Enrico Ferrari, Venture Builder ed Ex-Global CMO Rocket Internet

 

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Enrico impara fin da giovane a rimboccarsi le maniche. Nel 2011, rimane affascinato da Rocket Internet, il più grande incubatore e venture builder europeo. Enrico prova ad entrare in questa realtà, che lancia nuove startup in tutto il mondo, facendo tre domande per diversi progetti, ma non viene assunto.

Questo è un momento di svolta per Enrico. All’iniziale delusione, reagisce focalizzandosi sul migliorare sé stesso. Inizia quindi una scalata che, partendo da un corso trovato su Groupon, lo porterà ad accrescere le sue competenze digitali fino ad ottenere la sua grande rivincita.

Dopo aver lavorato in un’azienda tedesca sarà infatti proprio Rocket Internet a contattarlo per una nuova proposta di lavoro. A soli 26 anni Rocket non lo sceglie come CEO di una nuova startup per la spesa a domicilio in Germania e Australia. Il grocery delivery è un mercato complesso, con margini minimi, che spinge Enrico a scelte difficili, fino a quella di chiudere il business in Germania.

Per Enrico questa è una dura sconfitta che lo porta ad una crisi esistenziale.Ma da Rocket Internet sanno però che il fallimento è solo una grande palestra per migliorarsi e così chiamano Enrico a fare il Global CMO di tutta l’azienda.

Al ragazzo, di soli 28 anni, vengono affidate straordinarie responsabilità e un team di 60 persone.In questo episodio scopriamo come operava l’incredibile fucina di talenti di Rocket Internet e il suo metodo per lanciare un business in soli 90 giorni.Con Enrico riflettiamo sull’origine dell’ambizione e del desiderio di migliorarsi continuamente.

È questo spirito che gli ha dato la forza di ripartire sempre, dopo rifiuti e fallimenti, e che deve spingere ogni imprenditore che vuole raggiungere il successo.

Ascoltiamo l’inizio della sua storia.

 

Ciao Enrico, i nostri fedeli ascoltatori sanno che noi partiamo sempre un po’ dagli inizi, vogliamo capire il contesto in cui sono nate le persone, come sono cresciute, per poi essere arrivate dove sono arrivate. Quindi lo facciamo anche con te: raccontaci un po’ da dove vieni, dove sei nato, cosa faceva la sua famiglia e anche che tipo di infanzia hai avuto.

Ciao Inès, io vengo da Carpi, in provincia di Modena, è un piccolo borgo medievale di 70.000 abitanti Vengo da una famiglia di imprenditori, negli anni 80 Carpi era una città molto importante nell'industria tessile e i miei genitori, mia mamma e mio papà hanno colto l'opportunità di lanciare una piccola impresa nel campo di accessori per la moda, tutti a guardare al mio cognome pensano che abbia a che fare con le automobili ma no, purtroppo triste di deludervi, non ho nulla a che fare con…

Non sei l’erede dei Ferrari?

No, purtroppo no. La mia infanzia è stata molto molto felice ho due fratelli, uno più grande, uno più piccolo di me. Ho passato tanto tempo insieme a loro, ho avuto tantissime bellissime esperienze con loro, anche i miei genitori sono due persone che amo moltissimo e mi hanno dato tanto e mi hanno amato tanto durante gli anni. L'adolescenza invece è stata un periodo molto indaffarato perché facevo, oltre alla scuola, facevo lezioni di teatro, facevo lezione di chitarra classica al Conservatorio, chitarra elettrica in Accademia, mi davo molto da fare a imparare un sacco di cose e non avevo tantissimo libero.

Questa cosa era una cosa che era una tua passione quindi hai scelto tu o eri spinto dai tuoi genitori di fare tante attività?

Ho scelto tutto io nella mia vita, sono felice di poter dire che tutte le passioni, tutte le cose, il percorso che ho fatto sono sempre state scelte mie, i miei genitori mi hanno sempre spinto ad essere felice, a cercare di fare le scelte che mi avrebbero permesso di soddisfare le mie ambizioni, di creare il mio percorso.

Ci hai raccontato che dopo il liceo sei entrato all'università a studiare economia che però all'inizio non ti era venuta facile, c'è gente a cui gli studi vengono super facili, quindi non ci si impegnano tanto, tu invece ti sei dovuto impegnare tanto per avere buoni risultati. Dove hai trovato la motivazione di impegnarti così tanto e di non mollare?

