Marco Marlia, Co-Founder & CEO MotorK

 

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Questa settimana abbiamo intervistato Marco Marlia, Co-founder e CEO di MotorK, leader europeo dei servizi digitali per l’automotive. 

La storia di Marco e della sua impresa è un’avventura così ricca di avvenimenti che ci accompagnerà anche nel prossimo episodio con la seconda parte della scalata verso il successo.

Marco trascorre l’infanzia a giro per il mondo, seguendo il lavoro del padre. Da ragazzo ha un fuoco dentro che gli impedisce di stare fermo. Dopo aver visto 'Una Poltrona per Due' in televisione, decide seduta stante che da grande farà il trader.

Quando finalmente entra in Bocconi, si appassiona anche all’insegnamento. 

Mentre studia, Marco si lancia in tanti piccoli lavoretti, vende corsi di memoria per strada e diventa insegnante di arti marziali. Ma tra la vita accademica e quella del trader, alla fine è una terza via a prevalere, quella dell’imprenditoria.

Il suo amico Fabio, che realizza siti internet, gli fa assaporare il fascino del digitale. I due ragazzi iniziano a lavorare insieme fino a gestire due agenzie, una di software e una marketing, con decine di dipendenti.

Eppure non sono soddisfatti. Dopo aver lavorato per fornire servizi ad altre aziende, in Marco e Fabio nasce il desiderio di sviluppare un loro progetto, dovevano solo trovare il settore da innovare.  Non vi sveliamo come - ma quasi per gioco nasce l'idea di MotorK. E da lì comincia la corsa pazza alla crescita, con risvolti da cardiopalma. 

Adesso, dopo 12 anni, l’azienda è il più grande operatore europeo dei servizi digitali per l’automotive, con oltre 400 dipendenti e un fatturato che supera i 40 milioni di euro.

In questo episodio, Marco ci racconta le fasi iniziali del suo progetto, lanciato con beata incoscienza, e gli incredibili aneddoti alla ricerca dei primi clienti e investitori. Ascoltiamo l’inizio della sua storia.

 

TRASCRIZIONE EPISODIO

Marco, siamo curiose di cominciare scoprendo un po’ il tuo contesto familiare che è una cosa che facciamo spesso su Made IT, perché pensiamo che un po’ tipo la psicanalisi ci spiega molto dei nostri ospiti. Sei nato a Salerno, sei poi cresciuto però in giro per l'Europa spostandoti addirittura ogni due o tre anni seguendo il lavoro di tuo padre. Ci puoi raccontare come ti ha impattato questa vita itinerante quando eri ragazzo?

Sicuramente una delle domande più difficili che le persone fanno è “da dove vieni? Di dove sei?”. Quando cominciano so che ci vuole almeno due minuti per rispondere. Sì, è vero la mia famiglia ha viaggiato tanto dai miei zero ai 13-14 anni, e poi mi sono spostato di nuovo dopo. Mio padre faceva il direttore commerciale e un po’ lo spedivano in giro, un po’ ogni tanto per carriera cambiava opportunità, quindi diciamo abbiamo girato. Abbiamo vissuto un periodo nel Regno Unito, brevemente per una serie di motivi siamo stati a Boston, siamo stati a Torino, siamo stati a Salerno, siamo stati nelle Marche, anche posti molto diversi cioè megalopoli, piccole città contemporaneamente. Queste sono le classiche esperienze della vita che quando le vivi magari le patisci, però poi col tempo magari vedi anche il lato positivo. Sicuramente doversi reinventare un network di amici ogni volta è una cosa che magari da piccolo ti pesa, però in fondo vedi un'apertura di esperienze, di testa che t'ha dato, che magari sei vissuto per tutta la tua vita in un paesino di 3000 anime, non necessariamente riesci a ottenere, quindi ti direi che una cosa su cui nel tempo maturando ho cambiato opinione su, è un bene o un male: oggi ne vedo gli aspetti positivi.

Certo potersi, adattare a contesti diversi poi come hai detto s,ì da Boston alle Marche, vuol dire veramente riuscire un po’ a trovare cose in comune con tutti, però se immagino che da ragazzo non è proprio il sogno di lasciare gli amici ogni due o tre anni, quindi ognuno la vive diversamente. E ci hai raccontato un'altra cosa della tua infanzia/adolescenza e poi anche vita adulta da giovane, che hai sempre cercato lavoretti per guadagnare. Ti volevamo chiedere che tipo di lavori hai fatto, ma soprattutto cosa ti motivava a cercare questi lavori e metterti un po’ di soldi da parte perché, questa è un'altra cosa che chiediamo perché spesso fa vedere un po’ il tipo di persona che uno poi diventa, questa voglia di anche comunque subito iniziare a lavorare.

Non era solo per soldi, avere diciamo qualche spicciolo da parte per fare…sono stato sovvenzionato al primo venture caper sono stati i miei genitori che hanno pagato tutto fino agli studi e così via, quindi non mi posso lamentare da quel punto di vista sono stato fortunato. Però anche gli sfizi ti rompeva andare a chiedere a mamma e papà i 30 euro per uscire la sera e quindi i soldi erano una parte, ma c'erano altre due parti che: uno era per stare a contatto con persone e poi io tendenzialmente sono uno che fa fatica a stare fermo, cioè nel senso è proprio un fuoco dentro e l'idea di costruire qualcosa, di fare qualcosa, diciamo faccio fatica a stare tre giorni sotto l'ombrellone, molti mi odiano per questo ma son fatto così. E ho fatto un po’ di tutto, ho cominciato facendo volantinaggio ma son durato pochissimo perché mi frustrava tantissimo, ho fatto, mentre facevo l'istruttore di MMA ,di arti marziali, queste cose qui, fatto anche la security al McDonald's, che sono esperienze formative. Poi un giorno ho scoperto che davanti all'università mi avevano volantinato per un corso di tecniche di memoria e lettura veloce, che per me era una grandissima scorciatoia per studiare meno e avere più tempo libero e quindi poi son passato dall'altra parte della barricata e ho cominciato a vendere questi corsi e vendere corsi per strada è il modo per imparare a vendere nella tua vita, cioè come buttarlo in mezzo al mare se sopravvivi, sopravvivi, no no. Poi ho conosciuto un mio socio e abbiamo cominciato a fare siti Internet e da lì è diventato tutto il filone, già durante l'università e diciamo sono entrato un filo nel digitale.

Però prima di arrivare a tutto questo, e di nuovo qua e Eddy Murphy dovrà venire in Italia e scoprire che ha influenzato tantissime persone, perché l'abbiamo già anche raccontato sul podcast, hai visto una poltrona per due e già alle medie, alle elementari, giovanissimo, hai deciso che avresti fatto il trader in banca. Ci puoi descrivere esattamente cosa ti ha mosso vedere quel film? Che cosa sognavi? Perché il trader in banca? Ti piaceva lo stile di vita, il prestigio, i soldi, il dinamismo, c'era qualcosa in particolare che ti ha detto “ok, voglio fare il trader”?

Due cose: uno mi sono innamorato di New York e credo che questo probabilmente è stato una generazione intera, però dal punto di vista lavorativo non è tanto lo stile di vita ma era l'adrenalina, era il ritmo frenetico di interagire, di prendere una decisione, di essere sempre on the line, scommettere la tua posizione ogni minuto, mi dava quel fascino di misurarsi in ogni momento e dover ottenere un risultato, battere se stesso costantemente, che è un po’ un mantra che mi affascina sempre.

