Luca Travaglini, Co-Founder Planet Farms

 

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Planet Farms è la più grande vertical farm europea.

Luca nasce da una famiglia di industriali e all’inizio della sua carriera, dopo gli studi in economia, affianca il padre nella sua impresa. Ha però da sempre un istinto un po' ribelle e due eventi casuali lo spingono a scegliere un’altra strada.

Mentre è in volo per il Giappone, Luca legge un articolo sul vertical farming che risveglia il suo desiderio di innovare il settore dell’agricoltura. Ma sarà una terribile diagnosi, che minaccia la sua prospettiva di vita, a dargli il coraggio per lanciare un progetto focalizzato sul futuro.

L’urgenza della malattia gli impedisce di accettare tutti i no che incontra durante la costruzione del suo sogno, va avanti a testa bassa e sconfigge gli scetticismi. In quel periodo Luca ritrova Daniele Benatoff, un vecchio amico ma soprattutto il partner ideale per fondare il suo progetto rivoluzionario.

Per Luca siamo noi stessi la benzina che alimenta i nostri sogni: è il primo a investire i suoi soldi in Planet Farms e, grazie alla sua determinazione, convince investitori e professionisti di talento a sposare la sua causa. Ma ci vorranno anni di ricerca per realizzare il primo stabilimento di Planet Farms, dove entra il seme ed esce il prodotto, pronto per essere consumato.

In questo episodio scopriamo i segreti del vertical farming che all’interno di un ambiente incontaminato, senza uso di pesticidi, ricrea i processi dell’agricoltura tradizionale ma a bassissimo impatto ambientale e produce prodotti di altissima qualità.

Luca ci spiega però che la cosa più difficile da coltivare, ma anche la più bella, è il capitale umano.

 

TRASCRIZIONE EPISODIO

Luca vieni da una famiglia di industriali e dopo la laurea in economia alla Bocconi e qualche esperienza lavorativa, andrai poi a lavorare nel gruppo di famiglia Travaglini Spa, ma su Made IT, come ormai i nostri ascoltatori sapranno, ci piace sempre cominciare un po’ dall'inizio e quindi prima di parlare di questo ti volevo chiedere di raccontare un po’ della tua infanzia, adolescenza e cosa sognavi di fare da ragazzo?


Tutt'altro magari, come tutti da piccoli, sai sei più legato a quelle che sono le passioni, io appassionatissimo di motori, quindi da piccolo per me esistevano solo i motori, quindi avrei sognato di lavorare nella Motorballi o da qualche altra parte. In realtà ho lavorato un po’ nell'automotile e stavo facendo un po’ carriera in Automotive ma poi stato richiamato dall’azienda di famiglia e quando ti chiedono un aiuto soprattutto dalla tua famiglia è più difficile dire di no e quindi ho accettato la richiesta.


E infatti sei stato cresciuto diciamo per entrare in questa azienda di famiglia e quindi hai sempre saputo che sarebbe stato il tuo lavoro o insomma ti hanno lasciato più spazio?


Assolutamente no. Diciamo che da una parte c'era il desiderio, la volontà dei genitori, dall'altro c'è poi il tuo cuore, la tua passione. In realtà anzi ho anche abbastanza preso in giro mio padre, nel senso che lui ci teneva tantissimo che facessi ingegneria, sono andato a fare il test di ingegneria, senza dirglielo sono andata a fare il test anche in Bocconi. Mi hanno preso a ingegneria, lui era felicissimo, ho detto no guarda papà mi hanno preso anche in Bocconi, ho scelto la Bocconi, e quindi l’ho anche illuso che stessi facendo quello che lui voleva ma poi in realtà ho fatto quello che mi sentivo maggiormente.

Quindi eri un po’ ribelle?


No no assolutamente. Allora, da parte il c'è mia madre che mai nella vita avrebbe voluto che entrassi nel gruppo di famiglia, e forse aveva un po’ di ragione anche, perché poi quando si mischiano le dinamiche lavorative e familiari è sempre più complesso. E poi ho avuto questa esperienza, ma poi sono riuscito ad andare avanti e a seguire un po’ più il cuore e l'istinto. Devo dirti però che se ad oggi sto facendo quello che sto facendo è sicuramente grazie al knowhow acquisito in quegli anni, è stata una delle scuole più incredibili possibili. Sono stati anni tosti ma molto interessanti e costruttivi.


Infatti una volta che sei entrato dentro il gruppo, come ti sei trovato? Di cosa ti occupavi esattamente in azienda?


Bah allora, nei gruppi di famiglia è sempre un po’ complesso, quando porti il nome di famiglia quasi tutti partono sempre dal concetto che sei un po’ ritardato rispetto agli altri. Te la devi sudare di più effettivamente, io mi sono ritagliato il mio spazio nel senso che comunque seguivo la parte commerciale, poi ho sviluppato tutta la parte di engeneering interno per aumentare il livello di fornitura negli stabilimenti automatizzati che facevo, sviluppato tutta l'automazione, quindi mi sono focalizzato maggiormente sugli stabilimenti fortemente automatizzati creandomi un mio team di lavoro interno e quindi avendo un po’ di autonomia e allo stesso tempo dando prospettiva all'azienda.


E so che hai fatto anche una parte di export, quindi viaggiavi tantissimo, comunque seguivi il lavoro del gruppo in giro per il mondo, viaggiando negli Stati Uniti, Est Europa, penso anche Asia e se non sbaglio è proprio durante un viaggio in Giappone, non so se per lavoro o per piacere, che hai scoperto un po’ questo concetto di vertical farming. Quindi prima di parlarne veramente ti volevo solo chiedere quando l'hai visto per la prima volta ti ha colpito subito, ti sono girati gli ingranaggi del cervello oppure semplicemente l'hai notato e poi ci sei tornato più in là nella vita?


Parto dalla dall'inizio della tua domanda. Sì, viaggiavo 240-260 giorni all'anno, poi la cosa bella è che magari in una settimana mi capitava di essere in Croazia o Serbia e poi dopo in Nord America, Sud America, in Giappone, in Russia. Quindi avere a che fare con persone sempre diverse. Il bagaglio più utile e valido che ognuno di noi passa acquisire, l'esperienza gli usi consumi diversi, la cultura locale è sempre molto interessante, ti arricchisce molto. In realtà il vertical farming lo pensavo da tempo, nel senso che pensavo, non era ancora definito come vertical farms, a un sistema di produzione indoor per vegetali. E poi dopo il vertical farm si è consolidato in cui c'è stato l'avvento del led. Pre led il vertical farming non stava in piedi a livello concettuale ed economico. Un giorno ero su un volo e mi sono trovato quelle riviste che trovi davanti che non leggi mai perché di solito sono abbastanza noiose o solo di pubblicità e c'era questa rivista dove c'era un articolo bellissimo, parlava del vertical farming in Giappone a seguito del disastro di Fukushima, in quanto c'era una situazione abbastanza critica, non c'erano risorse idriche, nel senso che la falda era completamente inquinata dal punto che non poteva essere utilizzata, non c'erano spazi e quindi sta c'è stato un boom molto forte. Da lì ho visto la luce, nel senso che avevi dentro qualche cosa che già maturavi da tempo, leggi sta rivista out of the blue e l'ho preso come segno del destino. Quindi da lì, poi anche il periodo della mia vita non era il più semplice, da lì ho capito esattamente quello che volevo fare e l'ho fatto.


Ritorno un attimo indietro e ai tuoi primi anni di lavoro nel gruppo di famiglia, appunto torniamo sul viaggio, nel senso viaggiavi tantissimo, il lavoro era molto duro, era impegnativo, in tutto questo ti sei anche sposatp abbastanza giovane, se non sbaglio hai avuto i tuoi primi due bambini, quindi volevamo chiedere come facevi a combaciare questi aspetti della tua vita, sei riuscito a sempre a gestire tutto?


In realtà era molto più semplice quando viaggiavo, adesso che viaggio meno…no scherzo. Beh devo dire, anche mia moglie comunque viaggiava molto per lavoro per anche lei faceva responsabile commerciale estero nel food, quindi anche lei viaggiava abbastanza. Era la parte bella, nel senso che io andavo in giro per il mondo, facevo comunque una parte che mi piaceva, poi tornavo ed ero molto più focalizzato nel godermi il tempo in maniera diversa. Cioè quando sei fisso e hai CP talmente abitudinari che poi ti perdi di vista le cose piacevoli, stando fuori quando torni non puoi che fare altro che cercare del quality time che altrimenti non hai e con due figli, cioè adesso sono tre, ai tempi con due era già tosto, adesso con tre tostissimo iniziamo a vedere un pelo la luce di nuovo essendo l'ultimo un po’ più grandicello, adesso inizia ad avere quattro anni e mezzo quindi si va avanti si va avanti. Devo dirti che loro sono stati l'energia, la forza, che mi hanno portato a fare quello che facevo. Se non avessi avuto figli difficilmente avrei avuto la forza e la determinazione per portare avanti questo progetto.


Arriviamo un po’ a questo momento difficile della tua vita che cambierà anche un po’ tutta la tua prospettiva, per cui noi dobbiamo assolutamente parlarne. Nel 2014-2015 ti viene diagnosticato un tumore con una prospettiva di vita di qualche mese, quindi prognosi e diagnosi tostissima. Cosa vuol dire ricevere una prognosi del genere, cioè cosa succede nel momento in cui scopri che questo è quello che ti aspetta nella vita?


All'inizio nel panico più totale, anche perché io sono una persona abbastanza sportiva e mi ritengo abbastanza sano. Sono andato per farmi vedere un neo in testa perché andando in moto mi dava fastidio e mi dicono tutto a posto, già che ci sei togliti la maglietta, mi ha cerchiato un puntino microscopico al centro della schiena. Mi ha detto “questo qui non mi piace, torna fra due settimane”, me l'hanno tolto e poi dopo l'operazione non avevo ricevuto nessuna chiamata, quindi sono andata a farmi togliere i punti, era una giornata bellissima di sole, serenissimo sono andato lì, mi hanno tolto i punti e dico “non c’era anche una biopsia?” mi dicono “sì sì, aspetti”, l’assistente diventa completamente bianca ma bianca bianca bianca, io capisco che c'è qualche problema, dico “ragazzi che è successo?” “Guardi, lei ha il peggiore dei tumori alla pelle e come al solito con il tatto che c'è molti casi mi viene prospettato uno scenario: tre mesi di vita. E non sapevi niente, cioè ti trovi da un momento con l'altro con due figli, perdi completamente prospettiva, è veramente difficile.


E poi c'è anche questo aspetto, ovviamente ognuno reagisce diversamente alle malattie, non voglio neanche dire che tutte le persone che ricevono la prognosi di una malattia, una diagnosi difficile, devono ripensare tutta la loro vita perché non è così, ma nel tuo caso un po’ lo è stato. Nel senso, la malattia ti ha fatto un po’ ripensare alla tua vita, il tuo percorso, cose stavi facendo, quindi ti volevamo chiedere che tipo di pensieri hai fatto e cosa ti ha portato poi?