Un po’ di cose prima di arrivare alla risposta di questa domanda. Io in realtà non ho fatto il liceo ma ho fatto un istituto tecnico commerciale dove ho imparato le prime nozioni di economia aziendale, di contabilità, quindi un po’ di cose le sapevo già quando sono arrivato all'università. Quando ho scelto di fare scuola superiore non avevo assolutamente l'idea chiara di cosa avrei fatto nella vita, quindi ho scelto un istituto tecnico commerciale che mi permetteva di riuscire ad acquisire qualche competenza che mi sarebbe stata utile nel mondo del lavoro. E nella mia famiglia nessuno ha fatto l'università, sono solamente io e adesso ha seguito le mie orme mio fratello più piccolo, ma i miei genitori non hanno mai avuto la possibilità. Io ho solamente al quarto anno preso la decisione di fare l'università e ho deciso di frequentare la Bocconi, sono stato fortunato a essere stato ammesso, i primi tre anni non sono stati così difficili, in realtà è stato molto difficile il biennio perché ho fatto deciso di fare finanza che, ai tempi, e forse ancora oggi, era il corso più competitivo è più complicato in assoluto. Il primo anno è stato molto difficile, il primo semestre sono riuscito a dare un singolo esame, nel secondo semestre ne ho dati solo due. Il secondo anno invece ho dato 11 esami in un solo anno e sono riuscito a laurearmi con la lode. La verità è che all'inizio non avevo le basi necessarie in matematica e in statistica per poter affrontare il corso, c'erano tante cose che non riuscivo a comprendere, ho dovuto lavorare durissimo per poter colmare tutte le lacune e avevo e dopo tanto sforzo e tanto lavoro ce l'ho fatta. La cosa importante per rispondere alla tua domanda è che io, dove ho trovato la motivazione… per me è sempre stato importante competere con una sola persona nella mia vita è la versione di me stesso che ero ieri, ho sempre voluto essere meglio, cercare di migliorarmi cercare di riuscire ad essere una persona migliore e quindi non avrei saputo, non sarei stato in grado di fallire senza nemmeno provarci duramente e quindi con un sacco di voglia di fare e con un sacco di Red Bull, alla fine ce l’ho fatta e sono riuscito a dare a tutti gli esami, sono molto contento di averlo fatto.

È importante sottolinearlo perché tante persone si fanno abbattere dai primi risultati negativi, magari non ci riescono, danno i primi esami dicono “va bene, è una cosa che proprio non ce l'ho, non son portato, non ce la posso fare” e quindi magari o ci mettono 7 anni a laurearsi oppure magari non si laureano, invece vedere storie, per questo che ci piace sempre partire da lì, perché vedere come hai fatto questo questo switch di mindset, ti sei impegnato, sicuramente hai dovuto sacrificare anche tanto tempo libero, tanto tempo in cui magari la gente usciva, andava a ballare discoteche e cose che si fanno a quell'età, tu magari stavi lì a studiare quindi insomma è una cosa importante da sottolineare che le persone che di solito poi fanno qualcosa di grande, hanno dovuto lavorare tanto, non c'è una scorciatoia di solito. E mentre eri all'università hai sentito parlare di Rocket Internet che è un filo comune a tante persone che abbiamo intervistato e ti è venuto questo pallino per Rocket. Perché Rocket? Cosa ti attirava da quel mondo?

Correva l'anno 2011, sono passati un po’ di anni dall'università. Io vedevo che Rocket stava spopolando nel mondo in Paesi con startup, in Paesi in Europa, sud-est asiatico, Oceania, America Latina e Africa. Ai tempi c'erano tantissimi imprenditori bravissimi nel mondo Rocket, nel network che stavano assumendo persone della mia università, quando la maggior parte di tutti i miei colleghi volevano ,fare investment banking o consulenza io invece ero attratto da quel mondo imprenditoriale, forse anche perché vengo da una famiglia di imprenditori, avevo visto fare delle cose incredibili in giro per il mondo e ho detto “voglio farne parte anche io assolutamente”.

E infatti appena hai potuto hai fatto un colloquio da Rocket ma non ti hanno preso, il tuo primo colloquio almeno. Come ti sei sentito? Su cosa ti sei focalizzato proprio per riprenderti da questo fallimento personale di non essere entrato?

