (00:50:49) - E infatti ti volevo chiedere esattamente questa domanda. Cioè siete entrati con sicuramente un background scientifico avevate un poi un’idea che provavano che questa cosa che volevate seguire era vera in modo teorico ma come avete creato un business plan intorno a questa idea? Cioè sei uscita da quando siete uscite da Y Combinator qual era il business plan di Dorian Therapeutics ed è cambiato da Y Combinator ad oggi insomma ci racconti di della mia domanda e ci racconti un po’ qual è il business plan qual è il business in Therapeutics.

 

Maddalena Adorno (00:51:25) - Sì il valore concreto appunto c'era l'idea scientifica e i dati scientifici che supportavano la nostra idea. Il primo passo da lì a creare un business è avere un brevetto. Nel senso, da un punto di vista tangibile avevo un brevetto con Stanford che appunto copriva l'invenzione che la scoperta che avevamo fatto. Quindi il primo passo per il nostro business era che Dorian Therapeutics appunto fosse avesse il brevetto di Stanford quindi abbiamo lavorato con Stanford per fare il licensing della parte del brevetto a Dorian Therapeutics quindi quello era il primo passo. In generale il nostro il nostro approccio era che abbiamo capito che le i meccanismi dell'invecchiamento erano cruciali nello sviluppo di molte malattie. Quindi se noi pensiamo a diverse malattie come l'artrite, il Parkinson, l'Alzheimer, Il diabete è il primo fattore di rischio per tutte queste malattie e l'invecchiamento in se stesso. Quindi invece di sviluppare terapie specifiche per ciascun per ciascuna malattia. L'idea innovativa è possiamo sviluppare delle terapie. Che colpiscono l'invecchiamento stesso. E facendo questo possiamo curare diverse malattie. Quindi diventa che la cura per l'Alzheimer può essere la stessa cura che utilizziamo per il diabete e quindi questo era un po’ l'idea innovativa di utilizzare queste scoperte che abbiamo fatto da un singolo di questo regolatore epigenetico per sviluppare un nuovo farmaco che potesse curare molte malattie simultaneamente. Quindi questo era un po’ l'idea.

 

Camilla Scassellati (00:53:24) - Ti volevo chiedere un po’ a che punto siete con Dorian Therapeutics oggi, perché ovviamente ci sta raccontando appunto un po’ qual era l'idea di business. È un'idea che, come è per tutte le aziende del biotech, ha un go to market, un processo di go to market molto più complicato, molto più lungo che vuol dire fare clinical trials assicurarsi che funziona che questo appunto farmaco che state sviluppando funzioni e su diversi stadi di un sacco italiano di prove cliniche e quindi volevo un po’ capire come vivete questo go to market a che punto siete cosa vuol dire appunto fare un'azienda nel biotech So che è una domanda molto anche, ma se ci puoi spiegare un po’ i passi successivi appunto.

 

Maddalena Adorno (00:54:09) - Se appunto noi siamo partiti appunto dal bancone in cui abbiamo identificato un regolatore quindi da lì partire da lì andare al paziente di solito viene considerato che questo cammino prende 15 vent'anni e la cosa importante da ricordare è che nel Big Tech in questi 15 vent'anni non hai nessun ritorno economico nel frattempo perché i soldi vengono fatti nel momento in cui questo farmaco viene commercializzato ai pazienti quindi è un modello di business molto lento che ha dei ritorni sostenuti significativi però ad alto rischio nel senso che di solito il 95% di tutti questi cammini fallisce a qualche stadio dello sviluppo insomma quindi dal momento in cui si scopre un target quindi un meccanismo molecolare chiave la parte successiva è quello di sviluppare il farmaco per quel target e abbiamo completato questa fase abbiamo sviluppato il target poi cominciano i trial preclinici che sono tutti gli studi che devono venire completati per avere il permesso di fare gli studi sui pazienti quindi per ora siamo nel mezzo di questi studi preclinici in cui stiamo dimostrando prima di tutto che questo trattamento è safe. Si dice safe, non è dannoso, non è. Prima di tutto stiamo dimostrando che questo trattamento non ha degli effetti collaterali troppo significativi e che quindi ha un profilo di sicurezza accettabile. E l'altro aspetto è quello di mostrare l'efficacia che ha un'efficacia significativa e che quindi può dare dei vantaggi ai pazienti. Quindi siamo nel mezzo di questi studi e pianifichiamo di cominciare i nostri studi clinici nei pazienti in 18 mesi da adesso, più o meno.

 

Camilla Scassellati (00:56:20) - E come vivi questo aspetto cruciale del fare appunto start up nel mondo biotech che è il rischio cioè o funziona o non funziona quindi non c'è tanto nel mezzo a livello personale psicologico come vedi questo.