E quindi per raggiungere siamo questo obiettivo di carriera che ti eri posto, quindi diventare trader, sei andato a studiare alla Bocconi e però la Bocconi hai scoperto un po’ anche un'altra passione, che era la passione per il mondo universitario che ti ha fatto addirittura pensare che avresti dovuto fare il professore universitario, diciamo uno stile di vita totalmente diverso dal trader. Ci puoi spiegare perché hai cambiato un po’ idea, che cosa ti affascinava del di diventare professore universitario?

Allora, io sono andato in Bocconi e tra l'altro proprio a studiare mercati finanziari, cioè esattamente avevo deciso 15 anni prima che quello sarebbe stato il mio destino, ero puntato lì, e poi avendo insegnato anche arti marziali, l'insegnamento, il contribuire, l'insegnare qualcosa a qualcuno, il far crescere qualcun altro è una cosa che nei bisogni umani evidentemente mi risuona, mi piace tantissimo e quindi arrivato in università, quantomeno nella seconda parte, quella in cui non ero spaesato, “dove sono arrivato? Fammi capire come funziona”, ma quando cominci a scegliere i corsi di specializzazione, quindi cominci a fare A cose che ti piacciono perché le hai scelte al 100%, ma B diventi bravino a farle quindi diventi “categoria esperto”, per esempio son rimasto un anno a far la tesi tra virgolette, aiutando i miei professori che facevano un master, gestivo la piattaforma di online learning, di inglese della Bocconi, aiutavo il master in una education, quindi questo concetto di contribuire, di insegnare mi attraeva tantissimo. Poi era difficilmente compatibile con fare il trailer, però le due cose mi piacevano entrambe.

E c'è anche un aneddoto molto interessante legato a come ti sei forgiato le ossa come salesman, ce l’hai raccontato prima e ha a che fare con questo corso di memoria, ci puoi raccontare un pochino più di dettagli questo corso di memoria che come ha cambiato anche un po’ la tua vita?

Io ho sempre avuto una buona memoria già da quando ero piccolo, però ho sempre come molti non so se alle elementari, voi siete troppo giovani, ma noi avevamo il giudizio che è intelligente ma non si applica, questa era la mia categoria da piccolo.

Sì, più o meno anche io, Camilla si applicava di più…

La nemesi di mia madre, che era un'insegnante di scuola, quindi puoi capire che aveva in casa il nemico numero uno: intelligente ma non ti applichi. E quindi ho sempre cercato un po’ di, adesso non voglio dire scorciatoie, ma di massimizzare il risultato col minimo dello sforzo e quindi uscendo un giorno all'università trovo questi ragazzi che volantinavano, “ti interessa un corso di tecniche di memoria” e dico “che ci faccio?”, “eh cosi studi di meno e ottieni voti più alti”, ho detto “dammi qua il volantino che forse ho trovato un trick, un hack di vita che ti permette di massimizzare i risultati” e in effetti è una metodologia scientifica, cioè nel senso non è che ti iniettano qualcosa del cervello, ma studi un metodo con cui impari a memorizzare le cose e quindi riesci a fare diritto privato in quattro giorni, ok? Più di quello addirittura come estensione c'era il corso di lettura veloce, quindi invece che leggere 250 parole al minuto ti insegnano a leggere a 500-600-700 e capisci comunque, non è che tu dici “leggi poi che cosa è successo”, anzi addirittura la metafora è “quando va in macchina veloce stai più attento” paradossalmente e quindi leggendo più veloce anzi ti entrano meno, per esempio non so quanti ne sono consapevoli, ma mentre leggi ti entrano un sacco di disturbi in testa, perché tutti noi abbiamo imparato a leggere alla velocità in cui parliamo, ma in realtà il nostro cervello riesce a leggere 25.000 parole al minuto. Io vi sto gente veramente leggere le pagine di libro staccate, appese alla parete in 30 secondi spazzolarsi un libro e dopo usciva e tu chiedevi e ti sapeva rispondere, ok? Poi quella roba lì è l'estremo, ma accelerare. Quindi questo mi ha permesso sempre di consumare una quantità di informazioni superiori alla media, mia moglie mi odia perché leggiamo lo stesso libro in vacanza, io l'ho finito a fine giornata, lei ci mette una settimana e poi ogni tanto mi scappa e faccio pure lo spoiler, quindi diciamo da questo punto di vista è sempre stata una cosa interessante. E andare a vendere per strada una cosa anche strana, quindi un prodotto complicato da spiegare, quindi non stai vendendo un oggetto fisico, lo vuoi o non lo vuoi, secondo me è stata una grande scuola. Poi attaccato lì c'erano anche diciamo, ti aiutavano, ti informavano, imparavi delle skill, a parlare in pubblico, una serie di altre cose, facevi le presentazioni le presentazioni, ti davano un numero di 30 cifre e tu gli dicevi la settima cifra, cose di questo tipo quindi ha aiutato a formare una serie di skill soft se vuoi, che però poi nella carriera imprenditoriale si sono rivelate molto utili.

Sì, soprattutto questa cosa di saper vendere sicuramente nella vita, anche se uno non lavora in sales, deve vendere se stesso, deve vendere un'idea, soprattutto…

Con tre figli vendo tutti i giorni! Gli vendo che devono andare a studiare, per esempio!

Diciamo che è utile anche se non lavori in sales. Più che altro mi viene voglia di fare questo corso perché ne ho bisogno, soprattutto per la parte di memoria. Hai fatto tutti questi lavoretti e ad un certo punto ti sei anche cominciato a sviluppare siti Internet e da lì, con un tuo compagno di MMA, hai deciso di fondare un'agenzia di digital marketing. Da dove è arrivata questa vena imprenditoriale? In che momento hai deciso di cambiare strada da quello che era prima il tuo sogno?

Mentirei se dicessi che è stata una scelta a tavolino, consapevole, il mio futuro è qui e così via, è stato più un io andavo in palestra con Fabio che è diciamo poi è diventato il mio primo socio, quello che facevamo ci picchiamo l’un l’altro, perché facevamo arti marziali. Lui era già un po’ più avanti di me, già lavorava in un'azienda che faceva software, mi raccontava e mi intrigava tantissimo l'idea di io c'ho il cervello diciamo che entra un input di un problema e l'istinto mi porta a ragionare sulla soluzione finché non la trovo. Mia moglie mi odia per questo perché ogni tanto mi dice “io vorrei solo essere ascoltata, non voglio una soluzione ok, non mi devi dare sempre una soluzione”, però diciamo son fatto così e allora il software era un modo, il software, i siti e tutto quello che ne consegue, era un modo per “ok, c'è un'azienda che ha un problema, come riusciamo ad aiutarla, come riusciamo a utilizzare a creare qualcosa?”, perché poi il software è una delle cose più belle perché crei qualcosa dal nulla, per aiutare un'azienda. E allora durante l'università, nel tempo libero, tra una secchiata tre giorni prima di studio prima dell'esame e l'altra, con il mio socio, io trovavo qualche cliente per passaparola al mondo aziende con qualche partner, lui faceva la parte tecnologia e sviluppava e arrotondavano benissimo, nel senso che poi è diventato un business, che siamo partiti in due e poi son diventate due aziende, un'azienda che faceva più software uno faceva il digital marketing, tutte e due con 20-25 persone e diciamo una bella soddisfazione, e creare da zero e far crescere un'azienda, è qualcosa che è un'esperienza che secondo me ti cambia, e o ti innamori o no, nel senso che non ci sono vie di mezzo e lì probabilmente il trader l'ho messo da una parte, professore universitario l’ho messo dall'altra e la carriera imprenditoriale mi ha mi ha agguantato.