Io ho fatto tre domande a Rocket: una per l'Australia, una per la Malesia, una per il quartiere generale a Berlino. Non ho avuto successo con alcuna di esse. Ho ottenuto un solo colloquio ma nemmeno quello è andato in porto. Beh, ci sono rimasto molto male, come poi ci rimangono tutti male quando ricevono un rifiuto, però poi mi sono detto “ok, fammi pensare che cos'è andato storto”. Qui avevo un background in cui non c'era alcuna esperienza imprenditoriale nella mia vita, avevo studiato finanza che non era proprio affine con imprenditorialità, o almeno non direttamente e allora c'ho riflettuto e ho detto “ok, qui devo trovare quel ponte che mi avrebbe permesso di collegare le mie competenze e allora con le competenze che mi sarebbero servite per ottenere il mio obiettivo” e allora mi sono chinato la testa e mi sono messo a lavorare di nuovo. Cosa ho fatto, ho imparato, per esempio, ad acquisire competenze in web development, ho imparato HTML, CSS, javascript e allo stesso tempo ho cercato quel lavoro che potesse essere il passo intermedio. Ho trovato questa opportunità a Berlino con un'azienda chiamata Delta Metod che faceva advertising technology, volevano costruire una tecnologia che permettesse di scalare campagne di searching marketing in larga scala per business che erano digitali. Ho detto “ok, qui posso utilizzare le mie competenze statistiche, posso dare un po’ di valore a questa azienda e ricavare quel valore che mi permette di entrare nel mondo imprenditoriale digitale, perfetto” era un fit ed è stata in effetti l'esperienza che ha cambiato un po’ la mia vita. Ho imparato tantissimo da quella esperienza.

Proprio volevo continuare su questa esperienza che hai avuto e questa tua intuizione di svilupparti delle skill che sarebbero potute piacere a Rocket, però di preciso, cosa hai imparato in questa prima azienda?

Ho imparato tutto, posso dire. Devo tantissimo a questa azienda perché ho imparato tutte le nozioni che mi sarebbero servite in futuro nel mondo digital marketing o almeno la maggior parte di quelle fondamentali. Di giorno servivo clienti che investivano milioni, o anche miliardi, in campagne di marketing digitale e di notte imparavo a sviluppare algoritmi di automazione in Python. Il mio profilo di technical marketer stava diventando veramente importante e utile nel mondo del lavoro e quello mi ha permesso poi di raggiungere tutto.

E tutte queste, quando hai detto prima che hai imparato javascript, CSS tutte queste nozioni di web development, dove le hai imparate? Ti sei messo su YouTube? Hai fatto un corso, queste skills che hai imparato magari già ormai 10 anni fa, sono comunque super attuali e servono a tante persone, però non ci sono università che insegnano queste cose.

No, infatti hai ragione. Ai tempi, una storia che anche fa ridere in realtà, avevo preso un corso su Groupon, non sapevo niente, non sapevo nemmeno dove trovarlo, avevo trovato questo corso su Groupon, avevo fatto quello. Poi ho continuato a svilupparle con Corsera, Academy e anche Youdacity, sono stati quelli un po’ i corsi. Ne ho fatti tanti su machine learning, su tante diverse competenze e mi ha aiutato tanto perché proprio a colmare quel gap che avevo ai tempi e per poi ottenere le posizioni che avrei voluto.

In generale, quando le cose nella vita non vanno come previsto, come avresti sperato, secondo te come bisogna reagire?

Facendosi tante domande, pensando esattamente a cosa è andato storto e perché e poi pensare a un piano di correzione, che cosa devo fare per poter fare meglio la prossima volta. È una domanda fondamentale da porsi  ed è quello che ai tempi ho fatto anche io e non bisogna prenderla sul personale perché è facile dirlo ma non è facile, parlo perché sicuramente ai tempi quando ho ricevuto la mia moltitudine di rifiuti, e non solo quelle tre domande che ho fatto, ma molte di più, l'avevo presa sul personale, ho detto “ma questi non capiscono che in realtà ho tanto potenziale”. La verità è che non sono stato bravo a comunicarlo io, le uniche cose che si possono veramente sono actionable, azionabili, forse in italiano si dice così, sono quelle cose sulle quali tu puoi lavorare, se uno dà sempre colpa a fattori esterni non c'è la possibilità di migliorarsi.