 

Maddalena Adorno (00:56:38) - Non è non è non è facile nel senso che comunque appunto non è  una tensione continua tra l'andare avanti e vedere che l'obiettivo è sempre lontano è sempre difficile da raggiungere ci sono appunto tanti step intermedi è appunto quello che ci dà fiducia e entusiasmo è ok siamo a metà di questo percorso appunto parlavamo in 15 anni metà di questo percorso l'abbiamo fatto appunto non è uno sprint è una maratona quindi uno psicologicamente si deve preparare una maratona e quindi essere in grado di capire quali sono gli step intermedi. Ricordarsi che il fallimento è parte delle possibilità di quello di quello che facciamo e tenerlo sempre in conto. Quello che secondo me è importante ricordarsi è che anche il fallimento ci insegna qualcosa e che un eccessivo accanimento non fa bene a nessuno, nel senso che le cose devono funzionare per andare avanti se non funzionano. È il momento di fare altro. Quindi quella è sempre una cosa di cui ricordarsi.

 

Camilla Scassellati (00:58:01) - Soprattutto in questo ambito non si possono forzare troppo le cose perché appunto non funziona o non funziona anche non vuoi. Insomma, non è che puoi tanto. Certo si potrebbe pivot in altre in altre applicazioni però insomma non abbiamo visto esempi di chi ha sforzato la scienza tipo faccio l'esempio di Terence ovviamente. Però appunto devi un po’ rimanere in quello che è quello che stai facendo e quello che è possibile portare avanti.

 

Maddalena Adorno (00:58:27) - Sì, secondo me questo è un aspetto molto molto importante che non è solo un aspetto di onestà intellettuale che ovviamente ci vuole è appunto Terence ha fornito un esempio terribile di quello che può succedere quando non si guardano i dati o quando si producono dei dati che non sono veri oppure se si sforzano cose che non stanno in piedi insomma. E quindi sento un dovere sia nei confronti di degli investitori e del Governo americano che ci ha dato dei fondi per fare la ricerca sia nei confronti dei pazienti che a cui non vanno date false speranze e non devono essere coinvolti in clinici che non sono necessari insomma.

 

Camilla Scassellati (00:59:15) - Adesso state anche cercando di aprire una sede di Dorian Therapeutics in Italia quindi ti volevo chiedere di raccontare un po’ come sta andando, quali sono un po gli ostacoli che state riscontrando e perché hai deciso di Avete deciso di cercare di aprire una sede proprio in Italia.

 

Maddalena Adorno (00:59:33) - Sì è ancora un percorso in divenire quello appunto e per l'ultimo anno ho parlato molto con le realtà italiane per capire se fosse il momento e se ci fosse l'opportunità di aprire una sede in Italia. Uno dei fattori che per me è stato molto incoraggiante che uno dei nostri investitori Lucio Rovati è italiano e ci ha dato un contributo e non sto parlando solo dei soldi ma proprio strategico molto importante nel sviluppare e i nostri la nostra linea di ricerca e sviluppo insomma quindi e uno dei nostri progetti che è un progetto sulla artrite vorremmo spostarlo in Italia fare tre clinici in Italia e portare avanti questa idea da lì insomma anche negli ultimi anni c'è stato molto sviluppo dell'ecosistema start up in Italia e quindi ci sono investitori anche in Italia che sono molto attivi c'è un ecosistema che si sta sviluppando e la Lombardia sta diventando un una locazione nevralgica per per questo sviluppo è anche la Toscana che adesso la Toscana si è si è lanciata molto nello sviluppo di start up anche il settore medico anche per loro è molto importante quindi ho avuto molte bellissime conversazioni che appunto si spera nei prossimi mesi e mesi porteranno all'apertura concreta di una sede di Dorian in Italia.

 

Maddalena Adorno (01:01:14) - Allo stesso tempo, anche ultimamente, negli ultimi giorni sono arrivati dei segnali preoccupanti, almeno dalla stampa, per quello che si può percepire dall'Italia. Proprio questa settimana 300 milioni sono stati dirottati dalla Cassa dei prestiti del fondo di investimento delle start up sono stati dirottati ad altre finalità insomma. E quindi questo allevare 300 milioni dall'ecosistema delle start up senza anche senza grande preavviso così un po'di di punto in bianco questo è un segnale molto negativo per l'ecosistema anche per altri investitori che potrebbero essere interessati a lavorare con l'Italia a sviluppare delle realtà concrete diventa un segnale molto negativo insomma quindi spero che ci sia un'evoluzione positiva di questa cosa che appunto è solo una fase transitoria però la Cassa dei prestiti coi loro fondi di investimento ha aiutato molte realtà italiane a svilupparsi e spero che possa continuare a farlo anche nei mesi e negli anni a venire.

 

Camilla Scassellati (01:02:21) - Insomma so che questa decisione di aprire una sede di dare in Italia è anche perché appunto sia tu che benedetta sede italiane e ci teneva ad avere una sede anche in Italia però se poi le cose vengono se le cose poi diventano troppo difficili e ovviamente scoraggia una realtà come la vostra a prendere questa decisione quindi sono come dici segnali abbastanza preoccupanti, un po’ per il mondo delle start up.

 

Camilla Scassellati (01:02:44) - Spero che ne potremo parlare di più e stiamo arrivando un po’ alla fine l'intervista e non potevo chiudere Senza farti questa domanda anche di curiosità personale che appunto ti occupi. Di invecchiamento, quindi sono sicura che hai visto tantissima ricerca su questa cosa. Sono un po’ lì.