Bah sai, mi ha portato a prendere la mia vita in mano, nel senso che era da un po’ di tempo che pensavo di far qualcosa di mio, volevo far qualcosa di mio e da lì ha maturato prima un desiderio fortissimo, sai, noi ci battiamo per tantissimi diritti ma nessuno di noi ha il diritto basilare di sapere che cosa sta mangiando e cosa c'è all'interno di quel piatto. Quella è una roba che secondo me è abbastanza brutta nei momenti in cui noi realmente siamo quello che mangiamo e quindi di fatto mi sono battuto per portare il prodotto più trasparente possibile a zero impatto ambientale che non solo fosse buono ma che facesse bene quindi è tutto correlato. Da questo desiderio di un diritto che manca di trasparenza e di coerenza con quelli che sono anche i temi attuali. Perché ragazzi ad oggi non solo bisogna dare da mangiare alle persone ma bisogna prendersi cura del pianeta e prendersi cura anche della salute delle persone, quindi è tutto molto correlato.


Quindi è stato il momento in cui hai realmente cominciato al realizzare questa idea che magari avevi da qualche anno già in mente, in testa e a volerla concretizzare l'idea di Planet Farms. Ti volevo chiedere perché proprio il vertical farming è concettualmente, cioè lo hai appena detto, quello che ti motivava era di dare questo diritto alle persone, quindi come hai cominciato a concretizzare questa idea allora all'inizio?


Mah, con olio di gomito ragazzi come qualsiasi cosa, quando c'è l'idea prima devi capire se quell'idea sta in piedi, per farla stare in piedi ha bisogno di te, l'unica benzina sei te e quindi è difficile perché prova a pensare, mi sono trovato in un momento in cui comunque ho avuto un tumore, le persone vicine, sai, primo prendono compassione per te, qualsiasi cosa comunque sei visto come “ah, mi spiace”. Io invece no, l'ho convertita come recepivano quello che dicevo in un modo “boh sì, ha avuto un tumore, è andato di testa”, così anche le persone vicine non capivano che io, quello che stavo immaginando, quello che stavo sognando, era veramente fattibile. E la cosa che è stata fantastica è che a ogni scettico a ogni no, a ogni “figurati non si può fare” io invece andavo avanti a testa bassa, ma sfondando qualsiasi cosa. Perché su quello è stato sicuramente la malattia. Sai, hai una prospettiva diversa, non accetti più con superficialità un no e vuoi realmente guardare avanti, devi avere il coraggio, le palle per andare avanti e di sentire quello che vuoi tu, non quello che ti dicono gli altri, perché se aspetti il consenso degli altri non si farà mia un cavolo nella vita eh.


E poi ti raggiungerà anche Daniele Benati che è un tuo amico di infanzia. Come vi siete ritrovati e cosa ha fatto scattare questa scintilla di cominciare a lavorare insieme su questo progetto?


Dani io lo conosco da quando abbiamo tre anni e quindi ci conosciamo veramente da quando eravamo bambini. Lui quando aveva 17/18 anni è andato via dall’Italia, non è mai più tornato. Ha lavorato per 15 anni in Goldman, poi ha avuto un suo fondo che poi ha venduto e in quel momento lui stava facendo scouting per conto di una persona molto importante in ambito hi-tech e all'inizio si è affacciato a me da cliente, per poi dopo cinque incontri capire che eravamo perfettamente allineati, complementari l'un l'altro e abbiamo detto “ma perché no, proviamoci” e siamo complementarissimi.
Daniele dopo gli scetticismi delle persone intorno a te e la tua famiglia, le persone che ti volevano bene, poi a livello invece al di fuori della famiglia quando avete cominciato magari a voler tirar su finanziamenti, è stato facile far capire questa idea e se non è stato facile, quali sono state le critiche principali che vi venivano fatte?

La facilità è stato il fatto che Planet Farm non è stata costituita e poi ha cercato un'idea da sviluppare o avevano idea embrionale, quando ho fondato Planet farm il business c'era già. Nel senso che c'era un prodotto, c'era un mercato di riferimento, c'era tutta una parte tecnica che avevo già sviluppato. Quindi è stato una concretezza, tant'è che facendo così il primo investitore sei tu, anche perché i primi soldi che devono essere investiti devono essere i tuoi per avere rispetto di quello che fai. Perché quando lo fai con capitale di altro è più facile anche bruciare capitali. Anche la forza mia e di Daniele è stata che noi fin da sempre i soldi che abbiamo investito all’inizio erano i miei e poi i nostri, e quindi su quello abbiamo avuto molto rispetto e ci ha messo in una posizione molto forte. Poi devo dirti che io ero molto vincente, nel senso che sia per quanto guarda una volta che approcci investitori, il grado di consapevolezza dev’essere molto alto nel senso che a quel punto tu sei la tua benzina, nel senso solo tu puoi alimentare quel desiderio, quella concretezza. Io per via dell'esperienza che avevo, la storicità anche a livello di gruppo di famiglia siamo molto consolidati, molto rispettati nel settore, avevo le idee molto chiare, avevo delle cose tangibili da poter portare, ma soprattutto percepivano una determinazione folle, che è quello che penso sia stato il fattore di differenziazione, vedevano una persona estremamente determinata che indipendentemente da qualsiasi cosa voleva portare avanti questo progetto e quindi sono riuscito a convincere sia gli investitori ma soprattutto le persone, perché se vuoi la parte più bella è il capitale umano che abbiamo creato e generato in Planet farms.


Chiarifico questo punto che secondo me è anche importante, nel senso che ci hai detto che siete partiti già con tecnologia, knowhow, tante cose già pronte quando avete costituito l'azienda, che è successo effettivamente nel 2018, quindi non tantissimo tempo fa. In realtà quando sei partito tu avevi già lavorato all'inizio delle tecnologie, a certe idee, già producevi e lo facevi sotto l'ombrello del gruppo di famiglia o come ha funzionato l’inizio proprio?


Ho fatto una ricerca che era supportata dal punto di vista tecnologico sulla parte climatizzazione dal mio gruppo di famiglia, sulla parte di illuminazione da Philips Lighting che era diventato mio partner tecnico. Fatto ricerca con questi due expertise che mi hanno aiutato a elevarla e a concretizzarla.


Chiaro e quindi nel 2018 vi siete costituiti. Cosa sono stati i primi passi una volta costituita l'azienda che ovviamente, lo ripeto, Planet Farm è un progetto che ha bisogno di tantissimi investimenti, perché ci sono tecnologie avanzatissime, bisogno di personale che va formato perché non esiste qualcuno che conosce già molto bene il vertical farming, ha bisogno di spazio per coltivare vicino alle grandi città perché quello è anche un asset, che non devi trasportare troppo questi prodotti lontano dai supermercati. Quindi su cosa vi siete concentrati per partire?

Avevamo il prodotto, dovevamo dargli un aspetto, quindi dovevamo studiare quale fosse il pack migliore e soprattutto ci concentrati sulla costruzione di cavenago che era il nostro stabilimento prototipo, che però allo stesso tempo ad oggi rappresentato lo stabilimento più grosso a livello globale. Cioè abbiamo creato quel bambino che ad oggi è lo stabilimento incredibile alle porte di Milano. Quando è partito quello stabilimento fai conto che in Planet Farm eravamo in quattro persone, con un'assistenza, una segretaria. Ad oggi siamo in 80 e passa persone, quindi abbiamo creato anche un sacco di expertise e abbiamo dei cervelli incredibili a bordo che sono andati avanti nel perfezionare quello che esisteva.


E quando ci avete messo da quando siete partiti ad avere il primo prodotto pronto per la distribuzione?


Noi facevamo ricerca, non vendevamo prodotto. Noi non abbiamo mai voluto vendere il prodotto finché non era pronto a cavenago, quindi facciamo campionatura che davamo a tutti gli chef, le centrali di acquisto ai vari retail, a Esselunga e tutti quanti. Producevamo su base regolare, poi da quando abbiamo costituito Planet Farm che era il 2018 inoltrato, lo stabilimento di cavenago è partito a fine 2019 inizio 2020. Abbiamo fatto partire un cantiere e dopo tre mesi ahimè è successo quello che è successo col COVID e quindi e Planet Farm ha poco tempo ma le ha vissute tante, le ha vissute tutte ragazzi, cioè tutte le sfighe più totali le abbiamo prese. Poi se vogliamo nella sfortuna ad oggi è una realtà che dà molto prospettiva esattamente sugli stessi temi.


Ti volevamo proprio chiedere questo. Quali sono stati gli ostacoli più grandi che avete dovuto superare? Non so se ci sono aneddoti, cose particolari che ci puoi raccontare delle difficoltà.


Allora, parti dal concetto che io non volevo fare vertical farm nel senso che anche lì, la parola vertical far ad oggi è un po’ una parola sostenibilità, vuol dire un po’ tutto e niente. La tecnologia che ho messo a punto io è la tecnologia per essere i primi al mondo a consegnare un prodotto che non dovesse essere lavato per esser consumato. È un processo, è un'evoluzione del vertical farm, quindi la mia ricerca fin dal giorno zero era focalizzata su quello, anche perché poi la cosa difficile è che molte volte, parlare di cibo senza farglielo assaggiare è tosto, quindi dovevi rompere un'immagine romanticissima che qua dell'agricoltura nell'immaginario collettivo, la distesa infinita con il contadino con la sua bretella, il suo forcone. Poi la realtà è un'altra cosa ma pazienza. C'era da farlo nel mercato italiano dove il consumatore è molto esigente, giustamente, il cibo fa parte del nostro patrimonio culturale e siamo riconosciuti in tutto il mondo per il cibo. Da noi il cibo c'è e quindi fare vertical farm in Italia rispetto all’America o al Giappone è molto più complesso, perché ho un costo di energia che è fino al 10 volte superiore al loro, ho un prezzo di vendita assolutamente inferiore al loro, ho un consumatore molto esigente e soprattutto c'è una disponibilità all'acquisto molto più basso perché i miei competitor americani vendono ad uno zero in più per chilo di quanto vendiamo noi. Quindi il fatto di essere partiti dall'Italia è stato un sacco di spinta, un sacco di grinta e convincere il consumatore italiano poi alla fine resta la parte più bella.


Immagino che quello sia la parte più difficile anche tutte le idee “sì, il cibo è buono perché c'è il sole” non so, mi sembra che in Italia siamo molto legati a questa cosa, che il nostro cibo è più buono perché la terra, il sole sono migliori. Quindi l'idea di pensare a una cosa che cresce in un ambiente sterile rovina un po’ questa idea che abbiamo del cibo perfetto. Ne abbiamo parlato per cui ti volevo chiedere questo, ci racconti cosa vuol dire crescere un'insalata dentro il vostro stabilimento? Cosa succede dentro la vostra farm?