Come hai detto l'agenzia che avete creato e andata anche bene, siete riusciti a raggiungere obiettivi che per tutti sarebbero molto importanti, avete più di 20 persone, la cosa è andata avanti per più di quattro anni, avevate tantissimi clienti con cui lavoravate, però trovate un po’ frustrante il modello dell'agenzia perché dipendi 100% dai tuoi clienti, ogni anno devi un po’ reset, cercare di rivendere i tuoi servizi a persone nuove e quindi avete deciso a un certo punto, tu e Fabio, il tuo socio, che avreste voluto fondare una startup e credo che l'idea fosse stata proprio questo cioè, facciamo una startup, senza veramente avere l'idea di cosa sarebbe stata poi questa startup. Ci puoi spiegare solo perché questa voglia di fare startup? E ho detto start up troppe volte in questa domanda, ma volevo scusarmi a questo punto…

Premesso che all'epoca era molto meno cool di com'era adesso, voi non sapete di quanta gente m'ha chiamato, mi ha detto “cosa fai? Mamma tu sei pazzo! Queste robe qui…” e così via, non c'era quel flavor del bello, che vai a far startup, poi scala e così via, questa cultura, questo mindset, non era ancora pervenuto, e diciamo, che come hai detto tu c'era la frustrazione. Mi ricordo come fosse ieri la battuta che, in realtà nel frattempo eravamo diventati in tre, quindi l'ex capo di Fabio, Marco, si era unito a noi, quindi eravamo diventati tre soci. Mi ricordo la battuta un giorno scherzando facciamo “oh, abbiamo fatto fare un sacco di soldi a un sacco di aziende a cui abbiamo startappato la loro tecnologia, mettiamola così, e noi ogni 1 gennaio reset quasi a zero e riparti, ma che frustrazione! Ma perché non facciamo qualcosa che crea un asset, cioè che crea un valore, che nel tempo costruisci e lo arricchisci?”. Perché crescere e diciamo andare su qualcosa che poi ha centinaia di persone, milioni di euro di fatturato, sembrava difficile e faticoso in quel modo e lo abbiamo detto ok, cominciavano dagli Stati Uniti, cominciava a techcrunch, cominciavano queste cose, noi eravamo molto più folli di oggi, avevamo molti meno figli e quindi con un attimo di incoscienza abbiamo detto “vabbè, proviamoci”, senza capire appieno le implicazioni di cosa volesse dire e di quanto non fosse una scommessa di breve, ma praticamente una decisione di vita, perché poi come dico sempre sono due alternative o ti va male o se ti va bene, è difficile che sia meno di 10 anni, quindi è veramente come sposarsi un'azienda e questo avevamo all'epoca meno male sottovalutato, perché sennò magari uno la non avremmo fatto.

Sì, la beata incoscienza di fare l'imprenditore se uno sa fai tutti i problemi che deve affrontare non lo farebbe mai. E poi insomma abbiamo detto che questo era l'obiettivo, non c'era ancora un'idea di azienda, come salta fuori la prima idea che vi ha portato a MotorK?

Sì, perché all'epoca non si chiamava MotorK, si chiamava DriveK, stavamo esplorando varie industry, diciamo per semplificarlo c'erano i due estremi: noi abbiamo fatto software per un sacco di aziende nel mondo del travel (online Travel Agency, e così via) e il travel all'epoca era il settore che era più avanzato in termini di digital transformation, adozione tecnologia, potevi già prenotare gli arei online e così via, nell'automotive eravamo l'estremo opposto, cioè il settore che nell'economia reale era gigantesco, ma la digital transformation era ancora molto indietro. Quando noi poi abbiamo iniziato, io mi ricordo scene, ma già due o tre anni dopo, in cui a parlare di “ah, potremmo fare l’e-generation, e veramente non sto scherzando, non è una battuta, ma intendi le lampadine? No quelli sono i led”, ok? E cioè delle cose per cui alcune cose che erano scontate nel mondo del digital marketing, nell'automotive non erano ancora pervenute. Il tema che alla fine ci ha portato lì son state due cose: la prima è che il totale di investimento in venture capital in quegli anni lì 2009-2010, probabilmente in Italia era tipo 5 milioni di euro, una roba del genere, praticamente non impossibile, ma molto difficile raccogliere soldi e far scalare un'azienda nel modo che oggi consideriamo tutti quanti tradizionale cioè Sid, serie A, serie B e così via;  e l'altra cosa è che ha uno dei tre fondatori, Fabio, ha una discreta passione per le auto, tanto che se tu gli chiedi qualunque informazione, di qualunque macchina, lui la sa, ok? E gli dicevamo “pensa che divertimento sarebbe prendere il cervello di Fabio, metterlo in un database e renderlo disponibile a tutti per scegliere un'auto nuova”. Oh, due settimane dopo non incontriamo un tizio che vendeva database per product manager automotive, che permettevano esattamente di fare questo. L’abbiamo considerato un segno del destino e allora abbiamo detto “ok, cominciamo a lavorarci”, mi ricordo Fabio mi chiama e mi dice “mah, faccio solo un'analisi, o visto che ci sono butto giù due righe di software così lo testiamo insieme?” e dico “però, butta due (in quelle piccole scelte poi ci sta il destino della vita) butta due righe di software”, oh, in un weekend tira fuori il primo prototipo che tu cliccavi avevi tutte le marche, cliccavi avevi tutti i modelli, cliccavi avevi tutti gli allestimenti e potevi vedere l'equipaggiamento delle macchine, lo guardiamo e diciamo “questa roba qui è pazzesca” e basta, da lì siamo fatti trascinare.

Qual era il vostro business model iniziale con DriveK?

Con DriveK era l’e-generation, quindi noi permettevamo ai consumatori di comparare, confrontare, tutti i possibili marche, allestimenti, modelli, versioni, equipaggiamenti, optional, chi più ne ha più ne metta, e poi magari di richiedere tre preventivi, due preventivi, per due auto che erano la più interessanti, entrare in contatto con qualcuno, tendenzialmente un concessionario locale, che potesse fornire questo preventivo e poi proseguire offline per la negoziazione della vendita. E quindi diciamo monetizzavamo il contatto per la richiesta di preventivo se volete, tra la persona interessata a comprare un'auto nuova e chi era in grado di venderla.

Parlando un po’ del lato personale di questa storia degli inizi di MotorK, avete deciso di iniziare questa nuova avventura, di fare questa startup, intanto esisteva ancora l'agenzia che vi aiutava un po’ a finanziare tutto ciò, però tu lavoravi a Milano a quei tempi la tua compagna che diventerà poi tua moglie, viveva a Torino con già il vostro primo figlio, che in tutto questo tra l'altro non stava bene stava in ospedale, tu facevi avanti e indietro Milano-Torino, cercavi di iniziare una startup che, come tutti sappiamo, è assolutamente totalizzante, come esperienza. Come bilanciavi le due cose? Come hai come hai vissuto quel periodo di pressione, una cosa che ti ha segnato abbastanza questo in questo percorso?

