Imen Jane, Co-Founder WILL

 

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Imen Jane è la co-founder di WIll Media e divulgatrice di news legate alla politica e economia sui social media.

Imen, nata a Varese da genitori provenienti dal Marocco, cresce ascoltando Al Jazeera. Cosi scopre che la stessa realtà può essere raccontata in modi molto diversi e sorge in lei la passione per la politica. L’attivismo civico la porta ad impegnarsi in varie campagne elettorali e a 22 anni Imen inizia a sperimentare la complessità di gestire i social network per la comunicazione politica.

Col tempo però capisce che la politica, che pure le ha insegnato tanto, non faceva per lei. Chiusa questa esperienza, Imen si porta dentro il dispiacere di vedere tanti giovani senza gli strumenti per avvicinarsi alla politica e così decide di agire: sui suoi social inizia a parlare di economia e temi sociali, in modo semplice e accessibile.

Dopo due anni di creazione di contenuti, incontra Alessandro Tommasi e nel 2020 danno vita a Will, la media company che ha rivoluzionato il modo di fare informazione in Italia.

Ma quando sei sotto i riflettori ogni errore o disattenzione può trascinarti in scandali e polemiche. È quello che succede a Imen che ci racconta con sincerità le sue battaglie legali e di come ha dovuto affrontare vari momenti di crisi.

 

TRASCRIZIONE EPISODIO

Allora, iniziamo dalla tua storia familiare. I tuoi genitori nonostante i loro studi avanzati sono emigrati dal Marocco e hanno ricostruito la loro vita in provincia di Varese in cerca di maggiori opportunità. Spesso i figli di immigrati sono acutamente consapevoli degli sforzi e delle difficoltà che i propri genitori hanno affrontato per dare ai propri figli una vita migliore. È stato così anche per te? Te ne rendevi conto già da bambina? Come pensi ti abbia impattato questo fatto?


Sì, intanto non mi so ancora dare una risposta perché i miei genitori abbiano deciso di andare a Varese con tutte le città che ci sono in Italia, ancora non sto bene il perché, però comunque sì sicuramente è una cosa che impatta molto le famiglie, i figli di seconda generazione perché sanno di grandi sacrifici che fanno i loro genitori per qualsiasi cosa, dal regalo importante, al farli studiare, a fare tutti i grandi sforzi che molto spesso vengono dati per scontato, soprattutto perché per tutti i bambini che crescono magari con i nonni, le zie, i cugini o chissà chi. Mia mamma all'inizio non aveva nessuno, cioè non c'era neanche l'asilo nido nel mio Comune, per cui il primo grande sforzo che ho visto è sicuramente lei che è appena rimasta incinta di me e ha mollato tutto e si è dovuta dedicare alla vita familiare, per cui tante piccole cose si vedono e lo sanno benissimo i figli di seconda generazione. Diciamo che i miei genitori avevano comunque un vantaggio forse in più rispetto a tanti altri che sono venuti partiti da zero e senza magari competenze, quindi forse per loro è stato più semplice, però di certo non con meno sacrifici e quindi i figli diciamo che sono con questa volontà di, in qualche modo, ripagare dei loro sforzi, avere l'appoggio della famiglia della loro parte, quindi sono sempre molto spesso attaccati alle loro famiglie d'origine, molto spesso perché c'è solo quello, ci sono soltanto i tuoi genitori, tutt’ora il grosso della mia famiglia è in Marocco, per cui l'unica famiglia che hai sono tua mamma, tuo papà e i tuoi fratellini, se ne hai, quindi questo è.

Il paesino in cui sei cresciuta aveva poco più di 4000 abitanti, quindi possiamo immaginare non proprio la più grande diversity in città. Tu ti sei mai sentita diversa crescendo e mai sofferto di questa cosa?

Allora, diciamo che paradossalmente il crescere in un piccolo Comune di provincia come appunto era il Comune di Oggiona con Santo Stefano in provincia di Varese è stato paradossalmente più facile perché in quei piccoli comuni ci si conosce tutti, letteralmente, non c'è persona che arrivi nuova e non possa essere vista, riconosciuta e poi dopo tartassata, per cui in realtà è stato molto semplice perché l'inclusione fatta così, su piccolissimi numeri, è molto facile. All'inizio magari c'è un po’ di curiosità, “perché ti chiami così? Perché mangi questa cosa che si chiama couscous?” però alla fine queste piccole differenze si amalgamano molto bene perché c'è un sentimento di comunità molto forte.

Ci hai raccontato che sei cresciuta ascoltando Al Jazeera, che per chi non conosce, è il principale telegiornale del Medio Oriente, che tu padre teneva sempre acceso in casa ed eri già molto attiva nel mondo della politica sin da quando eri ragazza, hai fatto associazionismo già a 15 anni, ti interessavi all'attivismo politico, ti sei iscritta al Pd da vent'anni. Cosa ti ha portato ad interessarti di politica già da così giovane?