 
La cosa bella è che succede esattamente la stessa cosa che succede fuori con madre natura. Se potessi vedere il ciclo di madre natura alla sua forma originale, nel senso che noi utilizziamo gli stessi elementi che sono luce, aria, acqua e terra, solo che lo facciamo in maniera diversa, nel senso che il punto di partenza è il seme, nel senso che tu in agricoltura devi prendere un seme che possa resistere all'incostanza climatica, alle intemperie, alle aggressioni. Quindi sono andati alla ricerca del super seme. Io voglio il gusto, voglio il sapore, voglio l'emozione, quindi parto da un seme puro, in purezza, non un seme trattato, un seme che è debolissimo. Non è che non può essere utilizzato in agricoltura, ma gli agricoltori non possono usarlo perché perderebbero tutto il raccolto. Invece io lo posso utilizzare perché prendo un seme debole, lo proteggo da tutti gli elementi, quindi l'aria, utilizzo l'aria come madre natura, ma la privo della parte batterica, dalle spore dei funghi, tutta la parte dannosa e tossica che c'è. L'acqua uguale. L'acqua la prendo a 124 metri, la stabilizzo, la integro dei soli sali minerali che servono, Non gli metto chimica, non gli metto pesticidi, non gli metto fitofarmaci, non gli metto niente. La luce del sole che è tanto bella, ma anche una parte molto dannosa che sono i raggi UV e sostituiamo delle lampade a led che ti ricreano esattamente la stessa cosa perché madre natura, è la forma più intelligente ragazze, noi facciamo esattamente quello che fa lei, noi abbiamo l'alba, abbiamo il tramonto, abbiamo il cambio dello spettro della luce esattamente come lei. E al posto della terra utilizziamo dei substrati organici ad doc per ogni singola varietà. Quindi utilizzi gli stessi elementi, solo che se vuoi il cambio è rivoluzionario, nel senso che l'agricoltura è sempre stata climate driven. Siamo andati a produrre, dove ci sono state delle condizioni climatiche, economiche e sociali per poterlo fare e poi abbiamo una supply chain con un carbon footprint fortissimo. Buttiamo il 50% del prodotto abbiamo distrutto un sacco di paesi, noi ad oggi usiamo questo modello di autosostentamento, quindi si passa a un'agricoltura che consuma il driver ovvero vado a produrre dove c'è l'esigenza di consumo, quindi vicino al consumatore, annullando completamente tutto quello che è la filiera, perché all'interno dello stesso edificio entra un seme ed esce un prodotto confezionato pronto al consumo e utilizzabile. Senza poi parlare di quelli che sono i risparmi delle risorse che sono molto forti.


Devo dire che avendoti ascoltato adesso hai distrutto quasi tutte le domande che avevo e tutti di preconcetti che avevo sul vertical farming e voglio assolutamente assaggiare la vostra insalata. La mia domanda è però quando la vendi al supermercato non hai spazio per raccontare tutta la storia, è solo la scatola, non so cosa ci scrivete sopra. Come fate a fare marketing e a convincere i consumatori a mangiare la vostra insalata e tutte le cose che fate?


Mah soprattutto c'è una parte fondamentale, nel senso che non dobbiamo danneggiare l'agricoltura tradizionale. Il vertical farm non si va a sostituire all'agricoltura tradizionale, ma a me invece piace raccontare che il vertical farm sta al settore d'agriculture, come la Formula Uno sta al settore dell'automotive. Non è negativo, anzi, le tecnologie, i dati che noi acquisiamo troveranno campo in un supporto all'agricoltura tradizionale. Quindi, fai conto che l'acquisto di un pack d’insalata è un acquisto impulsivo che di solito dura un secondo e mezzo, quindi cercare di raccontare quello che c'è da raccontare in un secondo e mezzo è praticamente impossibile. Quando abbiamo lavorato con un'identità visiva di brand siamo i primi al mondo ad aver utilizzato un pack in carta facilmente identificabile all'interno di uno scenario, che sono tutti uguali.
Ti confermo che li avevo notati prima di conoscere la tua storia, ti confermo che sugli scaffali siete ben diversi dagli altri e conoscevo il brand grazie alla vostra diversità di identità.


Poi mettere un po’ di informazioni… devi stare attentissimo che non vada a ledere quello che è l'agricoltura tradizionale, quindi è stato abbastanza challenging, la parte più difficile è una. Il nostro prodotto è considerato premium a livello economico, io ti dico che è vero in parte, nel senso che il mio chilo di prodotto non è analogo al chilo di un'insalata lavata, perché tu quando compri un peck di insaata lavata tu compri acqua e foglie. L'acqua ha un peso specifico maggiore della foglia quindi quando compri il nostro prodotto è un prodotto che non ha mai preso acqua sulla foglia ha preso solo acqua da apparato radicale, non abbiamo utilizzato l'acqua per lavarlo e quindi è un prodotto completamente diverso. Primo fra tutti il fatto che il mio prodotto a questo punto non marcisce, bensì appassisce, quindi un prodotto che anche fuori dalla short life è sempre stabile e comunque non ti fa male. E poi a quel punto lì hai un problema di peso di euro chilo, nel senso che il mio prodotto che ha 80 grammi ti dico e son dentro tra i 140 e i 150 grammi, se fosse un prodotto lavato quindi il mio prodotto in realtà è percepito come premium ma non lo è e quindi insomma è quella è la parte più difficile che dovremmo cercare di comunicare, ma sempre ricordandoti che non devi fare un danno all'agricoltura tradizionale ma preservarla tantissimo, quello è un po’ tosto.


Abbiamo parlato un pochino prima nella conversazione di quest'idea di fundraising, di come avete convinto gli investitori, però è importante anche dare i numeri. A inizio 2022 avete chiuso il vostro round di finanziamento a 40 milioni di euro con investitori come Renzo Rosso di Diesel, il fondo di Loro Piana, ed è stato uno dei più grandi round A in Europa. Quindi abbiamo parlato un po’ anche delle critiche che avete ricevuto e ci hai parlato un po’ della tua convinzione, di come hai convinto tutto. Com'è andato questo round e cosa piace del progetto a questo punto della vostra vita di startup?


Quello che piace del progetto è che noi abbiamo avuto molto rispetto del capitale, se tu per confronto tra planet farm e altri player principalmente statunitensi, noi siamo arrivati ad essere come loro, un po’ più avanti, un po’ più indietro, con almeno uno zero in meno di capitale investito, quindi ci siamo presi molto cura. Avevamo un modello studiato in modo maniacale, nel senso che avevamo un prodotto, avevamo già lo stabilimento, abbiamo prospettive e forse rispetto ad altri noi vediamo il vertical farming un po’ con un occhio diverso, nel senso noi siamo partiti con le insalate ma Planet farm non finisce con le insalate, nel senso che abbiamo applicato la tecnologia con il prodotto più sensibile, più delicato, più vulnerabile, in modo tale da farci le spalle, per acquisire esperienza per poter sviluppare sensori, per essere molto reattivi e per poi applicare la stessa tecnologia su culture e su varie supplay chain.


Cos'è la cosa più bella di Planet farms e qual è la sua missione?

 
Per me le cose belle di Planet Farm sono le persone. Se vuoi ad oggi la cosa più bella è il capitale umano. Abbiamo fatto settimana scorsa un team building, purtroppo non eravamo tutti eravamo 70 e passa e c'è gente da tutto il mondo abbiamo gente veramente da ogni Paese ed è bello vedere come le persone da noi sanno quello che stiamo facendo. La parte bella del nostro lavoro è che se facciamo bene quello che stiamo facendo, è quanto di più concreto e tangibile possibile. Matchiamo la maggior parte del sostengable gold dell'agenda 2030, stiamo consegnando un prodotto che non solo fa bene, che è buono, ma che fa bene e che ha impatto ambientale, quindi è un cambio nella storia, è la prima rivoluzione reale in agricoltura che prima non c’è stata, mentre nell'industria c'è stata, quindi consapevolezza che oggi rappresentiamo un modello di autosostentamento per quelli che sono i problemi reali, secondo me sono importanti perché ormai negli anni a venire i problemi saranno le grossi migrazioni guidate purtroppo dalla scarsità di cibo, da un fenomeno da desertificazione che ad oggi sta creando grossi problemi e andare a ridurre quello che è un carbon foot print a consegna dei prodotti che non ha più senso, quindi è bello quello che facciamo, ci supportiamo a vicenda, abbiamo il capitale umano più strano del mondo e la cosa bella è che funziona, quella è stata la cosa più bella, il mio riscatto su Daniele che venendo dal mondo anglosassone, all’inizio quando stavamo sognando la costruzione del team, lui vedeva solo persone che venivano da mega multinazionali, dicevo “no guarda che in Italia abbiamo dei talenti pazzeschi inespressi e vedrai che ti ricrederai”. Si è ricreduto tantissimo, abbiamo veramente dei cervelli incredibili, ma se tu li vedi dici ma com'è possibile che siano tutti insieme e performa benissimo e sono veramente con una grinta pazzesca e quindi quella è la parte più bella, se vuoi e io riesco a stimolare un po’ tutti, nel senso che anche quando ci sono i momenti di difficoltà io difficilmente mi lascio intimorire, anzi se vuoi io dove performo meglio è quando c'è il panico di tutti, quando c'è il panico generale ecco, Luca lì performa bene. Quello che ho sognato ad oggi è stato realizzato meglio di come l'ho sognato e ti assicuro che sono già abbastanza fobico, molto ligio quindi c'era già l’avevo sognato in grande, devo dire che le persone con cui lavoro l'hanno resa ancora più bella, quindi quella parte se vuoi che mi piace tanto del nostro lavoro, le persone.

Che bello sentirti dire questa cosa. E secondo te, questo tuo lato in cui dici che gestisci meglio di tutti quando le cose quando diciamo c'è il panico, viene dal fatto che sei riuscito a sopravvivere a una diagnosi che era terribile e quindi ti ha fatto credere che in realtà tutto si può risolvere, o eri già così prima?


No no, non lo ero prima è sicuramente quell'esperienza che non mi spaventa, cioè alla fine sai, le situazioni di difficoltà ci sono sempre, o reagisci o le subisci. Cioè, non c'è modo di scappare, quindi nel momento in cui capisci che in una situazione di panico l'unica cosa che puoi fare è rimboccarti le maniche e respirare e poi agire e non agire in modo reattivo e impulsivo senza respirare. Così ci si fa del male. Mentre, come giustamente dice Daniele, quando tu pensi, non so se si può dire, un cazzo importante, qualcuno nel mondo l'ha già risolto, quindi piuttosto che star lì a focalizzarti su come risolvere. Una roba, anche alzare lo sguardo, perché molte volte quando si è nel panico le persone hanno la tendenza a rimanere basso di sguardo, quando si è basso di sguardi non ricevi le influenze, le positività e non stai guardando quello che c'è intorno. Ecco, su quello secondo me bisogna farne tesoro e proprio nei momenti di difficoltà in cui ci si rafforza e io lì effettivamente dopo avere anche subito quello che ho subito mi spaventano un po’ meno.


No certo, infatti questa è la grande forza che può uscire fuori da questi bruttissimi momenti che ti fa vedere poi le cose in maniera molto diversa. E invece la tua missione a livello personale qual è?