Assolutamente e infatti come prova che avevi scelto la strada giusta, è stata poi Rocket a chiamarti, una bella rivincita quindi. Qual è stato il tuo primo lavoro all'interno di Rocket e come ti sei sentito quando ti hanno chiamato e che la tua strategia aveva funzionato?

Verissimo, bravissima, è stata una bella rivincita e ai tempi mi hanno chiamato loro, mi hanno approcciato loro. Come dicevo, le competenze che avevo acquisito adesso erano diventate molto importanti per il mercato, soprattutto per quello che stavano facendo loro e così arriva la prima proposta. Ho detto “wow, ci vado, finalmente riesco a entrare in questo network”. Beh, mi sono sentito molto felice e orgoglioso e avevo capito che stavo facendo qualcosa di giusto. Il primo lavoro che ho fatto a Rocket è stato come edof performance marketing per una società di annunci immobiliari e auto, i mercati emergenti. L'obiettivo con quella società era quello di espandere in 15 nuovi mercati emergenti in paesi come Congo, Costa d'Avorio, Indonesia, Vietnam, Messico, anche Arabia Saudita ed Emirati in un solo anno. È stata un'esperienza strepitosa, avevo un team di sole 12 persone alle prese con un budget di un certo spessore, e venti marcati nello stesso momento e abbiamo automatizzato tutto: dalle campagne di programmatic display, social media, server changing marketing, perfino le newsletter.

Tra l'altro dopo questa esperienza, questo tuo primo lavoro mi sembra da Rocket ti è poi venuta un po’ quel desiderio di fare l'imprenditore. di lanciare un tuo business, non sbaglio? E per non perderti Rocket, che è una cosa che tra l'altro fa tanto, è proprio il loro modello di business, quando lo vedono un talento in azienda ti possono dare carta libera e un po’ di budget per partire e per darti la spinta iniziale per cominciare. Tu hai scelto di lanciare un business di consegne di spesa domicilio in Australia e in Germania. Come mai hai scelto quel business? Intanto cominciamo con questa domanda, poi contiamo con il resto.

 Sì, hai ragione, ai tempi avevo lasciato questa posizione di performance marketing e mi hanno detto proprio “non possiamo perderti, cosa dobbiamo fare per mantenerti qui?”, mi hanno detto “ok”, gli ho detto “voglio fare l'imprenditore”, mi hanno detto “ok, ci sono un po’ di business che abbiamo nella pipeline, decidi tu quale vuoi fare e vai e lancia” e io perché ho scelto quello della spesa a domicilio con un network di fattoria e contratto come consuetudine, come volevasi dimostrare, ho fatto la cosa più difficile che potessi decidi di fare, perché io ho sempre voluto, era ancora tanto giovane tempi, avevo 26 anni e avevo voglia di imparare e quindi ho detto “dov'è che posso massimizzare l'opportunità anche con le cose che posso imparare? Facendo la cosa più difficile in assoluto”, mercato difficile perché era difficile servire la domanda, era difficile supply, erano difficili le operations, era difficile il marketing anche, andavi a toccare un prodotto che è fondamentale, di grande necessità per il consumatore, quindi non si può nemmeno giocare tanto sui prezzi e i margini erano complicatissimi.

Sì, tuttora stiamo vedendo anche nei ecommerce come Gorillas, le unit economics di questi business sono molto difficili, infatti crescere questo business che avevi lanciato è stato è stato difficile, come ci hai appena detto e hai anche ad un certo punto dovuto chiudere la Germania. L'hai visto come un fallimento? Quanto ti ha pesato a livello personale? Perché ovviamente ci sono cose che come persona, come imprenditore puoi aver fatto, magari di sbagliato o giusto, ma ci sono anche il fatto che magari un business non può funzionare per certe determinate cose.