In realtà, l'unico modo, secondo me, con cui sopravvivi e che non ne hai piena consapevolezza di quante palle sono in aria e quindi c'è un vecchio detto che se sei nel mezzo dell'inferno continua a correre perché nessuno vuole stare fermo lì. Quindi sei lì e in una specie di trance vai avanti e quant'altro, tra l'altro quando abbiamo lanciato, che era aprile 2010, come hai detto, il mio primo figlio che aveva 9 mesi aveva avuto un collasso cardiaco, era in ospedale e quant'altro e quindi noi avevamo cancellato il matrimonio, perché sì, abbiamo fatto un matrimonio riparatore, tutto quanto al contrario, però non abbiamo fatto ancora addio al celibato e al nubilato, quindi esattamente tutto quanto al contrario, abbiamo cancellato il matrimonio, pensavamo di cancellare il lancio dell'azienda. Non solo mia moglie, ma in generale tutte le nostre mogli dei soci, sono state A dei grandi finanziatori, perché lavoravano mentre noi investivamo tutti i soldi nella startup, e B hanno avuto una pazienza inaudita e quindi lei mi fa “se non vai” perché Te Crunch ci aveva invitato a andare a fare un pitch a Londra, a un evento che si chiama Kig and Roll ad Aprile 2010 quando c'erano le ceneri vulcaniche in giro per l'Europa, non pensavo di andare per la situazione… “se non vai te ne pentirai per il resto dei tuoi giorni, vai, basta che torni in tempo per il matrimonio” e lì la storia è lunga, nel senso che siamo andati in macchina a Londra guidando tutta la strada e facendo il cambio per arrivare nel più breve tempo possibile, sul palco abbiamo concluso il nostro pitch in cui dicevamo di essere Kayak per le macchine, Kayak e il sito tipo Trivago, comparazione del travel, anche li eravamo partiti dalla nostra esperienza travel riadattata all'automotive, e concluso il pitch dicendo “perché alla fine le macchine non si fermano con le ceneri vulcaniche”, questo suscitato grande empatia e ilarità in tutti quelli che erano bloccati strand lì a Londra, è stato molto divertente e già prima di scendere dal palco avevamo 7-8 contatti di vc erano interessati a investire e che dicevano “aspetta dobbiamo parlare, non andare via dall'evento”. Peccato che io dovevo tornare dopo 70 ore a a fare il battesimo di mio figlio e il matrimonio contemporaneamente nello stesso giorno, e allora quella è stata una delle volte in cui ho chiamato mia moglie e ho detto “allora, tutto bene”, lei mi ha detto “che è successo?”, “torno eh, però non domani, dopodomani, mi piglio un giorno in più per incontrare vc” e quindi il giorno dopo estendiamo una notte, una tripla in un hotel due stelle di Londra che non ti racconto, perché è tutto quello che ci potevamo permettere e cominciamo a incontrare i vc. Però qualcuno ci fa un po’ qualche abboccamento, però diciamo non è che in un appuntamento, soprattutto degli italiani, nessuno all'ora di questi vc UK investiva in Italia, quindi non ci arriva un term sheet in 24 ore, e allora io dovevo tornare con la scusa che dovevo tornare diciamo, ci rivediamo tra un paio di settimane, vado mi sposo e torno. Sul viaggio di rientro all'altezza, metà della Francia, Lione, Grenoble, stavamo andando giù, ci arriva un messaggio che il primo cliente piazza un ordine consistente e praticamente diventiamo a breakeve in istantaneo e l'ordine era più o meno 250.000 euro, che era più o meno lo stesso che alcuni di questi vc ci avevano lasciati intendere che era il loro primo ticket di investimento. Ad oggi vc da 250 mila euro non li fa più nessuno, come è cambiato il mondo, menodi due milioni e mezzo non parli, però diciamo, scherzi a parte, quindi guardiamo quest'ordine diciamo “oh, magia”, nel senso è arrivata lo stesso, non abbiamo fatto nessuna diluizione e da lì siamo andati avanti facendo principalmente bootstrapping, cioè prendendo un po’ come detto, i soldi dell'agenzia, poi l'azienda di software agenzia nel tempo le abbiamo vendute e dirottando tutti gli utili per cercare di investire noi stessi, di farla crescere e per sei anni non abbiamo raccolto fondi.

E questa cosa di non aver raccolto fondi e siete partiti insomma con le vostre risorse, investendo i vostri capitali, se guardi indietro oggi con tutto quello che è successo, secondo te sarà stata giusta per MotorK?

Questo è difficile da rispondere perché diciamo, col fatto che abbiamo fatto bootstrap, per esempio per un sacco di tempo non abbiamo avuto middle management in azienda, quindi l'azienda era noi tre, poi diventati nel tempo quattro fondatori e un sacco di persone operative, ma non c'era struttura di management e questo ha funzionato per un primo periodo e poi è diventato il collo di bottiglia dell'azienda e quindi molte cose, per esempio, non hai investito dove dovevi investire, non hai fatto le cose nel modo giusto, ma le hai fatte tutte un po’ cheap. Aiuta a essere lean, aiuta essere agili nella struttura dei costi, ma ne paghi un prezzo perché non hai managerizzato l'azienda, non hai messo i processi giusti e quant'altro. Pro e contro, sicuramente avere un po’ di soldi all'inizio, poi un po’ di più, poi un po’ di più, ti educa anche a spenderli. Uno degli errori che abbiamo fatto è avere il tipico effetto che quando ti arrivano da zero a 10 milioni in tasca tutti quanti assieme, cominci a spendere in tutte quelle cose che non ti sei mai potuto permettere, tipo “ah prendo tre persone qua, apro questa country, faccio questo e quest'altro” e fai casino, perché ovviamente non hai l'esperienza per allocare il capitale in maniera così precisa e così tanto tutto assieme e quindi bruci i soldi inutili.

O ne hai troppo pochi e devi trovare il giusto balance di non troppi né troppo pochi per fare le cose in modo giusto. E però poi dopo questi sei anni avete deciso di fare il vostro primo round di fundraising con un fondo di venture capital, come avete preso questa decisione, che tipo di partner avete cercato?

Abbiamo preso questa decisione perché ci rendevamo conto che in Italia funzionava, crescevamo bene, tripla cifra anno su anno su anno su anno e all'epoca di fare internazionalizzazione da un'azienda italiana, un'azienda tech italiana, quelle che c'erano riuscita erano Youx, Venere, ma tipo due o tre, e quindi quella cultura, quel Dna, quelle conoscenze, come si apre una country, tutte cose che adesso sono super semplificate, c'è un sacco di community e persone a cui chiedere, tutte cose che non c'erano nei libri di scuola della startup, e quindi ci rendiamo conto A che c'è bisogno di capitale per fare il secondo Paese, avevamo cominciato a mettere un piedino in Spagna e c'eravamo già resi conto che ci mancava uno zero o due sul conto corrente, e la seconda cosa che quelle expertise A non ce l'avevamo, B non ce la potevamo comprare, e allora decidiamo scientemente di fare un giro di fundraising, un round di funding, ma esclusivamente cercando un vc internazionale, che avesse esperienza internazionale e che avesse visto n realtà scalare da un Paese a 10-20 e quindi diciamo quello che si chiama smart money, cioè che ci potesse insegnare qualcosa oltre che darci dei soldi. E quindi abbiamo cominciato a fare, con l'aiuto di un po’ di persone tra cui un nostro mentore advisor che adesso born member, un po’ di intro a fondi internazionali, onestamente l'Italia non era esattamente forse il primo Paese in cui questi player internazionali investivano, però diciamo un po’ di bravura, un po’ di creatività italiana, un po’ di fortuna, siamo riusciti a trovare all'epoca i titoli North come investitore, come lead, che poi ci ha aiutato a trovare Zoobito, che ha fatto follower che sono specializzati in B Sas, e quindi siamo riusciti a raccogliere questi 10 milioni di dollari, che all'epoca era uno dei più grossi round, adesso girano bot da centinaia, ma all'epoca 10 milioni di dollari era forse uno dei più grossi silicei italiani di tanto tempo fa, come è cambiato il mondo.

Sì, ne parlavamo infatti nell'intervista che abbiamo fatto a Davide Dattoli, che diceva che all'epoca tirar su un milione o anche 5 milioni era come un biliardo adesso, soprattutto in questi ultimi due anni si sono viste delle cifre assurde nei fundraising e quando abbiamo parlato con te la prima volta ci hai detto che tu, e magari anche il team insomma, avete fatto tutti gli errori possibili. E come founder dell'azienda, come gestisci questi errori? E sappiamo che gli errori fanno parte del gioco per una startup e, anche insomma in generale nella vita, quindi che consiglio ti senti di dare dalla tua esperienza, dei tuoi errori?