 Sì, perché diciamo che vivere e crescere in una realtà diversa, io faccio parte di due mondi completamente diversi, ti porta a fare veramente tante domande, cioè “perché io sono così e gli altri sono cosà?”, per tradizioni diverse, oppure quando andavo in vacanza e tornavo in Marocco vedevo delle cose completamente diverse dall'Italia e mi facevo le domande “perché qui le donne sono libere e di là c'è molta difficoltà per le donne di fare quello che vogliono?” quindi tante domande e ti portano ad essere curiosa fin da piccola. Poi appunto i temi che erano molto caldi a livello politico e quando ero piccola io, le varie guerre in Medio Oriente, tutti gli attentati, poi vabbè non parliamo dell'11 settembre che ha cambiato il mondo, tutti questi piccoli microtraumi globali magari non erano sentiti dai miei coetanei che vabbè, non hanno cambiava la loro vita, la mia sì perché era qualcosa che toccava anche la mia identità, quindi cioè tu dici “io sono araba e sono uguale, simile a quelle persone che hanno fatto quelle cose lì”, quindi tu sei lì che dici “ma perché fanno così? cosa è successo?”, quindi ti parte una curiosità, ovviamente avere Al Jazeera, un canale all news tutto il giorno acceso, ti aiuta ad avere una diversa visione di mondo. La cosa che a me più sconvolse era la realtà raccontata in due maniere diverse, dai media occidentali e media medio orientali. Diciamo ovviamente che Al Jazeera era molto più spinta sulle ragioni del Medio Oriente e i media occidentali erano assolutamente opposte. E quindi li ti chiedi com'è possibile che ci siano due racconti diversi dello stesso fatto, e quindi era una cosa che mi apriva il mondo, tantissimo, tutti questi grandi spunti, domande interessanti, mi facevano portare a chiedermi perché anche di tante altre cose, quindi sono sempre stata molto attiva anche con l'associazionismo. Se tu pensi per esempio  un giovane di origine straniera sa cosa possa essere la difficoltà magari a scuola, magari non avere l'appoggio dei genitori fare i compiti e quindi fin da i primi anni del liceo ho iniziato ad aiutare, a fare volontaria in un'associazione per aiutare i ragazzi che non venivano da famiglie che potevano contare sulla mamma e il papà nei compiti o anche solo la presenza, perché magari questi genitori devono lavorare tutto il giorno, non avevano la possibilità di crescere i loro figli e neanche per pagare una baby sitter o qualcuno per ripetizioni, quindi era lì il modo per creare una comunità per loro, per non farli sentire disorientati, perché i grandi problemi diciamo che ci sono dell’integrazione in Italia, ma anche in Europa, è proprio il sentirsi di non far parte né del Paese in cui nasci e cresci, né nel tuo paese d'origine quindi sei un po’ spaesato, non capisci che parte è il tuo mondo, non sei né parte di uno né parte e l'altro e ti porti quasi a isolarti, fino a trovare casi estremi che abbiamo visto, con tutti i vari Foreign fighters, eccetera. Perché è facile vendere un'identità a una persona abbastanza vuota dentro ed è uno anche dei grandi temi politici che sta portando avanti Macron da tanti anni, cioè quello di far sentire veramente francesi le persone che nascono in Francia, non soltanto perché hanno il passaporto francese, ma in senso dei valori che portano un francese ad essere un francese. Quindi questo è il grande lavoro che va fatto, non è tanto la cittadinanza che fa di te italiano o no, è proprio il sentire l'italianità, che non vuol dire rinnegare le tue tradizioni ovviamente, ma modo di dire “ok, io faccio parte di questa comunità e la servo e lei serve me”, quindi è un mutuo aiuto.

Tornando al tuo percorso, avevi questa passione, questo interesse molto forte per la politica, però quando è venuto il momento di iscriverti all'università hai scelto di andare a studiare economia, ma già durante gli studi ti riavvicini velocemente alla politica e la prima grande cosa che hai fatto è che sia stata coinvolta nella campagna di Beppe Sala, che ha dato un po’ il via alla sua carriera politica ma anche quella sui social, perché Beppe Sala, ce lo racconterai, già allora aveva scoperto un po’ le dinamiche di fare campagna online e tu sei stata un po’ presa in questa in questa onda. Ci può raccontare un po’ cosa hai imparato da quella campagna, come si è iniziato a fare politica anche sui social?

Sì, la campagna di Beppe Sala è stata la mia prima grande esperienza importante tra virgolette, la città di Milano allora stava scoppiando perché era appena finito Expo, Beppe Sala era commissario unico ad Expo e quindi finita la sua esperienza ha deciso di candidarsi su richiesta del Partito Democratico su forte spinta anche di Matteo Renzi, l’allora segretario del Pd e diede appunto disponibilità per candidarsi e lì c'era una grande vivacità nella città, cioè si sentiva un cambiamento incredibile, un'internazionalizzazione molto forte, voglia di fare tantissimi, giovani che arrivavano e questa cosa si è tradotta in una campagna elettorale molto dinamica, molto partecipe e poi come ha detto bene Camilla sono iniziati ad esserci nuovi mezzi di comunicazione, quindi social che prima non venivano usati, prima non veniva usato Twitter per la campagna elettorale, sembrava una roba troppo avanti, troppo New Age, cioè bastavano i cartelloni, i manifesti, qualche palchetto in qualche piazza ogni tanto e basta, i social erano visti come una cosa troppo avanti, invece Beppe Sala li ha iniziati a usare fin da subito e dal momento che era tutto molto nuovo io ero nuova tra gente che faceva cose nuove. Io avevo tipo 22 anni all'epoca e mi occupavo perlopiù di Twitter. Twitter era per larga parte usato, poi abbiamo iniziato a usare anche Instagram che iniziava appena appena a prendere piede anche sul lato politico ed è stato meraviglioso perché tu passi le tue giornate a vedere una varietà di persone e i loro problemi che sono diversi, cioè molto spesso noi viviamo ognuno nelle nostre bolle e ci dimentichiamo di quelli che possono essere problemi o questioni legate ad altre persone, ad altri ambienti, ad altri contesti e nella fase di campagna elettorale, lo sa bene chiunque abbia fatto un po’ di campagna elettorale da qualche parte, è una cosa che ti porta a conoscere il territorio in maniera proprio esponenziale, cioè soprattutto fare politica significa, in generale, una cosa che mi ha insegnato, comunicare qualsiasi cosa tu faccia, ma proprio qualsiasi: dal prendere il caffè nel piccolo bar “ah che bello ho preso oggi il caffè in viale così, c'è un bellissimo ambiente, benissimo clima”, tutte cose che aiutano le persone immedesimarsi in quella tua condizione e a sentirti più vicino, una persona un po’ più normale tra virgolette, quindi non soltanto il politico che va a cercare voti essenzialmente.

Sì infatti personalizzare un po’ la politica e i social hanno fatto tantissimo in quello perché adesso possiamo farci un video appunto, Beppe Sala fa sempre video di lui che prende l'aperitivo, gira per Milano. E ai tempi tu eri già attiva sui social, avevi già il tuo canale Instagram aperto, raccontavi già un po’ la tua avventura in politica? Com'è cresciuto quell'aspetto del tuo lavoro adesso?

È stato molto graduale perché usavo tantissimo i social ma non avevo il seguito che ho oggi, avevo un seguito importante che però non veniva da chissà quale notorietà. Semplicemente usavo i social in maniera massiccia iniziando a seguire anche persone che non conoscevo, semplicemente perché mi interessava vedere che cosa facevano. Mentre oggi si segue persone che non si conoscono perché magari sono influencer, content creator o cose di questo tipo, prima non c'erano così tante figure di questo tipo, per cui io seguivo anche una persona che aveva 100 follower perché erano belle le sue immagini in montagna, cose così, quindi iniziavo quasi a creare delle relazioni virtuali con queste persone che all'inizio si spaventavano come per dire “ciao ci conosciamo?” letteralmente alcuni me l'hanno scritto, tipo perché questa mi segue e quindi io ho avuto questo seguito molto di nicchia di persone che avevano miei stessi interessi perché io loro volta li seguivo per i miei stessi interessi, quindi è stata una piccola community che cresceva pian pianino con cui interagivo letteralmente ogni giorno. Cioè io scrivo a sconosciuti, che ne so, “com'è andato l'intervento? Come sono andate le vacanze?”, era una roba molto molto strana che però amavo tantissimo cioè io dei social amavo il fatto dell'interazione personale, non mi interessavano i like, chi se ne frega, non è che stiamo facendo una gara dei like, era proprio la connessione con persone diverse, commenti, consigli, aiuti, caffè, pranzi, cene, poi io ho iniziato a frequentare Milano molto presto quindi non conoscevo niente e nessuno ed era anche un modo per conoscere meglio la città, quindi il social gradualmente, all'inizio non avevo chissà quale seguito, però cercavo di avere già quella sensibilità politica del dire le cose giuste al momento giusto, a fare attenzione a non sbagliare cose che potrebbero dar fastidio alla community quindi un po’ di politica, di comunicazione politica è entrata nella mia comunicazione personale.