Mah, la missione a livello personale è portare avanti quello che stiamo facendo elevarlo e rispettare il lavoro di tutti, nel senso di consolidare quello fatto, di poterlo rendere più accessibile. La mia missione è di poter fare tra qualche anno vertical farm per chiunque, anche per le persone che non possono permetterselo, perché se vuoi la parte bella è quella che la nostra tecnologia è una tecnologia che ogni anno sarà più competitiva. In base ai dati che andiamo ad acquisire lì potremmo essere sempre più competitivi tra le risposte concrete, ecco. Io non sono guidato dall'aspetto economico, sono felice e onorato che ad oggi Planet farm sia una realtà e ha fatto round come menzionava prima Camilla, ma penso che se tu conoscessi bene, se tu parlassi con le persone da noi sanno più non sono guidato da quello. Io sono guidato realmente dalla missione mia personale che è di fare qualcosa di veramente tangibile e di prendere in mano questa situazione per il futuro dei nostri figli. Guarda, un dato che a me ha lasciato veramente di sasso, quando stavo studiando un po’ le prospettive di questa tecnologie è che se tu guardi i dati anagrafici della popolazione che si aspetta nel 2050, più o meno dovremmo essere tra i 9 miliardi e mezzo e 10 più o meno, quello che si dice. Ad oggi il 70% delle risorse idriche mondiali viene utilizzato dal comparto agricolo. Questo vuol dire che nei prossimi vent'anni, perché da adesso al 2050, 25 anni, noi dovremmo andare a produrre più cibo di quanto sia mai stato prodotto negli ultimi 10.000 anni. Questo è un qualche cosa che dovrebbe far pensare perché ad oggi bisogna trovare delle soluzioni concrete, tangibili, per dare le prospettive perché sennò è un problema. Quindi bisogna guardare avanti e rimboccarsi le maniche.


Hai tu invece un mantra o un motto che ti ripeti nei momenti di dubbio?
Se fosse facile tutti l'avrebbero fatto. Se vuoi quando sei nei momenti di difficoltà, che non riesci a vedere niente, guarda io ce l'ho sull’iPad, c'ho stampato dietro “if it were easy, everyone would do it”.


Cosa vuol dire per te successo?

 
Successo è prospettiva, non è una roba individuale, per niente. Cioè per me proprio zero, anzi, se vuoi la parte che un po’ viene meno quando sei in un turbinio simile. Gli ultimi due anni della mia vita, della vita di Planet Farm, sono stati caratterizzati da dei riconoscimenti, dei premi incredibili, stato premiato da Mattarella, ho incontrato le massime cariche dello Stato di qualsiasi Paese, ho vinto Italian tech personal day, abbiamo un sacco di premi…bisognerebbe ogni tanto fermarsi e goderseli un attimo. Ma non goderseli con un riscontro futile, ma goderseli nel senso che quello è un traguardo, perché sennò sembra un turbinio, non è mai abbastanza. Invece ogni tanto celebrare, ma celebrare nella parte buona, nella parte forte, con le persone, rendersi conto… quello è il successo secondo me. Il successo secondo me è quando sai che quello che stai facendo va al di fuori del tuo lavoro e ha un impatto sulla società, sulle prospettive future e così via.


Hai qualche altro pensiero su cosa pensi che manchi un po’ adesso al mondo dell'agricoltura, che sia in Italia o nel mondo?


Io penso che l’agricoltura debba essere completamente rivista, rivalutata e tutto. Sai, ti faccio un esempio: ad oggi purtroppo un'agricoltura che riceve troppi aiuti, che portono poi molte volte le persone a non riuscire a raccogliere il prodotto, perché non riescono a vendere il prodotto a dei prezzi concreti. Secondo me deve essere ripensata, primo fra tutto d'essere ripensata che quello che ci hanno insegnato che l'ortofrutta per definizione debba costare niente, è sbagliato. L'ortofrutta ad oggi è uno degli alimenti fondamentali per la nostra dieta, per il nostro benessere, ma soprattutto per le risorse di questo pianeta. Perché ad oggi se utilizziamo il 70% delle risorse idriche per dei prodotti che molte volte neanche vengono raccolti perché il supermercato non è in grado di pagarti quel prezzo, secondo me è follia. Quindi prima fra tutti consapevolezza che il prodotto ortofrutticolo non può, non è che non deve, non può costare determinati prezzi. Quando io vedo al supermercato delle banane, degli ananas, dell'anguria, a meno di un euro al chilo, non è possibile, è sbagliato, è sbagliatissimo. Lì stiamo distruggendo il nostro pianeta, quindi bisogna ripensarlo primo a livello di mercato di sbocco, perché per permettere all’agricoltura di prendersi cura del pianeta devi dargli respiro, devi dargli margine, non puoi sfruttarla continuamente. Quindi va ripensata in quel frangente. E poi aiutare quello che è il mondo dell'agricoltura anche a ricevere determinati finanziamenti, ci sono un sacco di soldi che verranno destinati al comparto agricolo ma è molto complesso andarli a intercettare. Quindi anche lì faccio fatica io conosco società molto qualificata con un sacco di persone, immagino l’azienda agricola tipica, quindi anche lì supportarli maggiormente sì, ci sono dei capitali, ci sono dei fondi, ci sono dei bandi, ma aiutiamo le persone a poter usufruirne anche.


Tutto quello che hai detto sull'agricoltura penso sia anche molto interessante, come diceva Inés, per i nostri ascoltatori, nel senso che è uno spazio a cui non si pensa ma dove c'è tantissima innovazione che può arrivare, tantissimo spazio per rinnovare, quindi anche pensare all'agricoltura quando si pensa al mondo delle startup e c'è tanta tecnologia, tante innovazioni e tanti mercati che possono cambiare, quindi come appunto di spunto per tutti penso sia importante.


Sì, è il futuro, il nostro futuro, quindi anche ripensare…cioè io penso che il mondo abbia riscoperto l'agricoltura da qualche anno nel senso che fino a non più tardi di 10/8 anni fa l'agricoltura nell'immaginario collettivo era qualcosa di… ad oggi è stata riscoperta e deve anche attrarre capitale umano, nel senso bisogna rendere dei corsi più appetibili, bisogna creare dei nuovi lavori. Ad oggi, ti faccio un esempio, gli agronomi che lavorano da noi ad oggi hanno le prospettive lavorative incredibili. Un agronomo normale ha delle prospettive nulle. Anche lì, investiamo sul formare ragazzi, investiamo sul dare delle risorse.


Fino ad oggi diciamo la gente che aveva delle grosse lauree oppure…le persone si sono buttate molto dove ci sono i soldi, quindi banking, adesso le startup. Nell'agricoltura purtroppo secondo me c'è ancora tantissima, ovviamente però non voglio dire che ci sono persone non intelligenti nell’agricoltura, però diciamo che non ha attratto il top talent fino adesso e quindi vedere storie come la tua, vedere che tu sei riuscito a trovare queste persone incredibili, le cose che potete fare è che c'è veramente bisogno di rivoluzionare questo settore per poter vivere su questo pianeta e dare cibo e mangiare a tutti e queste tecnologie che piano piano si stanno applicando nel settore agricolo, secondo me sarà, cioè ci deve essere una vera rivoluzione e tu stai un po’ aprendo le porte anche qui in Italia per questo, cose che magari si vedono già all'estero a farle partire qui e attrarre sempre più talenti in questo settore.


Ti faccio un esempio: nel nostro team io ho come capa di ricerca una persona che era capa da ricerca del gruppo aerospaziale francese per 25 anni e ha mollato per imbarcarsi in questa avventura, abbiamo persone dal mondo corporate molto forte Anastassia, Modine, Coca-Cola, Global, la nostra digal viene da Ikea, abbiamo un gruppo fortissimo in Portogallo, una società che lavora 100% per noi, dove facciamo tutta la parte il software engineering, intelligenza artificiale, machine learning, abbiamo delle teste che fanno paura, in gambissima, bravissime. Nel mio team ingegneristico c'è gente che, c'è uno che è quello che ha disegnato gli ultimi file della Coppa America, ho altri ingegneri nautici, sulla parte hardware c'è la persona che ha ingegnerizzato e opera piattaforme tipo Youx, Pret-a-Porte, Alibaba che è sconosciuto a tutti, un genio pazzesco, incredibile. Bisogna credere in quello che facciamo, ispirarsi vicendevolmente. Ma basta anche i modelli tipici dove se non hai determinati anni allora non vai bene, cioè da noi è un settore nuovo. Io come poteva assumere le persone chiedendo 5 anni di esperienza in qualche cosa che non esisteva. Quindi noi rappresentiamo quello, che non c'è un modello che potevi studiare da nessuna parte, invece sta in piedi. E poi è più unito di tanti altri perché è molto orizzontale. Abbiamo cambiato la prospettiva da orizzontale a verticale, ma la società è abbastanza orizzontale nel senso che ci riteniamo tutti allo stesso livello, non ti reputi né il capo né il padrone. In più abbiamo fatto un qualcosa di fortemente atipico rispetto al mercato italiano, ovvero qualsiasi persona lavori per noi è socio della nostra società. Quindi abbiamo qualsiasi persona che è in stock option sull'azienda per creare consapevolezza che l'errore oramai è un errore che impatta su tutti e che le prospettive saranno guidate dalla responsabilità di ognuno di noi. Quello cambia molto e quello, quindi è una cosa molto bella, che secondo me deve essere molto utilizzata in Italia, invece viene utilizzata poco. Le persone sono la tua prima risorsa, quindi devi incentivarle, formarle, supportarle, pagarle bene e allora ti faranno la differenza, secondo me di fondamentale.


Arriva la nostra ultima domanda che è sempre questa: in che modo pensi che la tua italianità ti abbia aiutato nel tuo percorso?


Nel mio mondo l’italianità magari è controproducente, nel senso che fare un business capital intensive ed essere italiani, lo sai meglio di chiunque altro Camilla, non è facile. Devo dire che però in ambito food nessuno ci può dire niente, quindi il fatto che noi siamo italiani, il fatto che io venga da un gruppo di famiglia che ha più di 75 anni di storia è stato un plus. Io penso, abbiamo sempre lavorato nell'industria alimentare e vedo come in qualsiasi parte del mondo la tecnologia alimentare italiana, i prodotti di eccellenza sono italiani e su quello primato che sarà difficile toglierci. Quello che se vuoi manca un po’ in Italia e che sarebbe un Paese, è un Paese pieno di cervelli pazzeschi, di un capitale umano pazzesco, è molto dispersivo, nel senso che non ci si prende per mano e ci si aiuta e si guarda avanti. No, si è tutti gelosi “ah ma no io ce l'ho più bello del tuo”. Quello è molto limitativo, soprattutto in un settore come il nostro, l’agricoltura è enorme o ci prendiamo a braccetto o se andiamo ognuno per le proprie direzioni poi è più difficile. Quindi serve maggior consapevolezza, serve maggior lavoro di squadra, da tutti i punti di vista, proprio da tutti i punti di vista. E poi a quel punto penso che noi italiani…in pochi riescano a essere più bravi di noi, in tantissime cose. Se tu lo vedi, tutto dove ciò un fattore di gusto, un fattore di sensibilità, una creatività, una sensorialità siamo i migliori.