Allora, confermo che li abbiamo fatti quasi tutti, adesso hanno vedere se c'erano due o tre che mi mancano, ma probabilmente a breve completiamo l'enciclopedia degli errori e anche perché, secondo me, tanto tempo fa, adesso sarei curioso di sapere cosa Davide e altri ne pensano, ma tanto tempo fa era più difficile, cioè c'era meno community, c'erano meno altri a cui chiedere, a cui appoggiarsi, adesso diciamo una cosa che a me piace tantissimo è che in Italia cominciamo ad avere una community di CEO, di scale up che più o meno quando ti parli hai un po’ gli stessi problemi e magari tu hai risolto uno, io ho risolto unaltro, quello ha risolto un altro, ci confrontiamo, ci aiutiamo e facciamo un po’ meno danni. All'epoca era inventare da zero, fare community internazionale era super complicato, erano proprio difficili da trovare i tuoi peer e quindi ne abbiamo fatti di tanti tipi, alcuni più gravi, cioè alcuni che ci hanno portato quasi al fallimento, altri più lievi, ma credo che sia normale, nel senso secondo me, io quello che una volta ho detto al team è “vuoi prendere un'azienda e portarla a valere un billion, ecco c'hai da risolvere mille problemi da un milione di euro, ma son mille, ok?” il problema è che non li puoi risolvere mille tutti assieme, cioè in una Skailup la differenza tra un'azienda che cresce il 3% e un'azienda che cresce il 70 il 100 il 150 o quello che è, è proprio che i problemi continuano ad arrivare e non c'è modo fisico di risolverli tutti contemporaneamente, quindi la cosa è A, devi capire quali sono quelli che davvero ti ammazzano o no, metaforicamente, come azienda e quindi andare a risolvere in maniera deliberata quelli giusti, e B, devi imparare velocemente, perché se indugi nell'errore per tanto tanto tempo, poi l'azienda si impunta, nel senso che va muso nel terreno e da ritirare su è un casino, riaccelerare una skaylup è complicatissima e noi ci siamo riusciti una volta ma è stato un turn around dove è stato emotivamente complicatissimo, c'è stato in mezzo il covid e quant'altro, quindi è stato molto faticoso, quindi imparare velocemente. Ad oggi direi, cosa che non abbiamo potuto fare, una community, devi vivere con altri che hanno i tuoi stessi problemi, ti devi confrontare tantissimo, devi imparare da qualcuno che, non 10 anni avanti perché cambiano le regole del gioco e quindi ti insegna delle cose che sono vecchie, ma 2-3 anni avanti, quindi uno stage avanti è manna dal cielo e imparare velocemente, metterti in discussione, alla fine se vuoi continuare a fare il ceo di una startup da quando sei tre amici che fanno a quando c'hai 500-1000 dipendenti, devi diventare una persona diversa ogni due anni, ed è come se ti devi togliere la pelle e cambiare ogni due anni. A me capita ogni tanto che ho dei momenti un po’ di se vuoi di crisi, nel senso che mi rendo conto che c'ho degli ostacoli grossi davanti, ma l'ostacolo sono io che diciamo è la mia zona di comfort che non riesco a attaccare quella roba lì, e ogni tanto mi rendo proprio conto che ho un dialogo interno con la mia vocina nel cervello e dice “vabbè, ascolta Marco, se non se non cambi questa roba di te non andrai avanti, quindi o molli, passi il testimone a qualcun altro, te ne devi fare una ragione, fino a ieri eri così, da domani devi diventar cosà”.

A questo punto Marco e MotorK sono chiamate ad un’importante scelta, che dopo tante peripezie li condurrà fino alla quotazione in borsa. Vi aspettiamo la prossima settimana con la seconda parte di questa splendida avventura.

Ti riporto sulla strada di MotorK e un po’ indietro nel tempo, ma la storia di MotorK è piena di aneddoti molto interessanti che fanno capire quanto anche serendipity, si dice in inglese, ma fortuna, fa parte di questo percorso. Ovviamente, come si dice, se non lavori la fortuna non arriva, ma volevo farti raccontare il momento del vostro pivot più importante nel 2012, quando siete diventati effettivamente una società SAS che ha un po’ cambiato tutto l'assetto di MotorK. Ci racconti un po’ com'è successo, dove, come, perché, cosa hai dovuto fare per farlo succedere?

Noi eravamo partiti con un approccio B to C, quindi offriamo qualcosa a un consumatore, arriveranno un sacco di loro e li monetizziamo con l'industry, e già 2011/2012 qualche concessionario un po’ più smart era venuto da me mi aveva detto “bella ‘sta tecnologia, me la dai per me? Cioè, me la fai white label? Me la metti a nome mio e la integro nella mia presenza digitale?” e noi al primo abbiamo detto no, al secondo le abbiamo detto no, al terzo abbiamo detto vattene via, perché eravamo proprio tonti tonti e quindi insisti e poi un po’ per curiosità, un po’ perché tutti noi fondatori arrivavamo dal tech, dal software, quindi dovevamo imparare il mondo della distribuzione automotive e allora vado con l'associazione dei concessionari a un evento a Las Vegas, che è la conferenza dei concessionari americani, che un po’ l'evento principe dove tutte le innovazioni, tutte le cose vengono presentate. Vado lì e, me lo ricordo come se fosse ieri, partiamo con queste 60-70 concessionari italiani che andavano in visita e ci facciamo un Milano-Londra Londra-Las Vegas, andiamo a vedere questo evento, io effetto bimbo giostre, che corro da uno stand all'altro, faccio mille domande, poi ero giovane, ero molto naiv e quindi ero proprio spontaneità ed eccitazione all'ennesima potenza. Rubo qualunque libro, brochure, quant'altro, non so come ci ho fatto stare la roba in valigia, praticamente mi son portato la fiera via con me e così eccitato ed esaltato che sapete che i voli US che vengono di qua partono praticamente tutti la sera, fanno il viaggio in notturna e io ho rotto le balle per quattro ore fino a notte fonda a ‘sti concessionari, raccontandogli tutte le figate che avevo visto lì, perché avevo visto il futuro, era come se qualcuno mi avesse detto “guarda, tra tre anni il mondo sarà così, tra 5 anni il mondo sarà così” e quindi ero gasatissimo e questi qua mi dicono “guarda Marco, probabilmente non siamo stati lo stesso evento, abbiamo capito che tu hai capito delle cose che non abbiamo capito. Facciamo così, arriviamo, adesso faccia andare a dormire che siamo stanchi, arriviamo a in Italia e tra qualche settimana organizziamo un evento in cui tu ci racconti per bene tutto quanto e magari ti facciamo qualche domanda” e da lì veramente serendipity, sono nate una serie di cose. Da lì è nato, questo era a Febbraio 2012, una roba del genere, e tipo Aprile 2012 facciamo un evento, perché poi da cosa nasce cosa, dico “vabbè invito 10 concessionarie, però non posso stare tutto solo, allora chiamo un amico che era in Google, un amico che era in Autoscout, così , due, tre persone…” è uscito in due mesi un evento con 650 persone al principe di Savoia, in cui c'era metà dell'industria automotive e io sul palco che raccontavo queste robe insieme una serie di altri player diecimila volte più grandi di noi e da lì è nata la relazione con l'industria, con i concessionari, con le case automobilistiche e quant'altro, dove abbiamo capito come fondatori, abbiamo imparato la lezione, che il nostro DNA era B to B, il nostro DNA era software, il nostro Dna non era porta il consumer e così via e quindi abbiamo cominciato nel 2013 a fare il primo cliente che faceva software del service, ci abbiamo messo 2-3 anni a sviluppare un po’ bene il software, credo che il primo milione l'abbiamo passato al 2017 e quindi abbiamo fatto poi una crescita con una pandemia in mezzo fino alla quotazione che è stata abbastanza intensa se vogliamo dire così, più del 100% anno su anno.