È vero, uno dimentica quanto sono cambiati i social, quindi ovviamente se uno già inizia ad interfacciarsi quando nascono queste piattaforme, era diverso, poi parleremo più dettagli di come poi è cresciuto il tuo canale. Però tornando sul tuo lavoro, in quel momento hai seguito anche la campagna di Renzi ai tempi del referendum costituzionale, che tutti ricorderanno, che poi ha portato alla caduta del governo Renzi. In che modo è stato diverso quella tua esperienza comprando alla campagna di Beppe Sala perché sarà ovviamente era locale, quindi immagino anche solo sotto quell'aspetto, molto diversa.

Sì la campagna di Beppe Sala per me era quasi un gioco, cioè se adesso dico ad alta voce Beppe Sala mi prende in giro, però per dire era qualcosa di divertente, di eccitante e la campagna invece di Renzi l'ho vissuta in maniera diversa, perché ero più consapevole di quello che stavo facendo, quindi mentre la campagna di Beppe Sala mi è capitata quasi per caso, quella di Renzi l'ho voluta, l'ho veramente spinta, l'ho sentita tantissimo, ero mossa da una passione politica molto forte rispetto a quella di Beppe Sala, credevo tantissimo in Renzi e penso tutt'ora un politico brillante, capace, dal punto di vista comunicativo straordinario. Renzi ha fatto con una rottura per potentissima a livello nazionale su come comunicare. Mentre tutti pensavano, molto spesso, i politici sono sempre pronti a concentrarsi sulla comunicazione sui media, quindi ai giornali, alle tv e quant'altro, Renzi invece disse “no, io voglio comunicare alle persone, quindi prendo il mio telefono faccio una live e faccio il Matteo risponde”, questo # che ogni tanto spuntava una volta a settimana, metteva lì la live, rispondeva alle persone comuni, di qualsiasi tipo anche insulti o critiche, insomma perché dava l'idea di essere lì, “sono qua, non sono un politico nascosto nelle stanze segrete, ma sono vicino a voi” e quindi il suo modo di fare è passato dal comizio elettorale fermo, bloccato in una piazzetta in qualche cittadina sconosciuta al dire “mi apro a tutti, a chiunque.

È che in quel periodo che ti nota una giornalista e ti chiede di fare una comparsa a Tele Lombardia che cambierà un po’ la tua esperienza anche con i media più tradizionali. Hai detto subito sì a questa esperienza? Hai avuto paura di accettare l'invito? Secondo te perché sei stata invitata e cosa ti ha portato quella visibilità mediatica?

Diciamo che durante la campagna referendaria c'era un tutt'uno di eventi ogni giorno, continuamente, ovunque. A un certo punto mancavano letteralmente le persone, quindi il segretario del Pd mi chiama e mi dice “senti Imen ,sei giovane, sei donna, sei fresca, hai tutte le carte in tavola per fare la carta diversity, perché non vai in questo programma a Tele Lombardia a fare la parte dove racconti le tue motivazioni per il quesito referendario?” Io vado, all'inizio a estremamente titubante, cioè ero lì che ho consultato tutti i miei amici, “no ma secondo voi questa roba ha senso?” All'inizio non volevo andarci perché secondo me non aveva senso, era una perdita di tempo, cioè nessuno dei miei conoscenti vedeva le tv locali, figurati! Poi mia mamma mi disse “guarda, proprio perché nessuno ti conosce in quelle tv lì, ma vai! Cioè mal che vada anche se fai la figuraccia diventi tutta paonazza, chi t'ha visto? Nessuno!” e quindi da lì, da quell'esperienza lì, e questo giornalista Roberto Poletti mi nota e mi dice “senti, sei andata molto bene, perché non vieni ogni tanto, anche in mezzo alla settimana?” e all'inizio ho detto “vabbè, vediamo,” io non dico mai di no secco, dico sempre vediamo. Un po’ anche tipo degli arabi, dico sempre “sì, vediamo un po’” e poi ho iniziato ad andar lì ogni settimana e da lì da ragazza super imbarazzata, cioè io veramente facevo una fatica tremenda a parlare in pubblico, se ci penso adesso mi vien da ridere, ma a me bastava un palchetto anche solo di due centimetri davanti ai miei compagni di classe per morire paonazza rossa, con la voce bloccata. Quella cosa lì mi ha veramente aiutato, perché il public speaking completamente senza stare a pensare alle telecamere, soprattutto come catalizzare l'attenzione del pubblico, è qualcosa di fondamentale e in quella sede lì io mi sono sciolta completamente. Ho iniziato a capire come fare dibattito, come dire le cose giuste al momento giusto, l'attenzione della tv è completamente diversa attenzione dei social, perché hai un tempo ancora più ristretto, hai pochissimi secondi per dire una cosa giusta o sbagliata o per attirare l'attenzione o no, quindi i tempi televisivi sono fondamentali soprattutto per chi vuole fare comunicazione, quindi ho imparato davvero tanto. Poi a un certo punto c'era stata una defezione, cioè un qualcuno ha dato forfait a livello nazionale per un programma televisivo, un talk politico e appunto sempre Roberto Poletti mi chiama e mi dice “senti ti va di andare a sostituire questa persona?”, era una senatrice di Forza Italia, sono andata lì al posto suo per rimpiazzarla e da lì ho iniziato a fare anche il nazionale. Tempo pochi mesi anche lì mi son stufata, perché ho capito che questi talk politici sono letteralmente costruiti per fare un pollaio unico, dove c'è conta chi la spara più grossa, dove non ci sono, a parte alcuni, pochi autorevoli che sono fatti veramente bene, gli altri sono fatti per intrattenimento puro, soprattutto perché l'ora di cena hai voglia solo di vedere gente che ti intrattiene e basta. E quindi a un certo punto anche lì ho mollato, perché non mi non mi arrivavano più imput di crescita, quindi a un certo punto quando ho imparato a fare comunicazione “basta, grazie, ciao, addio”, quindi ho mollato anche quello.