 
Siamo d'accordo ed è quello che vogliamo far capire con questo podcast.


Poi siamo debolissimi su tante cose eh, però adesso non bisogna essere megalomani, ma secondo me noi italiani potremmo essere molto più forti di quanto ce ne rendiamo conto.


La parte sulla debolezza la tagliamo, teniamo solo le forze…no scherzo. È stato bellissimo scoprire secondo te…


No ma taglia, taglia, nel senso, non volevo essere…
Era una battuta, era una battuta. È stato bello scoprire la tua storia, grazie di averci raccontato anche momenti personali difficili con tantissima trasparenza e di aver sicuramente ispirato speriamo, ma siamo abbastanza sicuri, di avere ispirato tanti dei nostri ascoltatori a pensare ai loro percorsi, a magari considerare l'agricoltura come il prossimo passo per la loro avventura, quindi grazie ancora.

Luca vieni da una famiglia di industriali e dopo la laurea in economia alla Bocconi e qualche esperienza lavorativa, andrai poi a lavorare nel gruppo di famiglia Travaglini Spa, ma su Made IT, come ormai i nostri ascoltatori sapranno, ci piace sempre cominciare un po’ dall'inizio e quindi prima di parlare di questo ti volevo chiedere di raccontare un po’ della tua infanzia, adolescenza e cosa sognavi di fare da ragazzo? Tutt'altro magari, come tutti da piccoli, sai sei più legato a quelle che sono le passioni, io appassionatissimo di motori, quindi da piccolo per me esistevano solo i motori, quindi avrei sognato di lavorare nella Motorballi o da qualche altra parte. In realtà ho lavorato un po’ nell'automotile e stavo facendo un po’ carriera in Automotive ma poi stato richiamato dall’azienda di famiglia e quando ti chiedono un aiuto soprattutto dalla tua famiglia è più difficile dire di no e quindi ho accettato la richiesta. E infatti sei stato cresciuto diciamo per entrare in questa azienda di famiglia e quindi hai sempre saputo che sarebbe stato il tuo lavoro o insomma ti hanno lasciato più spazio? Assolutamente no. Diciamo che da una parte c'era il desiderio, la volontà dei genitori, dall'altro c'è poi il tuo cuore, la tua passione. In realtà anzi ho anche abbastanza preso in giro mio padre, nel senso che lui ci teneva tantissimo che facessi ingegneria, sono andato a fare il test di ingegneria, senza dirglielo sono andata a fare il test anche in Bocconi. Mi hanno preso a ingegneria, lui era felicissimo, ho detto no guarda papà mi hanno preso anche in Bocconi, ho scelto la Bocconi, e quindi l’ho anche illuso che stessi facendo quello che lui voleva ma poi in realtà ho fatto quello che mi sentivo maggiormente. Quindi eri un po’ ribelle? No no assolutamente. Allora, da parte il c'è mia madre che mai nella vita avrebbe voluto che entrassi nel gruppo di famiglia, e forse aveva un po’ di ragione anche, perché poi quando si mischiano le dinamiche lavorative e familiari è sempre più complesso. E poi ho avuto questa esperienza, ma poi sono riuscito ad andare avanti e a seguire un po’ più il cuore e l'istinto. Devo dirti però che se ad oggi sto facendo quello che sto facendo è sicuramente grazie al knowhow acquisito in quegli anni, è stata una delle scuole più incredibili possibili. Sono stati anni tosti ma molto interessanti e costruttivi. Infatti una volta che sei entrato dentro il gruppo, come ti sei trovato? Di cosa ti occupavi esattamente in azienda? Bah allora, nei gruppi di famiglia è sempre un po’ complesso, quando porti il nome di famiglia quasi tutti partono sempre dal concetto che sei un po’ ritardato rispetto agli altri. Te la devi sudare di più effettivamente, io mi sono ritagliato il mio spazio nel senso che comunque seguivo la parte commerciale, poi ho sviluppato tutta la parte di engeneering interno per aumentare il livello di fornitura negli stabilimenti automatizzati che facevo, sviluppato tutta l'automazione, quindi mi sono focalizzato maggiormente sugli stabilimenti fortemente automatizzati creandomi un mio team di lavoro interno e quindi avendo un po’ di autonomia e allo stesso tempo dando prospettiva all'azienda. E so che hai fatto anche una parte di export, quindi viaggiavi tantissimo, comunque seguivi il lavoro del gruppo in giro per il mondo, viaggiando negli Stati Uniti, Est Europa, penso anche Asia e se non sbaglio è proprio durante un viaggio in Giappone, non so se per lavoro o per piacere, che hai scoperto un po’ questo concetto di vertical farming. Quindi prima di parlarne veramente ti volevo solo chiedere quando l'hai visto per la prima volta ti ha colpito subito, ti sono girati gli ingranaggi del cervello oppure semplicemente l'hai notato e poi ci sei tornato più in là nella vita? Parto dalla dall'inizio della tua domanda. Sì, viaggiavo 240-260 giorni all'anno, poi la cosa bella è che magari in una settimana mi capitava di essere in Croazia o Serbia e poi dopo in Nord America, Sud America, in Giappone, in Russia. Quindi avere a che fare con persone sempre diverse. Il bagaglio più utile e valido che ognuno di noi passa acquisire, l'esperienza gli usi consumi diversi, la cultura locale è sempre molto interessante, ti arricchisce molto. In realtà il vertical farming lo pensavo da tempo, nel senso che pensavo, non era ancora definito come vertical farms, a un sistema di produzione indoor per vegetali. E poi dopo il vertical farm si è consolidato in cui c'è stato l'avvento del led. Pre led il vertical farming non stava in piedi a livello concettuale ed economico. Un giorno ero su un volo e mi sono trovato quelle riviste che trovi davanti che non leggi mai perché di solito sono abbastanza noiose o solo di pubblicità e c'era questa rivista dove c'era un articolo bellissimo, parlava del vertical farming in Giappone a seguito del disastro di Fukushima, in quanto c'era una situazione abbastanza critica, non c'erano risorse idriche, nel senso che la falda era completamente inquinata dal punto che non poteva essere utilizzata, non c'erano spazi e quindi sta c'è stato un boom molto forte. Da lì ho visto la luce, nel senso che avevi dentro qualche cosa che già maturavi da tempo, leggi sta rivista out of the blue e l'ho preso come segno del destino. Quindi da lì, poi anche il periodo della mia vita non era il più semplice, da lì ho capito esattamente quello che volevo fare e l'ho fatto. Ritorno un attimo indietro e ai tuoi primi anni di lavoro nel gruppo di famiglia, appunto torniamo sul viaggio, nel senso viaggiavi tantissimo, il lavoro era molto duro, era impegnativo, in tutto questo ti sei anche sposatp abbastanza giovane, se non sbaglio hai avuto i tuoi primi due bambini, quindi volevamo chiedere come facevi a combaciare questi aspetti della tua vita, sei riuscito a sempre a gestire tutto? In realtà era molto più semplice quando viaggiavo, adesso che viaggio meno…no scherzo. Beh devo dire, anche mia moglie comunque viaggiava molto per lavoro per anche lei faceva responsabile commerciale estero nel food, quindi anche lei viaggiava abbastanza. Era la parte bella, nel senso che io andavo in giro per il mondo, facevo comunque una parte che mi piaceva, poi tornavo ed ero molto più focalizzato nel godermi il tempo in maniera diversa. Cioè quando sei fisso e hai CP talmente abitudinari che poi ti perdi di vista le cose piacevoli, stando fuori quando torni non puoi che fare altro che cercare del quality time che altrimenti non hai e con due figli, cioè adesso sono tre, ai tempi con due era già tosto, adesso con tre tostissimo iniziamo a vedere un pelo la luce di nuovo essendo l'ultimo un po’ più grandicello, adesso inizia ad avere quattro anni e mezzo quindi si va avanti si va avanti. Devo dirti che loro sono stati l'energia, la forza, che mi hanno portato a fare quello che facevo. Se non avessi avuto figli difficilmente avrei avuto la forza e la determinazione per portare avanti questo progetto. Arriviamo un po’ a questo momento difficile della tua vita che cambierà anche un po’ tutta la tua prospettiva, per cui noi dobbiamo assolutamente parlarne. Nel 2014-2015 ti viene diagnosticato un tumore con una prospettiva di vita di qualche mese, quindi prognosi e diagnosi tostissima. Cosa vuol dire ricevere una prognosi del genere, cioè cosa succede nel momento in cui scopri che questo è quello che ti aspetta nella vita? All'inizio nel panico più totale, anche perché io sono una persona abbastanza sportiva e mi ritengo abbastanza sano. Sono andato per farmi vedere un neo in testa perché andando in moto mi dava fastidio e mi dicono tutto a posto, già che ci sei togliti la maglietta, mi ha cerchiato un puntino microscopico al centro della schiena. Mi ha detto “questo qui non mi piace, torna fra due settimane”, me l'hanno tolto e poi dopo l'operazione non avevo ricevuto nessuna chiamata, quindi sono andata a farmi togliere i punti, era una giornata bellissima di sole, serenissimo sono andato lì, mi hanno tolto i punti e dico “non c’era anche una biopsia?” mi dicono “sì sì, aspetti”, l’assistente diventa completamente bianca ma bianca bianca bianca, io capisco che c'è qualche problema, dico “ragazzi che è successo?” “Guardi, lei ha il peggiore dei tumori alla pelle e come al solito con il tatto che c'è molti casi mi viene prospettato uno scenario: tre mesi di vita. E non sapevi niente, cioè ti trovi da un momento con l'altro con due figli, perdi completamente prospettiva, è veramente difficile. E poi c'è anche questo aspetto, ovviamente ognuno reagisce diversamente alle malattie, non voglio neanche dire che tutte le persone che ricevono la prognosi di una malattia, una diagnosi difficile, devono ripensare tutta la loro vita perché non è così, ma nel tuo caso un po’ lo è stato. Nel senso, la malattia ti ha fatto un po’ ripensare alla tua vita, il tuo percorso, cose stavi facendo, quindi ti volevamo chiedere che tipo di pensieri hai fatto e cosa ti ha portato poi? Bah sai, mi ha portato a prendere la mia vita in mano, nel senso che era da un po’ di tempo che pensavo di far qualcosa di mio, volevo far qualcosa di mio e da lì ha maturato prima un desiderio fortissimo, sai, noi ci battiamo per tantissimi diritti ma nessuno di noi ha il diritto basilare di sapere che cosa sta mangiando e cosa c'è all'interno di quel piatto. Quella è una roba che secondo me è abbastanza brutta nei momenti in cui noi realmente siamo quello che mangiamo e quindi di fatto mi sono battuto per portare il prodotto più trasparente possibile a zero impatto ambientale che non solo fosse buono ma che facesse bene quindi è tutto correlato. Da questo desiderio di un diritto che manca di trasparenza e di coerenza con quelli che sono anche i temi attuali. Perché ragazzi ad oggi non solo bisogna dare da mangiare alle persone ma bisogna prendersi cura del pianeta e prendersi cura anche della salute delle persone, quindi è tutto molto correlato. Quindi è stato il momento in cui hai realmente cominciato al realizzare questa idea che magari avevi da qualche anno già in mente, in