 

Camilla Scassellati (01:03:01) - I cambiamenti al tuo stile di vita che hai fatto da quando? Da quando vivi in questo mondo. Un po’ per contrastare l'invecchiamento nel mondo post oriented dove si occupa di applicazioni terapeutiche però anche nel tuo stile di vita hai fatto qualche cambiamento qualche consiglio che ci puoi dare.

 

Maddalena Adorno (01:03:20) - Sì beh devo dire che appunto come dicevo la scienza ha fatto dei grandi passi avanti nel capire che cosa fa la differenza e che cosa non fa la differenza. E nonostante ci siano diverse applicazioni terapeutiche resta molto chiaro da un punto di vista scientifico che i fattori che fanno la differenza più grande al momento sono fattori che in realtà possiamo controllare e in particolare l'alimentazione e l'esercizio fisico. E una cosa per esempio che sta anche cambia anche quando si parla di esercizio fisico non tutto l'esercizio fisico è uguale insomma. Quindi negli ultimi anni si è capito anche come molto c'è un aspetto di cardio di esercizio cardiovascolare ma come l'esercizio muscolare proprio i pesi hanno in realtà e un effetto sull'invecchiamento molto significativo. Quindi fare più esercizi su pesi durante il tempo è una cosa che fa molta differenza. Una cosa che ho incorporato anch'io nella mia routine. E adesso appunto, oltre a nuoto e yoga, fare pesi Weight Training è parte di quello che faccio. Poi sono diventata negli ultimi tre anni una grande fan del l'intermittenza, quindi l'alimentazione intermittente e quindi ormai da anni per cinque giorni a settimana mangio in un in una finestra di tempo che va dalle dodici quindi da ora di pranzo alle 20:00 e questo permette dal tempo all'organismo da 16 ore all'organismo poi per attivare delle dei segnali di ringiovanimento del corpo appunto in queste 16 ore danno l'opportunità al corpo di di resettarsi e quindi questo è diventato appunto parte della mia routine mi trovo molto bene è una cosa che ho capito col tempo è che appunto di tutte le offerte che ci sono anche sul mercato quelle a cui io preferisco dare la preferenza e quelle che mi danno anche dei giovamenti e degli effetti sul breve termine quindi non mi aspetto non penso.

 

Maddalena Adorno (01:05:49) - Ah ok forse invece di vivere 80 anni ne vivrò 85 ma se vedo degli effetti nel breve tempo breve termine vuol dire tre mesi sei mesi che fanno che hanno degli effetti positivi su di me penso che questo possa avere un effetto sul lungo termine anche sul lungo termine.

 

Camilla Scassellati (01:06:10) - Devo dire che anch'io avrei dato degli integratori che promettono di mantenere le mie cellule giovani in pratica se non mi dà qualcosa adesso difficile che io mi applichi a prendere integratori tutti i giorni per stare meglio quando a 90 anni, Perché ovviamente poi non siamo fatti come umani per pensare in questo modo però grazie dei consigli volevo chiederti questa domanda domande siamo arrivati alla fine fine fine ultima domanda che chiediamo a tutti i nostri ascoltatori è in che modo pensi che la tua italianità ti abbia aiutato nel tuo percorso soprattutto come italiana all'estero?

 

Maddalena Adorno (01:06:44) - È una domanda interessante. Penso che un po’ nella personalità dell'italiano c'è la personalità anche dell'oratore. Nel senso, la componente dello storytelling ce l'abbiamo, ce l'abbiamo un po’. Intrinseca in quello che facciamo quindi. E ha un ruolo importante nel raccontare spiegare la vita di un'azienda e del perché ci servono i fondi quello è un aspetto a cui sono molto legata e che secondo me è stato cruciale nel nella mia carriera insomma.

 

Maddalena Adorno (01:07:21) - E dall'altra parte appunto la curiosità degli italiani qua appunto ci sono la comunità italiana quella della Silicon Valley è molto presente perché appunto questa curiosità intrinseca che ci porta a scoprire cose nuove e a vedere le cose dove nessuno le ha viste prima secondo me è un fattore è un fattore cruciale nella nell'innovazione.

 

Camilla Scassellati (01:07:49) - Bene grazie mille Maddalena Sasso medita è stato veramente un piacere. Giocare con te e la tua storia.

 

Maddalena Adorno (01:07:56) - Grazie mille.

 

 Vogliamo ringraziare BAIA, la Business Association Italy America, per la loro partnership.

BAIA è un'associazione non profit che opera nella San Francisco Bay Area dal 2006 e ci sta aiutando a promuovere questa serie con i loro membri. 

BAIA è gestita da un gruppo di professionisti italiani a San Francisco che crea opportunità di networking professionale all’interno della comunità italiana e italo-americana, facilitando lo scambio aperto di conoscenze tra l’Italia e gli Stati Uniti attraverso eventi per manager e imprenditori in Silicon Valley. Più informazioni sul sito ⁠baia-network.org⁠ e se siete in Silicon Valley vi consigliamo anche di iscrivervi alla loro newsletter.

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