Nel frattempo continuano a crescere i follower sui social, dove spieghi temi di politica e economia in modo semplice. Cosa pensi piacesse di te e del tuo modo di porti?

Diciamo che io all'inizio usavo i social in maniera assolutamente come la usavano tutti quanti, cioè pubblicavo il mio piatto di pasta, le mie vacanze, le cose belle e tutte editate bene e quant'altro. Poi a un certo punto però mi sono resa conto che quella parte lì non era tutta la mia vita, cioè non era la mia ordinaria realtà, e quindi a un certo punto, mossa un po’ dal fatto che dopo tutta l'esperienza referendaria, dopo tutta la questione di campagna elettorale, ho capito che nessuno parlava ai giovani e soprattutto che i giovani non andavano dagli anziani, dai vecchi, per sentirsi parlare dei temi politici. Quindi a me questo veramente faceva tanto dispiacere, eravamo pochissimi giovani under 30 che si interessavano di politica attivamente, nel senso che partecipavano, andavano a manifestare e questo a me creava un grande dispiacere, perché ero convinta che non era un disinteresse dei giovani, ma semplicemente non si sentivano a loro agio, non era al loro ambiente. Quindi a un certo punto ho deciso di aprire questa valvola di sfogo che avevo da tanti anni e ho iniziato a fare stories su Instagram, raccontando piccole questioni di economia e di politica in maniera molto semplice, per poter cercare di prendere tutto il pubblico, cercando però di non semplificare troppo, perché la semplificazione porta ad errori, per cui in modo chiaro, pulito, ma non semplificarla all'estremo. Quindi da lì ho iniziato ad accrescere il pubblico, parallelamente facevo queste mie comparsate in giro in tv e il mio pubblico intanto cresceva, sicuramente perché ero la prima a fare una cosa di questo tipo, diciamo che i social all'inizio non avevano nessun grande nome che faceva queste cose qui e sicuramente piaceva perché alternavo un po’ la mia vita di tutti i giorni a quelle che erano le mie passioni, quindi se avessi fatto un profilo monotematico, che tutti i giorni mi mettevo lì a raccontare la pesantezza della politica italiana, sarebbero morti collassati, invece alternavo un po’ con le mie le mie passioni, le mie uscite nella mia famiglia, i miei amici e quant'altro, quindi è stato un po’ un modo come per dire “guardate che sono normale anch'io, anche se mi piace la politica, sono normale, ho le mie passioni normali, come tutti i ventenni” e quindi è stato un modo più facile per approcciare soprattutto i giovani che non sentivano questi temi molto lontani a dire “guardate sono una persona normale, ho queste passioni che possono comprendere assolutamente tutti”. Quindi pian piano c'è stato una crescita costante fino al boom, soprattutto perché ero tra i primi, quindi è stato più semplice per me crescere rispetto magari a farlo oggi, quindi sì, pian pianino è stata una community sempre più importante ed ero un po’ rintontita da questo, perché ricevo messaggi un po’ così da tutta da tutta Italia, però è stato molto bello, sempre perché a me piace quella cosa lì dei social poter interagire con persone e comprendere i loro pensieri, le loro perplessità e ti apre la mente, perché molto spesso quello che pensi tu non lo pensa l'altro e quindi è uno scambio e una ricchezza reciproca.

Devo dire, io ho sento parlare di te qualche anno fa quando dicevo, non mi ricordo più a chi, che non sapevo proprio cosa stava succedendo in Italia, sai quando non vivi più il tuo Paese che ogni giorno succede qualcosa di diverso, insomma ti senti molto allontanata e quando aprivo un giornale non capivo niente, quindi qualcuno mi ha detto “devi seguire assolutamente questa Imen Jane perché racconta le cose in modo semplice, racconta le news in modo semplice e capisci molto di più”, poi parleremo anche di Will, tutto questo nuovo modo di comunicare, che sicuramente i giovani sono molto più attivisti di quello che uno immagina, però hanno proprio un modo di comunicare e leggere le news molto diverse. Parleremo di alcuni scandali che hai dovuto affrontare a breve, però ti volevamo, prima di avere lì, ti volevamo chiedere, quando uno ha profilo social con tante persone che seguono, anche una vita aperta quello che si chiama hate o l'internet trolling è diciamo è un'esperienza di tutti i giorni. All'inizio ricevevi critiche e se sì quali erano alcune delle critiche ti venivano fatte?

All'inizio non ce n'erano, è stato proprio un cambiamento progressivo. Instagram all'inizio era una bolla meravigliosa, a me piaceva Instagram perché era diverso da Facebook. Su Facebook c'erano gli insulti tutti i tipi, probabilmente perché è popolato da una generazione un po’ più grande, i cosiddetti boomer, non stanno bene come interagire e sparano quello che viene in mente. Su Instagram era più una bolla chiusa, dove le persone non si permettevano di fare chissà quali insulti. Poi però pian piano, con il tempo, anche Instagram si è aperto questo tipo di hate speech, di persone che non fanno critiche, perché le critiche sono una cosa diversa dall'odio, della comunicazione d'odio, è proprio l'offesa gratuita, cioè “sei un cretino, sei un coglione, sei questo, sei quello, sei brutto”, che non c'entra niente con quello che fai o con quello che dici o con quello che sei, ma è un'offesa così, gratuita, e quindi dopo un po’ ci rimani male, poi però capisci che non sono critiche su di te. Loro stanno criticando un personaggio che hanno visto, una figura che hanno visto per pochi secondi in TV o sui social o quello che è. Discerni quella cosa lì e inizi a vivere tranquillamente, per cui quando capisci che non stanno parlando di te in essere, perché non ti conoscono, ma stanno parlando di una persona che credono di aver visto, vivi tranquillamente. Poi altra cosa invece sono le critiche, le critiche sono sempre molto utili, perché cerchi di capire dove stai sbagliando, cosa stai facendo di male e quelle sono utili da analizzare, leggere e capire, anzi anche delle volte farei un po’ l'inglese dire “ah thank you” cioè quindi dire grazie per il tuo commento, grazie per il tuo riscontro. E quindi all'inizio io non ne avevo, anche perché era una community molto chiusa, per cui mi seguiva chi voleva seguirmi, non è come il grande personaggio pubblico internazionale che viene seguito da massa di gente incredibile, io non ero un personaggio pubblico internazionale, cioè ovviamente mi seguiva chi voleva vedere i miei contenuti, quindi sono non volevi vederli se ne andavi. Pian pianino quando invece è diventato più personaggio pubblico, è chiaro che iniziano a seguirti anche persone che non ti piacciono e che loro non piacciono a te, è una cosa reciproca. E lì, a parte il fatto che ancora non ho capito perché vive questo meccanismo, nel senso che se a me non piace una persona, non la segue, banalmente, però anche lì, è sempre stato in maniera molto ridotta, per cui non ho mai avuto chissà quali insulti pesanti, quelli che avevo li gestivo in maniera abbastanza semplice.