Insomma, siete partiti su questa strada di crescita, ma le cose non sono, questa è una cosa che secondo me è importante sottolineare, non sono mai state facili, quindi anche dopo il pivot, anche quando la crescita era fortissima, comunque stavate bruciando tantissima cassa perché dovevate spendere un sacco di soldi per potervi mettere in questa posizione e ci hai raccontato varie anni neardess experience, cioè siete arrivati anche a dei momenti in cui dicevate “se continuiamo così non so se riusciamo ad arrivare a fine dell'anno…”

Alla fine del mese!

Alla fine del mese! Prima di riparlare della pandemia ti rifaccio questa domanda che è: come mantieni la barra dritta in tutto ciò? Cosa ti dà la forza di non mollare? So che poi quando uno è dentro, più sei dentro più difficile mollare, comunque cosa ti fa voglia di dire “no, possiamo risolvere questo ennesimo problema”?

Allora, prima ha senso probabilmente per gli ascoltatori raccontare un po’ queste neardess experience, cioè queste drammatiche situazioni. Innanzitutto una cosa, la maggior parte derivano da nostri errori, non è che il dottore ci ha detto voi dovete spendere tutti e 10 milioni in 24 mesi, quindi una roba che ho imparato è che la maggior parte delle skale app muoiono non perché non hanno da mangiare, ma perché mangiano troppo. Tutti i founder, ma è anche normale che siano così, sono ossessionati dalla crescita. Un po’ perché il business della tecnologia è così, tu inventi qualcosa, se poi aspetti vent'anni, quel qualcosa è una commodity e quindi nel più rapidamente possibile devi distribuire il più ampiamente possibile perché è lì che crei valore, un po’ devo dire e spero che chi è più indietro di me non si faccia influenzare, sta roba del della pressione, del circo della pressione che t'arriva per cui “ah se non cresci triple digit ogni anno allora non vale la pena”, è un po’ una narrativa che rischia di far sbagliare le persone dove magari ha senso che un anno invece te lo prendi per sistemare la roba e poi i paesi li fai. L'esempio tipico è che noi abbiamo fatto tre Paesi uno in fila all'altro e abbiamo fatto l'errore che fanno tutti, nelle ultime settimane ho parlato con due scale app che sono più o meno nella nostra categoria, uno un po’ più giovane e tutti quanti fanno internazionalizzazione copiando il primo Paese, cioè il paese di casa, che è la roba per sbagliata del mondo perché nel paese di casa tu hai delle magie, delle robe che ti riescono un personal power, un tuo network, con un understanding veramente granulare delle cose, che non ce l'hai nel secondo paese e quindi le internazionalizzazioni dovrebbero insegnarci che si fa: il primo paese e sei tu, il secondo lo fai manageriale, cioè lo fai con il processi, con un playbook, quando il secondo ti riesce poi cloni il secondo tutte le volte che vuoi, ma se il cloni al primo tre volte poi ti schianti, perché non ci sarà mai il founder, per quanto tu puoi trovare qualcuno appassionato, non sarà mai il founder che ti porti a bordo per aprire quel paese e li abbiamo fatto, lì siamo arrivati convinti che tanto sarebbe tutto successo con un grado di ottimismo forse un po’ eccessivo, siamo arrivati a bruciare più di un milione al mese e siamo arrivati probabilmente non a un mese di cassa, ma sei settimane di cassa e li diciamo in azienda devi sempre mandare l’aplomb, trasmettere sicurezza al team, che sei in controllo e così via, però mia moglie mi ha visto piangere, vomitare, disperarmi a casa, essere ridotto veramente un cencio. Poi nel tempo guadagni un po’ di gestione emotiva, spero, che sennò, diciamo non stai crescendo come funder, però guadagni un po’ di gestione emotiva, un po’ di centratura, non va in panico e quant'altro, però quando sei agli inizi e hai preso una roba che stava andando e sei riuscito a sbagliare delle robe, mandarla a 180 all'ora e vedi il muro che non sai se riesci a sterzare in tempo, ti senti un senso di angoscia, responsabilità. Diciamo, non lo so, per me mollare non è mai stata l'opzione e ti devo dire probabilmente una caratteristica è che nel momento in cui la situazione è al peggio, è il momento in cui io tiro fuori il meglio. È figlio di aspettare gli ultimi tre giorni prima dell'esame per studiare probabilmente, un pattern, quindi ti direi che un po’ diciamo mollare non è sul piatto per molti, sennò non arrivi neanche lì, perché è molto più facile mollare prima, perché se molli l'inizio fai pochi danni, più tardi è e più molli il botto è grosso e quindi se hai avuto la resilienza all'inizio tendenzialmente poi lo consideri davvero come tagliarti un braccio, è una roba che prima mi dici “devi tagliarti un braccio”, vuol dire che veramente non hai più alternative e un po’ avere attorno tra i founder, la squadra, le prime persone che si uniscono, un team che è un team, un po’ ti senti sempre solo, ma che non ti senti completamente solo.

Parlando un appunto di questo e anche di difficoltà sempre, la pandemia lo ha accennato in vere tue risposte, è stato particolarmente difficile perché siete entrati che bruciavate cassa, che stavate cercando di fare questo cambio di direzione e il mondo si è fermato e avete dovuto mettere metà del team in cassa integrazione e ristrutturarlo un po’ per andare in questa nuova direzione. Come vi ha cambiato questa esperienza?

Io ho festeggiato il mio compleanno facendo una cassa integrazione, non pensavo che la cassa integrazione si potesse applicare al tech, cioè da piccolo l’ho vissuta come una roba che le fabbriche in difficoltà fanno la cassa integrazione. Il fatto che potessi arrivare in un mondo in cui un'azienda di software che tendenzialmente fino a ieri cresceva, è costretta a fare cassa integrazione perché i suoi clienti vengono chiusi per legge, che i concessionari auto erano chiusi per legge, è stato veramente panico. Oltretutto io nel 2019 ho fatto qualcosa tipo 180 aerei, 150, non mi ricordo neanche, quindi ero ogni giorno in uno dei nostri uffici in giro per l'Europa, il team lo vivevo fisicamente, pensa essere l'opposto del remote, pensa essere chiuso in una casa, tra l'altro con tre figli in dad piccoli, quindi un grado di caos e di compressione familiare non banale, chiuso in una stanza, emotivamente personalmente. Adesso molti founder adesso cominciamo a dircelo, ma molti founder sono tra virgolette andati in depressione in quel momento lì, perché ti senti tutta la responsabilità sulle spalle ed è la definizione di impotenza, perché ti senti che non puoi far niente, è il destino che ti è arrivato davanti e ha detto “è così” e quindi i primi periodi sono stati durissimi. Oltretutto entrati con “chissà se abbiamo cassa per arrivare dall'altra parte” e poi il team nei momenti peggiori si unisce invece e tira fuori delle cose inaudite, quindi noi siamo entrati che bruciavano cassa e siamo usciti che eravamo profittevoli. Ovviamente il Covid ha accelerato dei processi di digital transformation che altrimenti ci avrebbero messo molto più tempo e quindi nel dramma della situazione, in realtà molti business digitali poi hanno avuto una coda di uscita che è esploso in positivo, però quando siamo entrati… esperienza che non auguri a nessuno nella vita.