testa e a volerla concretizzare l'idea di Planet Farms. Ti volevo chiedere perché proprio il vertical farming è concettualmente, cioè lo hai appena detto, quello che ti motivava era di dare questo diritto alle persone, quindi come hai cominciato a concretizzare questa idea allora all'inizio? Mah, con olio di gomito ragazzi come qualsiasi cosa, quando c'è l'idea prima devi capire se quell'idea sta in piedi, per farla stare in piedi ha bisogno di te, l'unica benzina sei te e quindi è difficile perché prova a pensare, mi sono trovato in un momento in cui comunque ho avuto un tumore, le persone vicine, sai, primo prendono compassione per te, qualsiasi cosa comunque sei visto come “ah, mi spiace”. Io invece no, l'ho convertita come recepivano quello che dicevo in un modo “boh sì, ha avuto un tumore, è andato di testa”, così anche le persone vicine non capivano che io, quello che stavo immaginando, quello che stavo sognando, era veramente fattibile. E la cosa che è stata fantastica è che a ogni scettico a ogni no, a ogni “figurati non si può fare” io invece andavo avanti a testa bassa, ma sfondando qualsiasi cosa. Perché su quello è stato sicuramente la malattia. Sai, hai una prospettiva diversa, non accetti più con superficialità un no e vuoi realmente guardare avanti, devi avere il coraggio, le palle per andare avanti e di sentire quello che vuoi tu, non quello che ti dicono gli altri, perché se aspetti il consenso degli altri non si farà mia un cavolo nella vita eh. E poi ti raggiungerà anche Daniele Benati che è un tuo amico di infanzia. Come vi siete ritrovati e cosa ha fatto scattare questa scintilla di cominciare a lavorare insieme su questo progetto? Dani io lo conosco da quando abbiamo tre anni e quindi ci conosciamo veramente da quando eravamo bambini. Lui quando aveva 17/18 anni è andato via dall’Italia, non è mai più tornato. Ha lavorato per 15 anni in Goldman, poi ha avuto un suo fondo che poi ha venduto e in quel momento lui stava facendo scouting per conto di una persona molto importante in ambito hi-tech e all'inizio si è affacciato a me da cliente, per poi dopo cinque incontri capire che eravamo perfettamente allineati, complementari l'un l'altro e abbiamo detto “ma perché no, proviamoci” e siamo complementarissimi. Daniele dopo gli scetticismi delle persone intorno a te e la tua famiglia, le persone che ti volevano bene, poi a livello invece al di fuori della famiglia quando avete cominciato magari a voler tirar su finanziamenti, è stato facile far capire questa idea e se non è stato facile, quali sono state le critiche principali che vi venivano fatte? La facilità è stato il fatto che Planet Farm non è stata costituita e poi ha cercato un'idea da sviluppare o avevano idea embrionale, quando ho fondato Planet farm il business c'era già. Nel senso che c'era un prodotto, c'era un mercato di riferimento, c'era tutta una parte tecnica che avevo già sviluppato. Quindi è stato una concretezza, tant'è che facendo così il primo investitore sei tu, anche perché i primi soldi che devono essere investiti devono essere i tuoi per avere rispetto di quello che fai. Perché quando lo fai con capitale di altro è più facile anche bruciare capitali. Anche la forza mia e di Daniele è stata che noi fin da sempre i soldi che abbiamo investito all’inizio erano i miei e poi i nostri, e quindi su quello abbiamo avuto molto rispetto e ci ha messo in una posizione molto forte. Poi devo dirti che io ero molto vincente, nel senso che sia per quanto guarda una volta che approcci investitori, il grado di consapevolezza dev’essere molto alto nel senso che a quel punto tu sei la tua benzina, nel senso solo tu puoi alimentare quel desiderio, quella concretezza. Io per via dell'esperienza che avevo, la storicità anche a livello di gruppo di famiglia siamo molto consolidati, molto rispettati nel settore, avevo le idee molto chiare, avevo delle cose tangibili da poter portare, ma soprattutto percepivano una determinazione folle, che è quello che penso sia stato il fattore di differenziazione, vedevano una persona estremamente determinata che indipendentemente da qualsiasi cosa voleva portare avanti questo progetto e quindi sono riuscito a convincere sia gli investitori ma soprattutto le persone, perché se vuoi la parte più bella è il capitale umano che abbiamo creato e generato in Planet farms. Chiarifico questo punto che secondo me è anche importante, nel senso che ci hai detto che siete partiti già con tecnologia, knowhow, tante cose già pronte quando avete costituito l'azienda, che è successo effettivamente nel 2018, quindi non tantissimo tempo fa. In realtà quando sei partito tu avevi già lavorato all'inizio delle tecnologie, a certe idee, già producevi e lo facevi sotto l'ombrello del gruppo di famiglia o come ha funzionato l’inizio proprio? Ho fatto una ricerca che era supportata dal punto di vista tecnologico sulla parte climatizzazione dal mio gruppo di famiglia, sulla parte di illuminazione da Philips Lighting che era diventato mio partner tecnico. Fatto ricerca con questi due expertise che mi hanno aiutato a elevarla e a concretizzarla. Chiaro e quindi nel 2018 vi siete costituiti. Cosa sono stati i primi passi una volta costituita l'azienda che ovviamente, lo ripeto, Planet Farm è un progetto che ha bisogno di tantissimi investimenti, perché ci sono tecnologie avanzatissime, bisogno di personale che va formato perché non esiste qualcuno che conosce già molto bene il vertical farming, ha bisogno di spazio per coltivare vicino alle grandi città perché quello è anche un asset, che non devi trasportare troppo questi prodotti lontano dai supermercati. Quindi su cosa vi siete concentrati per partire? Avevamo il prodotto, dovevamo dargli un aspetto, quindi dovevamo studiare quale fosse il pack migliore e soprattutto ci concentrati sulla costruzione di cavenago che era il nostro stabilimento prototipo, che però allo stesso tempo ad oggi rappresentato lo stabilimento più grosso a livello globale. Cioè abbiamo creato quel bambino che ad oggi è lo stabilimento incredibile alle porte di Milano. Quando è partito quello stabilimento fai conto che in Planet Farm eravamo in quattro persone, con un'assistenza, una segretaria. Ad oggi siamo in 80 e passa persone, quindi abbiamo creato anche un sacco di expertise e abbiamo dei cervelli incredibili a bordo che sono andati avanti nel perfezionare quello che esisteva. E quando ci avete messo da quando siete partiti ad avere il primo prodotto pronto per la distribuzione? Noi facevamo ricerca, non vendevamo prodotto. Noi non abbiamo mai voluto vendere il prodotto finché non era pronto a cavenago, quindi facciamo campionatura che davamo a tutti gli chef, le centrali di acquisto ai vari retail, a Esselunga e tutti quanti. Producevamo su base regolare, poi da quando abbiamo costituito Planet Farm che era il 2018 inoltrato, lo stabilimento di cavenago è partito a fine 2019 inizio 2020. Abbiamo fatto partire un cantiere e dopo tre mesi ahimè è successo quello che è successo col COVID e quindi e Planet Farm ha poco tempo ma le ha vissute tante, le ha vissute tutte ragazzi, cioè tutte le sfighe più totali le abbiamo prese. Poi se vogliamo nella sfortuna ad oggi è una realtà che dà molto prospettiva esattamente sugli stessi temi. Ti volevamo proprio chiedere questo. Quali sono stati gli ostacoli più grandi che avete dovuto superare? Non so se ci sono aneddoti, cose particolari che ci puoi raccontare delle difficoltà. Allora, parti dal concetto che io non volevo fare vertical farm nel senso che anche lì, la parola vertical far ad oggi è un po’ una parola sostenibilità, vuol dire un po’ tutto e niente. La tecnologia che ho messo a punto io è la tecnologia per essere i primi al mondo a consegnare un prodotto che non dovesse essere lavato per esser consumato. È un processo, è un'evoluzione del vertical farm, quindi la mia ricerca fin dal giorno zero era focalizzata su quello, anche perché poi la cosa difficile è che molte volte, parlare di cibo senza farglielo assaggiare è tosto, quindi dovevi rompere un'immagine romanticissima che qua dell'agricoltura nell'immaginario collettivo, la distesa infinita con il contadino con la sua bretella, il suo forcone. Poi la realtà è un'altra cosa ma pazienza. C'era da farlo nel mercato italiano dove il consumatore è molto esigente, giustamente, il cibo fa parte del nostro patrimonio culturale e siamo riconosciuti in tutto il mondo per il cibo. Da noi il cibo c'è e quindi fare vertical farm in Italia rispetto all’America o al Giappone è molto più complesso, perché ho un costo di energia che è fino al 10 volte superiore al loro, ho un prezzo di vendita assolutamente inferiore al loro, ho un consumatore molto esigente e soprattutto c'è una disponibilità all'acquisto molto più basso perché i miei competitor americani vendono ad uno zero in più per chilo di quanto vendiamo noi. Quindi il fatto di essere partiti dall'Italia è stato un sacco di spinta, un sacco di grinta e convincere il consumatore italiano poi alla fine resta la parte più bella. Immagino che quello sia la parte più difficile anche tutte le idee “sì, il cibo è buono perché c'è il sole” non so, mi sembra che in Italia siamo molto legati a questa cosa, che il nostro cibo è più buono perché la terra, il sole sono migliori. Quindi l'idea di pensare a una cosa che cresce in un ambiente sterile rovina un po’ questa idea che abbiamo del cibo perfetto. Ne abbiamo parlato per cui ti volevo chiedere questo, ci racconti cosa vuol dire crescere un'insalata dentro il vostro stabilimento? Cosa succede dentro la vostra farm? La cosa bella è che succede esattamente la stessa cosa che succede fuori con madre natura. Se potessi vedere il ciclo di madre natura alla sua forma originale, nel senso che noi utilizziamo gli stessi elementi che sono luce, aria, acqua e terra, solo che lo facciamo in maniera diversa, nel senso che il punto di partenza è il seme, nel senso che tu in agricoltura devi prendere un seme che possa resistere all'incostanza climatica, alle intemperie, alle aggressioni. Quindi sono andati alla ricerca del super seme. Io voglio il gusto, voglio il sapore, voglio l'emozione, quindi parto da un seme puro, in purezza, non un seme trattato, un seme che è debolissimo. Non è che non può essere utilizzato in agricoltura, ma gli agricoltori non possono usarlo perché perderebbero tutto il raccolto. Invece io lo posso utilizzare perché prendo un seme debole, lo proteggo da tutti gli elementi, quindi l'aria, utilizzo l'aria come madre natura, ma la privo della parte batterica, dalle spore dei funghi, tutta la parte dannosa e tossica che c'è. L'acqua uguale. L'acqua la prendo a 124 metri, la stabilizzo, la integro dei soli sali minerali che servono, Non gli metto chimica, non gli metto pesticidi, non gli metto fitofarmaci, non gli metto niente. La luce del sole che