Se ti eri fatta una corazza dura dopo l'esperienza politica, ci hai raccontato che a un certo punto ti sei un po’ disinnamorata dalla politica e tra l'altro poi diciamo è anche fondato Will insieme ad Alessandro Tommasi. Come nasce questa opportunità e perché hai deciso di seguirla?

Io avevo già fatto un anno e mezzo, forse anche due, di contenuti sui social, quindi avevo già iniziato a macinare di questi in questi temi. Mi ero resa conto che uno è un lavoraccio, è un lavoro che ti tiene h 24, perché uno dice “vabbè, usi i social” eh no, usare i social, creare contenuti di un certo tipo e time consuming e due fare un lavoro fatto bene come a me piaceva, richiedeva competenze, richiedeva tempo, richiedeva persone e quindi serviva di fatto un team e soprattutto persone che avessero competenze di ogni tipo. Io parlavo di due/tre temi che sentivo miei perché appunto avevo visto tutte le puntate precedenti e quindi potevo in qualche modo sentire di possederli, ma di certo non potevo mettermi a parlare della qualunque. Quindi il senso nasce nel momento in cui sento che c'è bisogno di un progetto editoriale fatto di persone serie, fatto di giovani, non per principio, ma perché il giovane non è plasmato su ideologie o principi di vecchio stampo, quindi è più facile per un giovane apprendere degli approcci nuovi piuttosto che una persona che ha fatto, che ne so, 50 anni di giornalismo. Tant'è che all'inizio noi non abbiamo neanche voluto cercare giornalisti, cioè con proprio il titolo di giornalista, perché anche il giornalista, anche se è giovane, comunque e formato su certi schemi troppo impostati, troppo vecchi e giornalistici. I pochi giornalisti che abbiamo preso è stato un po’ difficile all'inizio cercare di inquadrarli: “guardate, non state per scrivere su una testata, quindi non fate le premesse, incisi giornalistici, no. Cancellate tutta quella roba lì, bisogna parlare a un pubblico fresco, deve essere un contenuto immediato, chiaro, veloce”. E quindi il progetto di Will è nato a un certo punto, così, io non conoscevo neanche Alessandro Tommasi, mi è stato presentato da un nostro amico in comune, lavorava con lui ai tempi di Airbnb, ci siamo conosciuti un giorno, siamo andati a pranzo, entrati sconosciuti, usciti soci, perché c'era un tale allineamento che era proprio totale, quindi avevamo competenze diverse, ci integravano. Lui aveva avuto esperienza di gestioni di team, io a malapena riuscivo a gestire me stessa quindi era chiaro che mi serviva qualcuno che dall'altra parte che sapesse gestire un'organizzazione, lui non aveva assolutamente nessuna esperienza editoriale, nessuna esperienza di comunicazione, né tantomeno dei social, né politica e quindi tutto anche il lato estetico che facevo anche quelle scelte editoriali grafiche che sono fondamentali per chi vuole fare comunicazione sui social, quindi ci siamo integrati da questo punto di vista e abbiamo trovato una perfetta sintonia.

Come sono andati i primi tempi a lavorare con Alessandro sul costruire il team? Tu che ruolo avevi esattamente all'inizio?

All'inizio come un po’ tutti i co-founder si fa tutto e tutto insieme, non ci sono dei confini molto serrati. Io in teoria avevo il titolo di editor and cheaf, vabbè mi faceva ridere a me, perché dicevo “vabbè, ma che titolo è”, nel senso, sarebbe, non so, il direttore, ecco, però fa ridere perché non è che siamo una testata, quindi gestivo i contenuti, cercavo di capire che contenuti devono uscire, in che modo dovevano essere scritti, facevo la revisione delle grafiche, quindi “questo sì, questo no, con questo font, con questo colore”, è stato un parto all'inizio, perché come sanno chiunque faccia startup, è un lavoro che i primi mesi ti richiede una mole di energia assurda.Io sono passata da frequentare attivamente la società ogni giorno, a fare mille cose in giro, a rinchiudermi in un gabbiotto h24 a fare soltanto una roba ed era molto alienante, però bellissimo, perché hai questa energia dove dici “sto facendo tutto questo per un progetto che mi piace”, quindi è vero che è veramente molto pressante, però una cosa che all'inizio deve essere fatta soprattutto se vuoi creare subito il botto. Poi all'inizio è stato difficile cercare le persone giuste al posto giusto, poi tanto punto ha buttato una mia stories sui social dicendo “ehilà, sto per fare un progetto, non vi dico né il nome né che cosa faremo né che cos'è, ditemi se ci siete”. Da questa stories sono arrivate centinaia di candidature, di grafici di esperti data scientist, di data science di ogni tipo, tutte competenze diversissime e siamo riusciti a creare un team che aderiva ai nostri ai nostri valori, perché è stato molto più semplice pescare dalla mia community, perché ero certa che quelle persone rispecchiassero la mia visione di mondo e quindi pian pianino da quattro persone poi siamo diventati sei, dieci e quant'altro. Adesso sono a 35 in tutto, quindi pian pianino è cresciuto, però sempre cercando la persona giusta. La cosa più difficile per chi fa startup, ma anche per chi fa impresa, è: non ci si può permettere il lusso di sbagliare la persona. Quando sbagli persona è veramente pesante riformare una persona nuova, perdi tempo, risorse, soldi, quindi bisogna accertarsi molto bene fin dall'inizio di cercare le persone giuste, perché sono quasi come se fossero dei soci fondatori, sono loro che costruiscono insieme a te un progetto letteralmente, quindi è una cosa che non esiste, quindi devono essere assolutamente persone giuste. Io all'inizio a un certo punto con Alessandro mi sono quasi trovata a dubitare del mio progetto quando a un certo punto Beppe Sala mi chiamato per dire “ehilà, vuoi ricandidarti? Vorresti candidarti con me?” e quindi è stato lì, quando ho capito che io proprio avevo completamente tagliato ponti con la politica, che non mi interessava più fare politica di parte, cioè non volevo fare un'informazione di parte, volevo permettere alle persone di avere loro opinione. Cioè io ho una mia opinione, va benissimo, ma non mi interessa venderla, quindi voglio che le persone si facciano una loro opinione basata su fatti reali, verificati, puliti, chiari. Diciamo la chiarezza della mia vision l'ho avuta in quel momento lì e quindi tra l'altro era con me anche Alessandro al momento clou e quindi si era assicurato anche lui perché all’inizio aveva paura che le mie spinte ombre politiche un giorno mi avrebbero portato a dire “addio Will, ritorno a fare politica” e quindi lì ha avuto un po’ una rassicurazione del tutto.