E come ci hai detto sei una persona che non si riesce a rilassare, che deve sempre fare e infatti nel 2021 dopo tutto questo periodo che ci ha raccontato pesantissimo, hai deciso di non alleggerirsi la vita, ma hai detto di mettere MotorK sull’APO track e di portare la società a quotarsi sul mercato in un momento difficile per i mercati, sicuramente meno difficile di quello che è in questo momento, quindi sembra quasi che era un periodo bello rispetto adesso, ci racconti i punti salienti di questa esperienza e di fare APO?

Prima cosa, devo ammettere onestamente che l'idea non è stata mia, il mio cerman, che meriterebbe una puntata qui, lui e di Tel Aviv quindi non può fare Made IT, ma meriterebbe una puntata per il tipo di esperienza e competenza e stabilità emotiva che ha portato in MotorK da quando è arrivato, un giorno mi chiama e mi fa “Marco, ma qui a Tel Aviv sto contando altre due aziende e MotorK non ha nulla di meno anzi addirittura è più grande e quant'altro, perché non esploriamo una quotazione?” io ero ancora un po’ nel mood “è già un miracolo che siamo sopravvissuti, non sfidare la sorte, va bene così, stai stai schiscio e assicurati che esci dalla pandemia prima di tentare cose” però poi ci abbiamo ragionato e qui ovviamente super segreto solo io e lui, non puoi dirlo a nessuno, perché se uno dice a qualcuno crei un'aspettativa, se poi quella aspettativa non funziona rimangono tutti delusi, allora fai un po’ di telefonate, cerchi di capire e a quanto pare la finestra è aperta, come si dice nel gergo, cioè le banche cominciano a dire guarda ci piacerebbe e così via. Ti arriva la folgorazione e dici “cacchio questo qui sarebbe una scelta che sistema tutto. Sistema tutto cosa vuol dire? Che uscito dalla pandemia come CEO dell'azienda devi trovare il modo di far cambiare focus al team, da sopravviviamo a guarda che in realtà qua possiamo vincere e conquistare l'Europa, che è una cosa su cui quando hai centinaia di persone che non puoi neanche fisicamente guardare negli occhi che mettere nella stessa stanza, è come far sterzare una nave da crociera, cioè ci vuole una fatica. L’IPO su questo è taumaturgica, cioè fa tutta una serie di cose: ti dà il funding, ti aiuta a creare uno storytelling, quindi era una cosa perfetta. Lì, Amir, il cerman e io, abbiamo una decisione che l'unica cosa per cui ci siamo riusciti a quotare che è: noi definiamo il calendario più corto possibile e non lo cambiamo e lottiamo fino a… le IPO tu fissi una data mediamente scarrocciando, perché poi succedono cose, noi non solo abbiamo fatto l’ IPO ma abbiamo fatto tre acquisizioni in parallelo, da chiudere entro la IPO, che vuol dire un lavoro 5 volte più complicato e su una roadmap un po’ meno di sei mesi che è veramente corta, siamo arrivati in ritardo di tre giorni. Se noi fossimo arrivati in ritardo di altre tre settimane, due settimane, non ci saremmo quotati, perché siamo arrivati in fondo alla finestra dove un po’ c'erano state tante IPO e quindi PMI manager erano stufi e vogliamo solo andare in vacanza, un po’ si cominciavano ad avere le avvisaglie di quello che poi purtroppo è successo nei mesi successivi e di tutti i mercati probabilmente il più sensibile e fragile è proprio quello delle IPO prima che crolli il Nasdaq o qualcos'altro e infatti un banker ci ha detto “vabbè voi siete vi siete quotati e avete chiuso la porta dietro di voi”, ed è stata un'esperienza intensa.

Ci vuoi raccontare un po’ di più di quella storia o alla fine era un po’ più off limits quelle ultime 48 ore?

Vi posso raccontare con un po’ di tatto, come dicevo, abbiamo percepito man mano che stavamo arrivando, che la finestra si stava chiudendo, poi come molte operazioni APO alcune cose possono andare dritte o storte, quindi qualcuno può fare degli errori e possono succedere delle cose che non è qui diciamo, non mi dilungherei su questi dettagli, ma diciamo che per una serie di motivi nelle ultime 48 ore mancava un pezzo dell’APO, mancavano dei soldi, mancavano degli investitori che non erano arrivati al momento al dunque e quindi noi ci siamo ritrovati a il giorno prima della celebrazione, quindi del giorno di listing, a dover raccogliere ancora qualche milione e avevamo tre voli prenotati per Amsterdam e aspettavamo di aver finito la raccolta prima di… non vai ad Amsterdam se poi non c'è niente. Il volo primo della mattina mancato, il secondo volo a ora di pranzo mancato, facciamo call con la banca e panico generale, quelle cose che dovevano arrivare non arrivano e allora cominciamo a chiamare chiunque, dovunque, ieri sera ero a fare l'aperitivo proprio con uno di questi che ha salvato la quotazione negli ultimi minuti e noi abbiamo raccolto, ma tipo gli ultimi due milioni, tra il taxi e l'aereo, a Linate, con la signorina della compagnia aerea che ci ha spento fisicamente il telefono mentre facevamo una telefonata e quindi abbiamo fatto il volo Linate-Amsterdam senza sapere se tutte le operazioni erano andate apposto, era tutto quanto burocrazia e quant'altro e solo atterrando abbiamo scoperto che era andato tutto dritto, c'eravamo riusciti, però è stato gli ultimi tre giorni è stato veramente trans agonistica, cioè nel senso che cioè non vivevi nel mondo reale, vivevi in questa bolla in cui stavi cercando di gestire 23 palle in aria, è stata veramente esperienza da raccontare ai nipotini.

Sì, infatti una cosa che vogliamo fare su Made IT è fare vedere tutto quello che c'è dietro quel bell'articolo sul giornale che dice “siamo quotati in borsa!” o “abbiamo fatto questo mega rase 100 milioni!” che sembra che sia quasi caduto dal cielo, “ah, sono fantastici, tutto va bene”, mentre la realtà è che si sputa veramente sangue per arrivare a certe cose e infatti non è da tutti riuscire ad avere una determinazione per affrontare una serie di problemi, come dici tu, uno dopo l'altro, costantemente sempre sempre sempre. Diventare una società quotata, per tornare alla quotazione, diciamo non è uno scherzo, richiede tantissimo lavoro professionalità, tu hai iniziato questo percorso di imprenditori quando eri ancora un ragazzo molto giovane, in che momento della tua carriera negli ultimi anni pensi di essere diventato il CEO che sei oggi?

Implicitamente hai detto che sono vecchio, no sto scherzando, guarda l'ho menzionato prima, per me, io adoro quelli che sembrano dei natural, che partono a 23 anni e ti sembra che c'hanno l'esperienza del CEO di Procter and Gamble. Io purtroppo non sono così, nel senso ho dovuto faticare lungo il tragitto ed è un costante, devi imparare a estrarre da te stesso e vedere i tuoi limiti in quel momento lì, e questo già richiede un percorso, quando il meccanismo di intercettare i tuoi bias mentali, i tuoi dialoghi interni sbagliati e tutte le cose che c'hai storte dentro di te, cominci a capire che le intercetti, lì è una questione che mi ha insegnato una persona con cui ho avuto un rapporto molto difficile, però questa un po’ di cose me le ha insegnate che è you have to be comfortable and being uncomfortable, cioè devi imparare a convivere col fatto che se cerchi la comodità hai sbagliato mestiere, se cerchi il stare coerente a te stesso, hai sbagliato mestiere, perché l'azienda che gestisci quando sai 5, non è l'azienda che gestisci quando sai 30, 100 non è 500 e così via e tu non devi essere la stessa persona, non devi fare lo stesso ruolo e probabilmente sei costantemente il botnext può essere un limite dell'azienda e devi proprio far la muta, per me è a scalini, io lo vivo così, funziona funziona funziona, non funziona e allora c'ho un po’ di strascico e non funziona finché il dolore di non funziona è intollerabile, momento di catarsi, ok, vabbè devo andare qua, il problema è quanto dura questo e quanti danni faccio all'azienda finché sono in questo stato qua, però cerchi quantomeno, ci provi a fare uno step up e finché riesci e continui così. Diciamo alla fine sei il prodotto delle cose che, non degli errori che hai fatto, ma delle cose che hai appreso dagli errori che hai fatto, è tutto lì.