Beh, è difficile vedere come fattori esterni quando ci sei dentro e per me è stata l'esperienza più difficoltosa della mia vita. Per fare un passo indietro, abbiamo lanciato un business in pochissimi mesi in Germania e poi in Australia, 25 milioni di finanziamento, obiettivi di crescita e di espansione in tempi brevissimi, anche durissimi, la domanda per il servizio non mancava e di poco tempo abbiamo raggiunto grandi risultati in termini di fatturato, poi margini come ben sai, non erano sufficienti a coprire i corti e bruciavamo tantissimo capitale. L'unico modo di rendere il modello sostenibile era quello di avere una partnership con un grande retail, eravamo così vicini dal pilot di un grande retail e poi due settimane prima si sono tirati indietro e lì arriva la decisione di dover chiudere un mercato per poter sopravvivere. O chiudevamo il mercato e saremmo sopravvissuti o avremmo chiuso tutto il business e allora lì il fondatore deve prendere delle decisioni difficili. Per me non è stato solo un fallimento, è stata una grandissima crisi esistenziale, io c'ho sofferto veramente tantissimo, una delle cose che mi ha fatto più soffrire in assoluto e questo. Pensa al fatto che quando il talento va lavorare in una grande azienda come Amazon e Google decidono di lavorare da Amazon e Google per il brand Amazon e Google, quando uno decide di lavorare per una startup lo fa perché credono in te come fondatore, quando non c'è ancora nulla, quando non c'è ancora un brand forte, quando non sei ancora nessuno. Quando fallisci, tu fallisci le aspettative di tutta questa gente che ha creduto in te, quella è la parte veramente difficile ed è quello stato il vero colpo duro. Gli investitori dietro di noi ci hanno detto “hey, non è colpa vostra, voi avete fatto tutto quello che potevate fare per farlo funzionare ma questo mercato è veramente difficile” però ai tempi, Insès, ti garantisco, io riuscivo solo a vedere il nero, solo a vedere i lati negativi di questa cosa.

Certo, poi ti metti in questione, pensi di aver fatto tu qualcosa magari sbagliato, come dicevi tu, quando la gente viene poi per te, perché magari sapeva che eri un po’ una star da Rocket, hai anche delle aspettative e una pressione personale, quindi posso immaginare sia stato veramente un brutto, cioè io non l'ho vissuto, però comunque un brutto momento. Però dai brutti momenti si impara anche tantissimo di solito e infatti se guardiamo il lato positivo di questi fallimenti diciamo, poi tante persone di successo sono passati da questi momenti molto difficili, anzi ti rendono anche più resiliente, più forte per dopo. Quali sono per te le lezioni più importanti che hai imparato in questa prima startup?

Sono tante cose che ho imparato, ad esempio ho imparato il fatto che lanciare, far cresce un business richiede un impegno di 24 ore su 24, 7 giorni su 7, non è di certo un gioco, ci vuole veramente tanto impegno e tantissima energia. Ho imparato anche tante altre cose come il fatto che il marketing è un buon amplificatore per qualità di un prodotto: se il prodotto è buono e c'è però dal market fit, il buon marketing è un fondamentale driver di crescita, in casi invece in cui non c'è un corde marketing non esiste strategie di marketing che ti risolve i problemi del prodotto, non c'è modo di scalare così. Poi ho anche imparato come founder è facile scalare quanto alla velocità del business, bisogna creare un'organizzazione intorno a te che ti permetta di riuscire a arrivare, a costruire processi e a costruire un business sostenibile. Non puoi tu da founder essere coinvolto in ogni singola cosa, anche se vorresti, è anche importante secondo me avere passione ed affinità per il problema che si sta cercando di risolvere, market fit è una cosa molto molto importante di cui forse non si parla abbastanza, per il mio buisness specifico è stato anche gestire la liquidità di cassa con un'altra competenza fondamentale, quella di gestire il crash, è una cosa di cui non si parla abbastanza ma è fondamentale per un fondatore. Se si rimanda al futuro la questione delle unit economics, della finanza, poi se ne paga il duro prezzo, bisogna farlo subito. Poi ho anche imparato che puoi essere bravo quanto vuoi come founder, ma se ti trovi in un mercato difficile raramente riesci a raggiungere il successo, però tante volte succede il contrario e infine penso se dovrò lanciare un altro business non sarà un business con margini così bassi.

Eh sì, è durissima, infatti hai tutte cose molto importanti dal founder market fit, come dicevi, ti prende tutta la vita 24 ore su 24, quindi devi essere abbastanza appassionato di quello che fai sennò molli. C'è chi molla prima anche che le cose si facciano veramente dure e molte persone magari seguono certe volte magari i soldi oppure dei settori che stanno esplodendo ma non sono veramente cose che gli interessano ed è dura, è durissima, tenere quando non hai questa forte passione o anche missione, obiettivo, qualcosa che voglio impattare. Però comunque chiaramente Rocket non ti ha percepito come un fallimento perché poi ti ha anche offerto a soli 28 anni un ruolo da CMO cheaf marketing officer, cosa vuol dire essere CMO di un'azienda come Rocket e com'era un po’ la tua settimana tipo? Su cosa lavoravi? Cosa facevi?