Nel 2020 a un evento di Goldman Sax un giornalista infiltrato all'evento ti sente rispondere a una domanda in cui dici “ho studiato economia” e in seguito la domanda chiede in cosa ti sei laureata e decide un po’ di indagare i tuoi studi e scopre che nella tua bio, anche se la tua bio di Instagram, avevi scritto “sono un’economista che non sa risparmiare”, credo fosse un po’ la cosa che si scrive in alto al profilo, non ti eri mai effettivamente laureata in economia, quindi non si può dire che sei un’economista se non sei laureata in economia. Questo ho creato un po’ una crisi di fiducia, quindi una crisi di fiducia in Will, con i vostri investitori, con i tuoi follower, con gli altri soci di Wil, Alessandro in primis, ma anche tutti quelli che lavoravano con voi. Come ti sei sentita quando è scoppiato lo scandalo? Te lo aspettavi? Come lo hai gestito? Perché ovviamente è una cosa enorme che succede a ciel sereno, veramente un fulmine a ciel sereno.

Sì, diciamo che la crisi ha coinvolto soltanto la community, perché gli investitori erano a conoscenza del fatto prima che uscisse il tutto. Nasce dal fatto che appunto c'è stato questo giornalista che mi seguiva da un po’ di tempo che aveva fatto un progetto simile a Will ma non sui social, ma su un sito Internet e quindi era da tempo diciamo cercava qualche scheletrino nell'armadio. Io sapevo che prima o poi, memore la formazione politica che quando qualcuno vuole cercarti qualcosa la trova, dissi agli investitori “guardate io non ho mai fatto niente di male nella vita a parte non aver completato i miei studi” e potenzialmente qualcuno potrebbe dirmi “guarda che vai a divulgare informazioni senza aver neanche completato i suoi studi”, cioè non è eticamente magari una cosa che può essere vista bene agli occhi di tutti e la frase tra l'altro incriminata “un'economista che non sa risparmiare” io la scrissi ai tempi dell'università, quando mi divertivo a pensare di essermi iscritta a economia quando non sapevo neanche gestire 10 euro nel mio portafoglio, per cui la roba lì nasce appunto da quello, anche perché è un'economista cioè laureato in economia non è un'economista, non è così come non so, un laureato in filosofia non è un filosofo, quindi anche le persone sanno che una ragazza di 25 anni non può essere un'economista, un'economista è lo scienziato dell'economia, un Cottarelli di turno, uno che la insegna, la studia di passione e di e di professione, poi è successo quel patatrac lì, fortunatamente lato investitori c'era l'appoggio e la fiducia degli investitori, lato clienti idem, perché io non mi sono mai permessa in vita mia di vendere delle competenze che non avevo, anche perché io con i clienti vendevo il fatto di fare informazione digitale, non di certo fare analisi della legge di bilancio corrente, quindi che il problema nasce come crisi di fiducia con la mia community. All'inizio è stato un problema a capire che cosa fare perché, a parte trovare esperti di crisi è stato veramente un trauma e trovare in Italia esperti di crisi di comunicazione è stato molto difficile, soprattutto perché poi sono formati su crisi  aziendali non di certo su crisi di comunicazione sui social e quindi ci siamo messi per un mese a litigare io Alessandro per capire come potevamo gestire la cosa esternamente. Io ero convinta del fatto di dover uscire personalmente a chiedere delle scuse pubbliche, raccontare cosa è successo e quant'altro. Alessandro era convinto che non dovessi fare assolutamente nulla, starmene buona per qualche mese e, perché no, mi ha proposto magari a ottobre a settembre di quell'anno di andare a seguire la campagna elettorale di Biden in America. Ovviamente non era una cosa che potevo fare, perché Alessandro non capiva che era una crisi di fiducia, cioè io non sono una giornalista, non è che posso sparire per andare a fare l'inviata, sono una persona che ha un legame molto forte con la sua community. Tra l'altro la community di Will era praticamente la mia, perché il giorno zero abbiamo creato Will, il 65% della mia community ha iniziato a seguire Will, quindi era proprio identica alla mia e quindi c'era bisogno di una comunicazione. Quando dopo mille eterne discussioni tra me e Alessandro sono uscita con un poster dove ho fatto le scuse e raccontato insomma che cosa fosse successo, del fatto che non era mia intenzione prendere in giro niente e nessuno, che è stato un piccolo fiocco di neve che poi è stato montato, creato, copia incollato, informazioni su articoli di giornali che sono stati riprese, perché io poi non è che mi sono mai sognata di dire, confermare alla gente che fossi laureata e quindi poi sui social io non ne avevo mai detto, cioè non sul mio profilo personale Instagram non era mai uscita la questione percorso dei miei studi, quindi niente quando sono uscita con le mie scuse pubbliche un mese dopo diciamo che lì sono iniziate le mie le mie le fruizioni con Alessandro perché lui non voleva che io facessi quella cosa, è partito un anno di battaglie legali dove si parlava di quote, non quote, cessione, fai solo questo, fai quello, non fare quello, una battaglia molto lunga, molto pesante da lì ho scoperto anche il magico mondo degli avvocati, quindi son diventati i miei migliori amici, anzi diciamo forse anche qualcosa di più, però comunque è stata molto tosta. Da che facevo un percorso molto bello, la concentrazione delle risorse, delle energie era cominciata su quell'altro tema. È chiaro che ci ha tolto tempo sia a me ad Alessandro, che soldi ovviamente, ma è stata alla fine risolta e quindi dopo un anno di rapporti civili, diciamo così, però è stata molto dura all’inizio sì, perché siamo due persone molto ottuse e molto testarde, quindi nessuno dei due voleva cedere, alla fine c'ho avuto un annetto.