è tanto bella, ma anche una parte molto dannosa che sono i raggi UV e sostituiamo delle lampade a led che ti ricreano esattamente la stessa cosa perché madre natura, è la forma più intelligente ragazze, noi facciamo esattamente quello che fa lei, noi abbiamo l'alba, abbiamo il tramonto, abbiamo il cambio dello spettro della luce esattamente come lei. E al posto della terra utilizziamo dei substrati organici ad doc per ogni singola varietà. Quindi utilizzi gli stessi elementi, solo che se vuoi il cambio è rivoluzionario, nel senso che l'agricoltura è sempre stata climate driven. Siamo andati a produrre, dove ci sono state delle condizioni climatiche, economiche e sociali per poterlo fare e poi abbiamo una supply chain con un carbon footprint fortissimo. Buttiamo il 50% del prodotto abbiamo distrutto un sacco di paesi, noi ad oggi usiamo questo modello di autosostentamento, quindi si passa a un'agricoltura che consuma il driver ovvero vado a produrre dove c'è l'esigenza di consumo, quindi vicino al consumatore, annullando completamente tutto quello che è la filiera, perché all'interno dello stesso edificio entra un seme ed esce un prodotto confezionato pronto al consumo e utilizzabile. Senza poi parlare di quelli che sono i risparmi delle risorse che sono molto forti. Devo dire che avendoti ascoltato adesso hai distrutto quasi tutte le domande che avevo e tutti di preconcetti che avevo sul vertical farming e voglio assolutamente assaggiare la vostra insalata. La mia domanda è però quando la vendi al supermercato non hai spazio per raccontare tutta la storia, è solo la scatola, non so cosa ci scrivete sopra. Come fate a fare marketing e a convincere i consumatori a mangiare la vostra insalata e tutte le cose che fate? Mah soprattutto c'è una parte fondamentale, nel senso che non dobbiamo danneggiare l'agricoltura tradizionale. Il vertical farm non si va a sostituire all'agricoltura tradizionale, ma a me invece piace raccontare che il vertical farm sta al settore d'agriculture, come la Formula Uno sta al settore dell'automotive. Non è negativo, anzi, le tecnologie, i dati che noi acquisiamo troveranno campo in un supporto all'agricoltura tradizionale. Quindi, fai conto che l'acquisto di un pack d’insalata è un acquisto impulsivo che di solito dura un secondo e mezzo, quindi cercare di raccontare quello che c'è da raccontare in un secondo e mezzo è praticamente impossibile. Quando abbiamo lavorato con un'identità visiva di brand siamo i primi al mondo ad aver utilizzato un pack in carta facilmente identificabile all'interno di uno scenario, che sono tutti uguali. Ti confermo che li avevo notati prima di conoscere la tua storia, ti confermo che sugli scaffali siete ben diversi dagli altri e conoscevo il brand grazie alla vostra diversità di identità. Poi mettere un po’ di informazioni… devi stare attentissimo che non vada a ledere quello che è l'agricoltura tradizionale, quindi è stato abbastanza challenging, la parte più difficile è una. Il nostro prodotto è considerato premium a livello economico, io ti dico che è vero in parte, nel senso che il mio chilo di prodotto non è analogo al chilo di un'insalata lavata, perché tu quando compri un peck di insaata lavata tu compri acqua e foglie. L'acqua ha un peso specifico maggiore della foglia quindi quando compri il nostro prodotto è un prodotto che non ha mai preso acqua sulla foglia ha preso solo acqua da apparato radicale, non abbiamo utilizzato l'acqua per lavarlo e quindi è un prodotto completamente diverso. Primo fra tutti il fatto che il mio prodotto a questo punto non marcisce, bensì appassisce, quindi un prodotto che anche fuori dalla short life è sempre stabile e comunque non ti fa male. E poi a quel punto lì hai un problema di peso di euro chilo, nel senso che il mio prodotto che ha 80 grammi ti dico e son dentro tra i 140 e i 150 grammi, se fosse un prodotto lavato quindi il mio prodotto in realtà è percepito come premium ma non lo è e quindi insomma è quella è la parte più difficile che dovremmo cercare di comunicare, ma sempre ricordandoti che non devi fare un danno all'agricoltura tradizionale ma preservarla tantissimo, quello è un po’ tosto. Abbiamo parlato un pochino prima nella conversazione di quest'idea di fundraising, di come avete convinto gli investitori, però è importante anche dare i numeri. A inizio 2022 avete chiuso il vostro round di finanziamento a 40 milioni di euro con investitori come Renzo Rosso di Diesel, il fondo di Loro Piana, ed è stato uno dei più grandi round A in Europa. Quindi abbiamo parlato un po’ anche delle critiche che avete ricevuto e ci hai parlato un po’ della tua convinzione, di come hai convinto tutto. Com'è andato questo round e cosa piace del progetto a questo punto della vostra vita di startup? Quello che piace del progetto è che noi abbiamo avuto molto rispetto del capitale, se tu per confronto tra planet farm e altri player principalmente statunitensi, noi siamo arrivati ad essere come loro, un po’ più avanti, un po’ più indietro, con almeno uno zero in meno di capitale investito, quindi ci siamo presi molto cura. Avevamo un modello studiato in modo maniacale, nel senso che avevamo un prodotto, avevamo già lo stabilimento, abbiamo prospettive e forse rispetto ad altri noi vediamo il vertical farming un po’ con un occhio diverso, nel senso noi siamo partiti con le insalate ma Planet farm non finisce con le insalate, nel senso che abbiamo applicato la tecnologia con il prodotto più sensibile, più delicato, più vulnerabile, in modo tale da farci le spalle, per acquisire esperienza per poter sviluppare sensori, per essere molto reattivi e per poi applicare la stessa tecnologia su culture e su varie supplay chain. Cos'è la cosa più bella di Planet farms e qual è la sua missione? Per me le cose belle di Planet Farm sono le persone. Se vuoi ad oggi la cosa più bella è il capitale umano. Abbiamo fatto settimana scorsa un team building, purtroppo non eravamo tutti eravamo 70 e passa e c'è gente da tutto il mondo abbiamo gente veramente da ogni Paese ed è bello vedere come le persone da noi sanno quello che stiamo facendo. La parte bella del nostro lavoro è che se facciamo bene quello che stiamo facendo, è quanto di più concreto e tangibile possibile. Matchiamo la maggior parte del sostengable gold dell'agenda 2030, stiamo consegnando un prodotto che non solo fa bene, che è buono, ma che fa bene e che ha impatto ambientale, quindi è un cambio nella storia, è la prima rivoluzione reale in agricoltura che prima non c’è stata, mentre nell'industria c'è stata, quindi consapevolezza che oggi rappresentiamo un modello di autosostentamento per quelli che sono i problemi reali, secondo me sono importanti perché ormai negli anni a venire i problemi saranno le grossi migrazioni guidate purtroppo dalla scarsità di cibo, da un fenomeno da desertificazione che ad oggi sta creando grossi problemi e andare a ridurre quello che è un carbon foot print a consegna dei prodotti che non ha più senso, quindi è bello quello che facciamo, ci supportiamo a vicenda, abbiamo il capitale umano più strano del mondo e la cosa bella è che funziona, quella è stata la cosa più bella, il mio riscatto su Daniele che venendo dal mondo anglosassone, all’inizio quando stavamo sognando la costruzione del team, lui vedeva solo persone che venivano da mega multinazionali, dicevo “no guarda che in Italia abbiamo dei talenti pazzeschi inespressi e vedrai che ti ricrederai”. Si è ricreduto tantissimo, abbiamo veramente dei cervelli incredibili, ma se tu li vedi dici ma com'è possibile che siano tutti insieme e performa benissimo e sono veramente con una grinta pazzesca e quindi quella è la parte più bella, se vuoi e io riesco a stimolare un po’ tutti, nel senso che anche quando ci sono i momenti di difficoltà io difficilmente mi lascio intimorire, anzi se vuoi io dove performo meglio è quando c'è il panico di tutti, quando c'è il panico generale ecco, Luca lì performa bene. Quello che ho sognato ad oggi è stato realizzato meglio di come l'ho sognato e ti assicuro che sono già abbastanza fobico, molto ligio quindi c'era già l’avevo sognato in grande, devo dire che le persone con cui lavoro l'hanno resa ancora più bella, quindi quella parte se vuoi che mi piace tanto del nostro lavoro, le persone. Che bello sentirti dire questa cosa. E secondo te, questo tuo lato in cui dici che gestisci meglio di tutti quando le cose quando diciamo c'è il panico, viene dal fatto che sei riuscito a sopravvivere a una diagnosi che era terribile e quindi ti ha fatto credere che in realtà tutto si può risolvere, o eri già così prima? No no, non lo ero prima è sicuramente quell'esperienza che non mi spaventa, cioè alla fine sai, le situazioni di difficoltà ci sono sempre, o reagisci o le subisci. Cioè, non c'è modo di scappare, quindi nel momento in cui capisci che in una situazione di panico l'unica cosa che puoi fare è rimboccarti le maniche e respirare e poi agire e non agire in modo reattivo e impulsivo senza respirare. Così ci si fa del male. Mentre, come giustamente dice Daniele, quando tu pensi, non so se si può dire, un cazzo importante, qualcuno nel mondo l'ha già risolto, quindi piuttosto che star lì a focalizzarti su come risolvere. Una roba, anche alzare lo sguardo, perché molte volte quando si è nel panico le persone hanno la tendenza a rimanere basso di sguardo, quando si è basso di sguardi non ricevi le influenze, le positività e non stai guardando quello che c'è intorno. Ecco, su quello secondo me bisogna farne tesoro e proprio nei momenti di difficoltà in cui ci si rafforza e io lì effettivamente dopo avere anche subito quello che ho subito mi spaventano un po’ meno. No certo, infatti questa è la grande forza che può uscire fuori da questi bruttissimi momenti che ti fa vedere poi le cose in maniera molto diversa. E invece la tua missione a livello personale qual è? Mah, la missione a livello personale è portare avanti quello che stiamo facendo elevarlo e rispettare il lavoro di tutti, nel senso di consolidare quello fatto, di poterlo rendere più accessibile. La mia missione è di poter fare tra qualche anno vertical farm per chiunque, anche per le persone che non possono permetterselo, perché se vuoi la parte bella è quella che la nostra tecnologia è una tecnologia che ogni anno sarà più competitiva. In base ai dati che andiamo ad acquisire lì potremmo essere sempre più competitivi tra le risposte concrete, ecco. Io non sono guidato dall'aspetto economico, sono felice e onorato che ad oggi Planet farm sia una realtà e ha fatto round come menzionava prima Camilla, ma penso che se tu conoscessi bene, se tu parlassi con le persone da noi sanno più non sono guidato da quello. Io sono guidato realmente dalla missione mia personale che è di fare qualcosa di veramente tangibile e di prendere in mano questa situazione