A mia grande sorpresa anche… c'era una parte che è anche interessante da raccontare, che era il fatto che finita quell'esperienza da founder mi avevano proposto di fare il founder fintech subito dopo a Londra. Io ai tempi ero in Australia, a Sydney, mi hanno detto “ok, abbiamo un altro business per te, non ti preoccupare, non è colpa tua!”, io gli ho detto “ma siete matti? Io non ce la faccio, dopo questa esperienza ho bisogno di recuperare” e allora dopo qualche tempo sono venuti lì con l'idea “ok, perché non viene a fare il CMO di tutto il gruppo?” era un treno quello che non avrei che potuto ritrovare mai più nella mia vita, ho deciso di farlo. Fare il CMO di Rocket penso che sia stata la più grande opportunità lavorativa di tutta la mia vita, come CMO di Rocket avevo un team di 60 persone di 39 diverse nazionalità e tra le più brillanti che io abbia mai conosciuto nel campo del digital marketing, intelligenza artificiale, tecnologia di advertising, eccetera… incredibile. Noi facevamo tante cose, la nostra missione era un po’ quella di essere il centro di eccellenza per tutto il portafoglio di 200 e passa aziende che avevamo, che poi sarebbero diventate più di 300 con anche gli investimenti in tutto il mondo. Costruivamo tecnologia di advertising technology per poter scalare marketing in tutti i Paesi, costruivamo ed eseguivamo una strategia di go to market per tutte le nuove aziende che incubavamo all'interno di Rocket e supportavano anche operativamente tutte le aziende di cui avevano bisogno, che poteva essere anche le grandi aziende come Zalando, Delivery Hero, tantissimi membri del mio team lavoravano praticamente quasi full time a queste aziende più grandi.

Poi la cosa incredibile è le responsabilità che ti danno a dei ragazzi così giovani perché penso non ci sia quasi altra azienda al mondo dove a 28 anni puoi diventare CMO del gruppo, dove a 26 ti danno 25 milioni per andare ad aprire un'azienda, quindi incredibile, tanta pressione immagino, però veramente bellissimo vedere un'azienda che dà così tante opportunità ai giovani. E invece, l’hai accennato un pochino prima, però il Rocket ai tempi soprattutto quando erano quei business di cui parlavi prima, aveva questo suo modello di blueprint che applicava a tante aziende in 90 giorni. Ovviamente immagino sia segreto quindi non ci puoi svelare i segreti di Rocket, però ci puoi raccontare un po’ di più di questo Blue print, raccontare un po’ di più come funzionava e come funzionava Rocket a quei tempi e quindi e se adesso diresti che questo modo di fare non si può più applicare forse?

Allora, il nostro blueprinter era bellissimo, avevamo studiato come costruire e lanciare un business in 90 giorni con tutte le funzioni integrate, dalla finanza, dal developments, al marketing, al prodotto con esattamente il tempo esatto per poter fare ognuna di queste attività. È molto bello perché avevamo alla Rocket Tower, ad esempio, su, al ventesimo piano, avevamo questo blueprint su uno dei muri dell'edificio proprio, e ogni startup che incubavamo poteva vedere e studiare questo modello e c'era tutto dentro, c'era dal web, dal frontend, dal backend, dalla payment infrastructure, dalle cose che devono essere fatte per essere ceo, fatte per i canali digital marketing, quando stabilire l'azienda dal punto di vista legale, quando espandere… molto bello. Ed è una cosa che funzionava specialmente nei periodi in cui erano molto comuni, avevano molte cose in comune start up che stavamo lanciando, ad esempio molte erano nel mondo ecommerce. Tant'è vero che ai tempi Zalando, Westwing, tanti altri business avevano lo stesso backend, l’avevamo costruito noi e tutti utilizzavano la stessa tecnologia. Al giorno d'oggi sarebbe impensabile.

Certo, è cambiato già tantissimo e son passati neanche tanto tempo, è questa la cosa folle. In questa tua esperienza da Rocket come CMO del gruppo, quindi dove vedevi veramente tutti e tutte le startup, ne hai viste sicuramente tante andare benissimo come tante anche andar male. C'è qualcosa che secondo te differenzia i founder di successo?