E secondo te, perché questa cosa ha avuto il riscontro che ha avuto? Perché la gente è stata così veloce nel perdere la fiducia su di te? Perché come hai detto un’economista che non sa risparmiare, voglio dire, non è difficile capire che è una cosa che uno dice ironicamente e appunto non avevi mai confermato di esserti laureata effettivamente, insomma non è che avevi una laurea finta sul profilo di cui parlavi spesso. Quindi secondo te da cosa è data questa mancanza di fiducia? Forse qualcosa che avevi anche già visto nella tua carriera politica? Non se puoi raccontarci un po’ cosa ne pensi di questo.

Allora, il boomerang che è esploso è stato proprio perché io avevo un legame molto stretto quelle persone, cioè la mia ossessione sia per Will che per il mio profilo personale era avere un legame con le persone diretto, quindi io spendevo la tra grande maggioranza del mio tempo non a fare contenuti ma a creare legami stretti con le persone uno ad uno, non in generale, ma proprio uno ad uno, anche sui direct: ore a scrivere, a rispondere e quant'altro. Quindi si instaurava quasi un legame di amicizia diciamo, un legame di fiducia molto forte che tanti altri ovviamente non fanno, nessuno si mette a fare lì ora di risposte fisiche, di risposte, interazioni così forti, quindi avevo una community che era molto vicina a me. Nel momento in cui quindi scoppia una crisi è chiaro che non è più “vabbè, chi se ne frega, quella tizia lì ha fatto questa cosa qui” ma è “quella persona che io ritenevo così stretta, così vicina, così sincera, così genuina, mi ha deluso” e quindi è chiaro che la delusione è più forte rispetto a una persona di cui ti frega poco o che seguì in modo superficiale.

E poi adesso, mi dispiace tirar fuori tutti gli scandali, però volevamo parlare anche di questo proprio appena appena dopo risolte le battaglie legali con Will…

112 spero never again,  basta adesso i miei amici per prendermi in giro ogni estate mi dicono “allora, io adesso ti rinchiudo in casa” perché finisce sempre in estate, quando non c'è niente di cui parlare…

Ti tolgo il telefono!

Esatto e quindi allora c'è ogni estate sono lì “ti prego fa che non succeda niente quest'estate”, ad ora sono a quota due, spero di non arrivare a una terza.

Dai speriamo anche noi, quindi raccontiamo anche questo. Dinisci le battaglie legali con Will, quindi finalmente si risolve questo capitolo che era iniziato con la causa precedente e scoppia un altro scandalo legato a delle stories che hai pubblicato mentre eri in vacanza a Palermo, facendo dei commenti riguardano a una commessa. In che modo è stato diverso questo scandalo? Perché ovviamente ha toccato temi completamente diversi ed era più sul tuo modo di porti col con gli altri.

Sì, allora diciamo che sono state due situazioni diverse una, perché la prima riguardava me, la seconda riguardava un evento che coinvolgeva una mia cara amica, quindi c'era anche il doppio peso di una persona a me cara che è stata coinvolta, questo per colpa di delle mie stories, quindi c'era un tema un po’ più forte e due, la cosa diversa è che mentre per la laurea era una cosa così insomma che vabbè era non toccava i miei valori, lo scandalo cosiddetto di Palermo toccava invece quelli che erano i miei valori, cioè sentirmi dare della classista, io dopo aver fatto anni di battaglie fin da piccola, a fare un manifestazioni, organizzare e eventi e incontri di ogni tipo, associazionismo, volontariato, eccetera per me era inconcepibile, quindi erano proprio due questioni completamente diverse. La questione di Palermo intanto è stata difficile capire cosa fosse successo realmente, perché io all'evento contestato neanche c'ero, cioè io ho ripreso la mia amica che raccontava la sua giornata a Palermo perché io quel giorno lì l'ho passato tutto il giorno in hotel a lavorare e non mi sentivo neanche tanto bene, quindi lei mi ha raccontato la sua giornata a Palermo e di questa commessa che ha incontrato in una pasticceria storica a Palermo alla domanda “ma sai dirmi per caso qualcosa di questo enorme affresco che c'è qui” lei un po’ stizzita ha risposto “guarda che se vuoi leggerti la storia di questo affresco appeso alla porta a me non pagano abbastanza per sapere la storia di questo affresco”. Lei da classica diciamo un po’ mentalità milanese dice innanzitutto “guarda che dovresti leggerlo per una tua personale curiosità, una nota personale, conoscenza, magari scopri che ti piace e ti appassiona e quant'altro e quindi cambi lavoro, e quant'altro queste” cioè tanta roba che io ho appreso poi dopo, perché io non avevo neanche idea della vicenda bene, è stata una stupida iniziativa mia registrarla e postarla, perché non aveva alcun senso, che toccava sicuramente temi molto caldi, come il lavoro sfruttato, alla questione meridionale, la questione della disoccupazione giovanile, c'era veramente lì se vuoi tutti i temi del mondo caldissimi in Italia e quindi sembrava quasi che stessi dalla parte di chi diceva, che ne so, sai la classica frase che si dice “se nasci povero non ne hai una colpa se muori povero è colpa tua”. Io non condivido questa cosa qui, ma non la dico perché la dico ora, ma la testimonia la mia storia. La cosa che mi ha dispiaciuta di più è che proprio questo che non è contato. Non conta chi sei, cos’hai fatto finora e quello per cui ti sei battuta, conta soltanto quel 10 secondi lì e vieni valutata come persona in base a quella roba lì.

E cosa hai imparato da questa esperienza? Ci sono dei consigli che ti senti di dare a chi ha una presenza sui social o che la vuole costruire? Direi soprattutto per fare informazione, perché ovviamente lo hai detto in una delle tue risposte all'inizio dell'intervista, c'è un po’ questa attenzione tra, certo semplificare essendo naturali e poi il fatto che comunque se uno vuole fare informazione deve essere molto preciso e dire le cose come stanno, non fare errori per ogni errore può essere visto come… non so c'è un po’ questa voglia di catturare le persone nell'atto dello sbaglio, di dire “vedi hai sbagliato qui e quindi non sai fare niente”. Quindi hai dei consigli, dei modi, anche guardando a Beppe Sala, Matteo Renzi, alle persone nel mondo della politica, ovviamente c'è una dinamica simile in quel mondo, dove non si può mai sbagliare.