Hai mai preso un momento per riguardare tutto il tuo percorso, a parte oggi, come hai detto dove ti ho fatto la psicanalisi e cosa ti sorprende di più di dove sei oggi?

La premessa è che io sono mediamente naturalmente sempre insoddisfatto dello status quo e qualche volta quando sei con un amico a farti una birra, gli racconti un po’ le tue frustrazioni, qualcuno di questi ti manda a quel paese dice “ma scusami, ho preso una roba da zero, l'hai guidata fino a diventare 500 persone, le quote, perché…?” e allora lì magari fai un attimo di retrospettiva, sennò tendenzialmente quando ti raccontavo che fin da bambino ero un po’ restless, un po’ in difficoltà di stare fermo e questo essere proiettato nel “cosa posso creare domani? Come posso fare questa roba meglio?”, che il fuoco che mi brucia dentro ma non ha neanche senso, cioè non è una roba, devi capire come sei fatto e devi metterlo a vantaggio e a servizio del progetto e infatti faccio, per esempio, una roba che ho imparato faccio molto fatica col team a celebrare. Alcuni dei miei che ormai m'hanno messo la tara, quando arrivano quelli invece “ma Marco non ti dice mai bravo fantastico dai questa roba qua celebriamolo è così”, no, quando Marco dice bene è bomba, quindi questa è una delle cose su cui ancora devo fare un passettino, vivo un po’ nei sensi di colpa di non aver fatto tutto perfetto e quindi di fare quel pezzettino sempre in più.

E riesci comunque ad essere felice nella tua vita anche se hai questo outlook così, non negativo, ma perfezionista sulla cosa che fai?

Forse perfezionista è eccessivo, però diciamo un po’ kaisen, cioè di continuare a migliorare e quant'altro direi sì perché io sono convinto dall'inizio che il gioco, inteso come metafora, non è a raggiungere un posto ma fare un bel percorso, quindi secondo me non c'è uno stato finale. Molti mi dicono “ah ma quando arrivi magari in fondo è più facile o ti siedi il mondo attorno a te funziona per magia”, io non l'ho mai visto succedere neanche a quelli che stanno più avanti mi hanno mai detto che è una roba del genere, diventi più bravo ma non diventa mai più facile e puoi essere pure il CEO di Google, continui avere una tonnellata di problemi e continua a essere sempre così, ma il bello è nel percorso che fai e in come quello influenza te e come insieme, tu e il progetto, perché comunque ci sei tu e c'è il progetto, il progetto non deve essere mai, quando detto prima “tagliarsi un braccio” è sempre la cosa che devi renderti conto che non è così, ti viene così ma non è così, perché il progetto è separato da te, e il progetto oggi c'è domani non c'è o ci sarà magari un giorno in cui non sarò il miglior CEO per un MotorK, deve essere una roba che è sul piatto e non deve essere impossibile parlarne o pensarlo, o non devo sentirmi che ho buttato tutto perché dopo 18 anni qualcun altro esegua e operi meglio di me quello che sta succedendo.

E domanda collegata a questa, non ti chiedo se ti ritieni una persona di successo, ma quando ti riterrai una persona?

Eh no, qua ti stupisco, mi ritengo di successo già da un sacco di tempo, nel senso che ti dico qual è la condizione che un giorno l'ho capita nel mio cervello: quando guardando indietro non cambieresti troppe cose, adesso zero è impossibile, ma quando accetti tutto quello che è successo come diciamo un prodotto di un percorso e non dici “cacchio però queste queste e queste che poi ti viene un mood un po’ vlumy, è un po come si dice in italiano, un po’ depresso lì, risultato raggiunto. Poi, ripeto credo di essere onestamente, credo di essere super fortunato, ho una famiglia bellissima, ho un progetto che mi piace, mi sveglio la mattina felice di andare a fare quello che faccio, sono fortunato economicamente, faccio fatica a trovare una roba, come dico sempre, se mi se mi lamento mi viene giù un fulmine e mi brucia dall'alto, nel senso perché ce ne vuole a dire che questo non è già una vita di successo, quindi su questo ti stupisco come risposta.

Sono stata molto felice di essere stupita perché avevamo un po’ adattato questa domanda, perché quando chiediamo una domanda sul successo molti sono, e anche in questo caso un po’ l'italianità, la gente dice “ma no, ma io non sono di successo” c'è un po’ questa idea sempre di dire che uno non ha mai raggiunto il successo, infatti sono molto felice di essere stata stupita dalla risposta. Siamo finalmente arrivati alla fine dell'intervista e la chiudiamo sempre così: in che modo pensi che la tua italianità ti abbia aiutato nel tuo percorso? E in questo caso, ti abbia aiutato a raggiungere il successo?

Noi abbiamo come italiani una serie di qualità che nell'imprenditorialità funzionano da tantissimo, te ne dico una o die collegate che però potremmo stare qui 20 minuti e probabilmente in molti ci hanno commentato. L'italiano trova sempre una soluzione, noi abbiamo una capacità, c’è un detto napoletano che non provo a ripeterlo in dialetto perché non viene bene la mia pronuncia sarebbe pessima che dice, si fa secco ma non muore, l'italiano trova sempre un modo, piuttosto dimagrisci dimagrisci, ma non muore perché trova sempre un modo e una soluzione e tira fuori una creatività che molti altri non hanno. Questo risuona molto con quando t'ho detto che nei momenti bui che tutte le startup e skylup affrontano e spero che diventi sempre meno un tabù e che la gente non abbia problemi ad ammetterlo, in quei momenti lì, quando sei spalle al muro e diciamo ti sembra che tutte le strade sono chiuse, è lì che ti devi inventare che c'è una strada sopra o sotto che non è una strada canonica, ed è lì che noi ci inventiamo delle robe che magari, senza commentare su altre nazionalità, ma altre nazionalità un po’ più precise, un po’ più schematiche fanno fatica a tirar fuori in quelle situazioni.

Bene grazie mille Marco, ci sembra di aver un po’ vissuto nel film della tua vita, è bellissimo quando le storie hanno così tanti aneddoti, così tanti risvolti che riusciamo a raccontare sul podcast, quindi sicuramente è stata una chiacchierata stupenda e che ci ha dato tanta voglia di metterci in gioco, quindi grazie.

Grazie a voi, grazie dell’ospitalità e spero che la chiacchierata sia utile a qualche ascoltatore da qualche parte che sta vivendo qualcosa di simile, ma 5 anni indietro e magari può avere un piccolo beneficio da qualcuno di questi aneddoti.

Ci tengo a ringraziarti anche io Marco che ogni tanto facciamo i ringraziamenti chi finisce, però trovo che raccontare le esperienze così personali in modo onesto e autentico, non avere nessuna vergogna o eccetera, trovo che sia davvero importante soprattutto in questo mondo dove si vede tanto la perfezione delle storie degli altri e poco la vera sostanza, quindi ti ringrazio molto di esserti aperto a noi.

Un piacere.

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Enrico Ferrari, Venture Builder ed Ex-Global CMO Rocket Internet

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Imen Jane, Co-Founder WILL