Mi piacerebbe tantissimo darti una risposta positiva e dirti “ok, questi sono gli ingredienti fondamentali che permettono a un founder di avere successo sul mercato”. La verità è che non esiste una formula specifica, sai che un progetto che avevamo a un certo punto qui mio team di intelligenza artificiale era quello di provare a costruire un algoritmo che ci permetteva di prevedere quali sarebbero state le start up in cui avremmo dovuto investire sulla base del background del founder. Non abbiamo avuto tanto successo con quell'algoritmo, però una cosa che ho visto che è fondamentale nei founder di successo e che tanti hanno in comune ed è proprio quello che dicevamo prima il founder market fit. Spesso i founder di successo risolvono un problema che hanno o avuto loro stessi o che hanno visto da vicino o per il quale hanno talmente tanta passione da riuscire ad arrivare a un livello di dettagli e peculiarità del mercato che nessun altro riesce a vedere. Quelli sono di solito i fondatori sui quali voglio investire.

Poi no, è bello questa cosa che in realtà non c'è un segreto e non c'è un background, perché se no chi non ha fatto magari le top business school, che non è andato a lavorare nelle più grandi aziende, magari si sente di scoraggiato. La realtà è che, lo diciamo anche col nostro podcast e anche ascoltando altri podcast, i percorsi sono tutti molto diversi, come dici tu. Il founder market fit magari aggiungere anche la determinazione e la grinta di non mollare, alcune cose caratteriali, però in realtà come background di studi o di percorso sono tutti diversi. Poi ci vuole anche un pizzico di fortuna, infatti Guy Raz che è uno dei nostri podcaster preferiti chiede sempre la stessa domanda finale durante i suoi episodi ed è: “quanto del tuo successo è dovuto alla fortuna e quanto al duro lavoro” e sono sorpresa in realtà da quanti imprenditori dicono che tanto del loro successo è dovuto alla fortuna. Fortuna di lanciare al momento giusto, fortuna di cose che sono successe nella loro vita. Ovviamente il duro lavoro è la cosa più importante, però ci sono anche le persone che lanciano una cosa troppo presto in un mercato che non è pronto e tante cose che magari non possono gestire.

Hai completamente ragione, quello è veramente fondamentale ed è proprio quello che cerco di catturare con i founder market fit alla fine, sono tante esperienze circostanziali che ti permettono di arrivare ad avere la soluzione a quel problema che nessun altro vede in quel momento sul mercato, è quello che fa la vera differenza. Un po’ di quello e anche la fortuna di trovarti nel posto giusto nel momento giusto e quindi hai completamente ragione.

E invece tornando al tuo percorso, hai poi lasciato Rocket e sei andato a Harvard Business School che molti chiamano anche HBS. Come mai sei andato lì? Come mai hai deciso di fare un NBA? Comunque avevi già tantissima esperienza, un background molto solido, avresti potuto direttamente trovare qualcos'altro. Qual è stato il tuo il suo ragionamento?

Beh, innanzitutto non penso che esista un'età limite o una seniority limited oltre la quale non è più necessario imparare, tutti hanno tanto da imparare, in qualsiasi momento della loro vita e ci sono diverse chiavi di lettura, diverse profondità delle cose che si possono imparare, quindi io posso dire di avere imparato tantissimo, Il motivo è stato quello che tutto per me è successo molto molto in fretta, se ci pensi a quattro anni dalla mia dalla mia laurea specialistica ero CMO più grande incubatore di Europa, è stato difficile veramente pensare e riuscire a riflettere su tutto quello che è successo in quegli anni. Avevo bisogno anche di un momento anche per riflettere se quel percorso che avevo preso nella mia vita, quella strada che aveva imboccato, era quella giusta per me. Una cosa di cui non abbiamo parlato e che anche nel frattempo quando da CMO di Rocket ho passato un periodo come Inter in chief officer di Hello Fresh negli Stati Uniti, ed è stato un periodo molto intenso in cui abbiamo trasformato Hello Fresh nella delivery company più grande del mondo. È stato un grande successo tra le cose che ho fatto, quindi forse quell'ora il momento giusto per potersi prendere una pausa. L’NBA ad Harvard è un sogno, qualche anno fa non mi sarei neanche mai potuto immaginare che avrei potuto raggiungere nella vita. Ora, in quel momento avevo una storia da raccontare e anche potevo permettermelo finanziariamente, che una cosa importante. O lo faccio in quel momento o non l'avrei mai più fatto. Io penso di essere stato sempre ambizioso nella vita, però la mia ambizione è sempre cresciuta con me ed è cresciuta con la consapevolezza di quello che avrei potuto fare, di quello che la vita mi avrebbe potuto offrire, sulla base di quello che stavo facendo e quindi magari non avrei sognato… sognavo magari Harvard, ma non era così vicino a me. Tanti anni prima quando, venendo da una famiglia in cui nessuno aveva studiato e venendo da una piccola città, non sapevo nemmeno cosa fosse la Bocconi e quindi è stato bello in questo percorso riuscire piano piano ad aprire la mia mente a tutte le opportunità che questo mondo avrebbe potuto offrire, sono tantissimo felice di averlo fatto.