Ma allora il mio consiglio proprio molto semplice e molto base, all'inizio se si vuole costruire una propria identità, una propria comunicazione sui social, è quello di comunicare quello che si fa nella maniera più semplice e genuina possibile, perché se sei appassionato di qualcosa si vede, non devi parlare per forza di qualcosa che non senti tuo, c'è il trend, per esempio, del cambiamento climatico e devo parlare del cambiamento climatico. Siamo tutti molto sensibili a questo tema, ma non puoi fare da un giorno all'altro, passare a parlare dai trucchi al cambiamento climatico, alla questione sociale, cioè bisogna cercare di toccare i temi che veramente ti appassionano, senza stare cercare i trend perché spingono bene quei trend. Poi ognuno di noi chiaramente deve avere la sua idea su tutte le questioni di mondo e poi ovviamente condividerle e quant'altro, però una cosa è avere un'idea e una cosa è cercare di spiegare agli altri quest'idea. Quindi io per esempio sono sensibile chiaramente alla causa climatica, ma non mi metto a raccontare in dettaglio temi o fare commenti, analisi, perché non è il mio. Ci sono tantissime altre persone che lo fanno bene, condivido loro e molto spesso racconto di come loro fanno il loro lavoro e quant'altro. Quindi fare quello che si ama fare e anche se non rientra nelle categorie come dire cosiddette instagrammabili, cioè c'è una mia amica architetta che non aveva spazio sui social perché non capiva come comunicare il suo lavoro, pian piano la l'ha capito, trovare il proprio tone of voice, quindi non copiare altri solo perché funziona così, ma capire qual è il tuo modo di comunicare e stare attenta a come interagisci con le persone, quindi costruire giorno dopo giorno, perché altrimenti non serve a niente. Costruire però sia nei social che nel mondo reale, per me è stato molto importante anche conoscere fisicamente tante delle persone che ho conosciuto sui social, molto spesso facevo anche dei caffè, degli aperitivi, così quelle persone, chi vuole unirsi trovarsi così e si chiacchiera, ci si conosce e quindi legare con persone che il vivono tuo stesso mondo. Senz'altro per me il consiglio più importante è essere genuini, cioè non cercare di impressionare un pubblico, cercare di esagerare, cioè sii quello che sei, il problema è che però adesso chiaramente l'attenzione è sempre più difficile da catturare, quindi ogni tanto ci sono degli strafalcioni, gente che esagera a fare le cose però in realtà le persone si rendono subito conto se una persona è veramente genuina nel fare quello che sta facendo, o lo fa per qualche altro motivo. Quindi essere genuini, avere una comunicazione nel settore che appassiona e che piace e che soprattutto ti dà un riscontro, cioè io non perdo ore del mio tempo sui social se poi dopo non serve a me, cioè devo trarne un beneficio, può essere un arricchimento personale, una crescita personale, però deve esserci, non devo perdere il mio tempo a fare balletti perché mi piacciono fare balletti, cioè lo faccio perché i balletti sono il mio lavoro, la mia passione, quello che vorrei fare un giorno e quant'altro, quindi deve aver senso per me, per la mia per il mio piano, per il mio futuro, questo secondo me. E cercare sempre di contare fino a tre prima di scrivere un commento, molto spesso a caldo ci vengono da fare un commento, ma bisogna cercare, capire il contesto, sarà vero, sarà non vero e poi eventualmente, senza mandare alla gogna gente a caso, così, velocemente.

Sì perché uno si deve rendere conto anche che siamo manipolati da questi social per essere polarizzati, perché fa più engagement, quindi chiaramente se c'è il post che ti fa venire, non so come si dice, il sangue al cervello, ti viene subito da scrivere una cosa tipo cattivissima “il mondo sta finendo, questa persona sta distruggendo tutto” solo perché vogliono quello, cioè vogliono proprio quello, vogliono che tu stai nei social quindi uno deve pensare anche “sto cadendo nella trappola che questi social mi stanno tendendo”, di stare sempre più nell'app di polarizzare le persone per creare engagement…

…che le piattaforme stesse cavalcano, perché anche le la piattaforma ha beneficio dalla polarizzazione delle posizioni purtroppo.

Assolutamente, perché fa più pubblicità e tutto alla fine gira tutto intorno ai soldi, gira tutto intorno a quanto stai dentro a queste piattaforme perché vedi più pubblicità, quindi pensiamo anche a quello e pensiamo anche che ci sono umani dietro e prima di insultare. E invece, ad oggi, quali sono un po’ i temi che ti stanno più a cuore?

 Oggi sicuramente mi sta a cuore la libertà di espressione e il giornalismo fatto bene, cioè quello dove non si narra la narrazione che si vuole fare, ma quello dove veramente si vuole informare l'altro, spero insomma di avere occasione di farlo, penso, se va tutto bene, negli Stati Uniti, magari l'anno prossimo, se tutto va bene. Nel frattempo uscirà un mio libro a settembre, no ottobre in realtà, quindi insomma ci sono un po’ delle cose in mezzo però la via rimane sempre quella, una mia passione forte per l'informazione, per la politica, per le public policies, insomma un po’ tutto quel mondo che riguarda l'informazione verso gli altri, perché penso che sia una delle cose più potenti al mondo oggi, cioè avere in mano un'informazione, creare consenso, orientare l'opinione pubblica, far passare un messaggio o un altro, orienta qualsiasi cosa, dal pensiero, ai consumi, a rivolte, a qualsiasi tipo, quindi possedere l'informazione fatta bene e gestirla e comunicarla fatta bene è una missione che mi predispongo da un bel po’ di anni, penso che sarà la mia mission per un po’ di tempo.

Che bello, allora ti auguriamo buona fortuna con questo next step e siamo arrivati alla fine di questa bellissima intervista e per i nostri fedeli ascoltatori sanno che concludiamo tutte le nostre interviste con questa domanda che quindi ti volevamo chiedere, in che modo la tua italianità ti aiutato nel tuo percorso?

Eh sì, sicuramente la comunità, l'appartenenza a una comunità, mi ha aiutato molto. Diciamo che noi italiani abbiamo un sentimento di coesione sociale molto forte, che diamo molto spesso per scontato, però appena vai nei paesi nordici te ne rendi conto immediatamente. Quando poi ho scoperto che in Svezia per è cosa molto comune magari non so se arriva un'ospite a farlo mangiare in una camera a parte mentre tu mangi con la tua famiglia, lì capisci che non ci siamo, il fattore comunità italiana è molto forte, mi ha aiutato proprio a voler creare qualcosa a servizio degli altri, qualcosa di utile non soltanto per me ma per tutti gli altri, questo è senz'altro l'elemento di italianità più forte che in realtà è anche un elemento marocchino, quindi in realtà su questo abbastanza tranquilla.

Sì, direi su questi due punti sono due culture che si uniscono molto molto bene. Grazie mille Imen per il tuo tempo, grazie per averci raccontato la sua storia senza filtri, di esserti aperta a noi e ti auguriamo buona fortuna per questi tuoi nuovi challenges.

Grazie mille a voi, buon lavoro, grazie per avermi ospitato.

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