per il futuro dei nostri figli. Guarda, un dato che a me ha lasciato veramente di sasso, quando stavo studiando un po’ le prospettive di questa tecnologie è che se tu guardi i dati anagrafici della popolazione che si aspetta nel 2050, più o meno dovremmo essere tra i 9 miliardi e mezzo e 10 più o meno, quello che si dice. Ad oggi il 70% delle risorse idriche mondiali viene utilizzato dal comparto agricolo. Questo vuol dire che nei prossimi vent'anni, perché da adesso al 2050, 25 anni, noi dovremmo andare a produrre più cibo di quanto sia mai stato prodotto negli ultimi 10.000 anni. Questo è un qualche cosa che dovrebbe far pensare perché ad oggi bisogna trovare delle soluzioni concrete, tangibili, per dare le prospettive perché sennò è un problema. Quindi bisogna guardare avanti e rimboccarsi le maniche. Hai tu invece un mantra o un motto che ti ripeti nei momenti di dubbio? Se fosse facile tutti l'avrebbero fatto. Se vuoi quando sei nei momenti di difficoltà, che non riesci a vedere niente, guarda io ce l'ho sull’iPad, c'ho stampato dietro “if it were easy, everyone would do it”. Cosa vuol dire per te successo? Successo è prospettiva, non è una roba individuale, per niente. Cioè per me proprio zero, anzi, se vuoi la parte che un po’ viene meno quando sei in un turbinio simile. Gli ultimi due anni della mia vita, della vita di Planet Farm, sono stati caratterizzati da dei riconoscimenti, dei premi incredibili, stato premiato da Mattarella, ho incontrato le massime cariche dello Stato di qualsiasi Paese, ho vinto Italian tech personal day, abbiamo un sacco di premi…bisognerebbe ogni tanto fermarsi e goderseli un attimo. Ma non goderseli con un riscontro futile, ma goderseli nel senso che quello è un traguardo, perché sennò sembra un turbinio, non è mai abbastanza. Invece ogni tanto celebrare, ma celebrare nella parte buona, nella parte forte, con le persone, rendersi conto… quello è il successo secondo me. Il successo secondo me è quando sai che quello che stai facendo va al di fuori del tuo lavoro e ha un impatto sulla società, sulle prospettive future e così via. Hai qualche altro pensiero su cosa pensi che manchi un po’ adesso al mondo dell'agricoltura, che sia in Italia o nel mondo? Io penso che l’agricoltura debba essere completamente rivista, rivalutata e tutto. Sai, ti faccio un esempio: ad oggi purtroppo un'agricoltura che riceve troppi aiuti, che portono poi molte volte le persone a non riuscire a raccogliere il prodotto, perché non riescono a vendere il prodotto a dei prezzi concreti. Secondo me deve essere ripensata, primo fra tutto d'essere ripensata che quello che ci hanno insegnato che l'ortofrutta per definizione debba costare niente, è sbagliato. L'ortofrutta ad oggi è uno degli alimenti fondamentali per la nostra dieta, per il nostro benessere, ma soprattutto per le risorse di questo pianeta. Perché ad oggi se utilizziamo il 70% delle risorse idriche per dei prodotti che molte volte neanche vengono raccolti perché il supermercato non è in grado di pagarti quel prezzo, secondo me è follia. Quindi prima fra tutti consapevolezza che il prodotto ortofrutticolo non può, non è che non deve, non può costare determinati prezzi. Quando io vedo al supermercato delle banane, degli ananas, dell'anguria, a meno di un euro al chilo, non è possibile, è sbagliato, è sbagliatissimo. Lì stiamo distruggendo il nostro pianeta, quindi bisogna ripensarlo primo a livello di mercato di sbocco, perché per permettere all’agricoltura di prendersi cura del pianeta devi dargli respiro, devi dargli margine, non puoi sfruttarla continuamente. Quindi va ripensata in quel frangente. E poi aiutare quello che è il mondo dell'agricoltura anche a ricevere determinati finanziamenti, ci sono un sacco di soldi che verranno destinati al comparto agricolo ma è molto complesso andarli a intercettare. Quindi anche lì faccio fatica io conosco società molto qualificata con un sacco di persone, immagino l’azienda agricola tipica, quindi anche lì supportarli maggiormente sì, ci sono dei capitali, ci sono dei fondi, ci sono dei bandi, ma aiutiamo le persone a poter usufruirne anche. Tutto quello che hai detto sull'agricoltura penso sia anche molto interessante, come diceva Inés, per i nostri ascoltatori, nel senso che è uno spazio a cui non si pensa ma dove c'è tantissima innovazione che può arrivare, tantissimo spazio per rinnovare, quindi anche pensare all'agricoltura quando si pensa al mondo delle startup e c'è tanta tecnologia, tante innovazioni e tanti mercati che possono cambiare, quindi come appunto di spunto per tutti penso sia importante. Sì, è il futuro, il nostro futuro, quindi anche ripensare…cioè io penso che il mondo abbia riscoperto l'agricoltura da qualche anno nel senso che fino a non più tardi di 10/8 anni fa l'agricoltura nell'immaginario collettivo era qualcosa di… ad oggi è stata riscoperta e deve anche attrarre capitale umano, nel senso bisogna rendere dei corsi più appetibili, bisogna creare dei nuovi lavori. Ad oggi, ti faccio un esempio, gli agronomi che lavorano da noi ad oggi hanno le prospettive lavorative incredibili. Un agronomo normale ha delle prospettive nulle. Anche lì, investiamo sul formare ragazzi, investiamo sul dare delle risorse. Fino ad oggi diciamo la gente che aveva delle grosse lauree oppure…le persone si sono buttate molto dove ci sono i soldi, quindi banking, adesso le startup. Nell'agricoltura purtroppo secondo me c'è ancora tantissima, ovviamente però non voglio dire che ci sono persone non intelligenti nell’agricoltura, però diciamo che non ha attratto il top talent fino adesso e quindi vedere storie come la tua, vedere che tu sei riuscito a trovare queste persone incredibili, le cose che potete fare è che c'è veramente bisogno di rivoluzionare questo settore per poter vivere su questo pianeta e dare cibo e mangiare a tutti e queste tecnologie che piano piano si stanno applicando nel settore agricolo, secondo me sarà, cioè ci deve essere una vera rivoluzione e tu stai un po’ aprendo le porte anche qui in Italia per questo, cose che magari si vedono già all'estero a farle partire qui e attrarre sempre più talenti in questo settore. Ti faccio un esempio: nel nostro team io ho come capa di ricerca una persona che era capa da ricerca del gruppo aerospaziale francese per 25 anni e ha mollato per imbarcarsi in questa avventura, abbiamo persone dal mondo corporate molto forte Anastassia, Modine, Coca-Cola, Global, la nostra digal viene da Ikea, abbiamo un gruppo fortissimo in Portogallo, una società che lavora 100% per noi, dove facciamo tutta la parte il software engineering, intelligenza artificiale, machine learning, abbiamo delle teste che fanno paura, in gambissima, bravissime. Nel mio team ingegneristico c'è gente che, c'è uno che è quello che ha disegnato gli ultimi file della Coppa America, ho altri ingegneri nautici, sulla parte hardware c'è la persona che ha ingegnerizzato e opera piattaforme tipo Youx, Pret-a-Porte, Alibaba che è sconosciuto a tutti, un genio pazzesco, incredibile. Bisogna credere in quello che facciamo, ispirarsi vicendevolmente. Ma basta anche i modelli tipici dove se non hai determinati anni allora non vai bene, cioè da noi è un settore nuovo. Io come poteva assumere le persone chiedendo 5 anni di esperienza in qualche cosa che non esisteva. Quindi noi rappresentiamo quello, che non c'è un modello che potevi studiare da nessuna parte, invece sta in piedi. E poi è più unito di tanti altri perché è molto orizzontale. Abbiamo cambiato la prospettiva da orizzontale a verticale, ma la società è abbastanza orizzontale nel senso che ci riteniamo tutti allo stesso livello, non ti reputi né il capo né il padrone. In più abbiamo fatto un qualcosa di fortemente atipico rispetto al mercato italiano, ovvero qualsiasi persona lavori per noi è socio della nostra società. Quindi abbiamo qualsiasi persona che è in stock option sull'azienda per creare consapevolezza che l'errore oramai è un errore che impatta su tutti e che le prospettive saranno guidate dalla responsabilità di ognuno di noi. Quello cambia molto e quello, quindi è una cosa molto bella, che secondo me deve essere molto utilizzata in Italia, invece viene utilizzata poco. Le persone sono la tua prima risorsa, quindi devi incentivarle, formarle, supportarle, pagarle bene e allora ti faranno la differenza, secondo me di fondamentale. Arriva la nostra ultima domanda che è sempre questa: in che modo pensi che la tua italianità ti abbia aiutato nel tuo percorso? Nel mio mondo l’italianità magari è controproducente, nel senso che fare un business capital intensive ed essere italiani, lo sai meglio di chiunque altro Camilla, non è facile. Devo dire che però in ambito food nessuno ci può dire niente, quindi il fatto che noi siamo italiani, il fatto che io venga da un gruppo di famiglia che ha più di 75 anni di storia è stato un plus. Io penso, abbiamo sempre lavorato nell'industria alimentare e vedo come in qualsiasi parte del mondo la tecnologia alimentare italiana, i prodotti di eccellenza sono italiani e su quello primato che sarà difficile toglierci. Quello che se vuoi manca un po’ in Italia e che sarebbe un Paese, è un Paese pieno di cervelli pazzeschi, di un capitale umano pazzesco, è molto dispersivo, nel senso che non ci si prende per mano e ci si aiuta e si guarda avanti. No, si è tutti gelosi “ah ma no io ce l'ho più bello del tuo”. Quello è molto limitativo, soprattutto in un settore come il nostro, l’agricoltura è enorme o ci prendiamo a braccetto o se andiamo ognuno per le proprie direzioni poi è più difficile. Quindi serve maggior consapevolezza, serve maggior lavoro di squadra, da tutti i punti di vista, proprio da tutti i punti di vista. E poi a quel punto penso che noi italiani…in pochi riescano a essere più bravi di noi, in tantissime cose. Se tu lo vedi, tutto dove ciò un fattore di gusto, un fattore di sensibilità, una creatività, una sensorialità siamo i migliori. Siamo d'accordo ed è quello che vogliamo far capire con questo podcast. Poi siamo debolissimi su tante cose eh, però adesso non bisogna essere megalomani, ma secondo me noi italiani potremmo essere molto più forti di quanto ce ne rendiamo conto. La parte sulla debolezza la tagliamo, teniamo solo le forze…no scherzo. È stato bellissimo scoprire secondo te… No ma taglia, taglia, nel senso, non volevo essere… Era una battuta, era una battuta. È stato bello scoprire la tua storia, grazie di averci raccontato anche momenti personali difficili con tantissima trasparenza e di aver sicuramente ispirato speriamo, ma siamo abbastanza sicuri, di avere ispirato tanti dei nostri ascoltatori a pensare ai loro percorsi, a magari considerare l'agricoltura come il prossimo passo per la loro avventura, quindi grazie ancora. an image into the scroll box.
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