Infatti proprio per il fatto che i tuoi magari, sei stato il primo della famiglia ad andare all’università e poi sei andato a fare un NBA ad Harvard, è bellissimo vedere a quello che sei arrivato. E dopo l’NBA hai deciso di fare qualcosa che in pochi fanno, in realtà, perché di solito vanno i consulenti, magari cambiano strada. Tu invece sei entrato lì con un background molto digitale, molto startup e invece sei andato in consulenza, sei andato a lavorare da MCkinsey. Cosa è cambiato nella tua testa? Come mai hai voluto fare questa esperienza in consulenza?

Ho sempre fatto le cose al contrario, per esempio ho studiato prima chitarra elettrica del conservatorio, poi sono andato a finire in conservatorio. Qua ho lanciato con business e poi sono andato a finire in consulenza, forse è un'abitudine. A parte gli scherzi, conoscevo il mio percorso, come dicevo, tutto è successo molto in fretta, sapevo quello che avevo fatto negli ultimi anni, ma non potevo sapere com'è la mia vita sarebbe stata se avessi fatto un percorso un po’ più tradizionale, quindi ho detto “sperimentiamo”. Non è mai finito il tempo di sperimentare con sé stessi, vediamo come funziona il mondo della consulenza, magari andare in un ambiente in cui c'è molta più struttura, molto più focus sui processi mi aiuta a complementare invece l'intuito che si ha molto nel mondo delle startup e dell'imprenditoria. Sono felice di averlo fatto è stata un'ottima esperienza, ma il mio cuore rimane imprenditoriale, quindi ritornerò sui passi la mia carriera tech. Sono ancora coinvolto nella consulenza come senior advisor, sono molto felice, ho un portfolio di clienti molto interessanti, diversi business digitali, però poi spero prima o poi di ritornare a fare l'imprenditore.

Infatti adesso su cosa ti stai concentrando? Diciamo che mi sembra tu abbia già vissuto mille vite e avrai sui 30…immagino siamo più o meno della stessa età. Cosa cerchi nella tua prossima avventura?

 Un’avventura! Beh, io ho fatto l’imprenditore, ho fatto il consulente, ho fatto l'investitore, ho fatto un po’ di cose. Da una parte sono felice di aver fatto tutte queste esperienze, dall'altra parte, quella miriade di porte che hai all'inizio, una volta che hai fatto tutte queste esperienze un po’ se ne chiudono perché hai meno interesse. È più difficile per me trovare qualcosa che mi stimoli, che mi venga voglia di fare e non sono più naiv nemmeno come editore, appena penso a un'idea di business immediatamente penso a tutte le problematiche, tutti i problemi e tutti i motivi per cui quel business non avrà successo. Quindi molto più difficile sceglierne uno, spero tanto di trovare quel problema che mi appassioni veramente per poter tornare a fare l'imprenditore, questo è quello che spero, non escludo nulla, sono molto aperto a quello che può arrivare in futuro, a tutte le opportunità, per esempio presto annuncerò una posizione come charman in una start up che si occupa di rendere l'energia pulita più accessibile, è un tema che mi interessa molto, nello stesso tempo sono advisor di diverse startup in giro per il mondo…

No, direi di no, sei sempre molto molto busy e nella tua vita, da tutto questo tuo percorso fin dall'università, magari anche dalla scuola, hai lavorato veramente durissimo magari nell'ambiente sei riuscito a prendere un pochino più di momento per te stesso. Secondo te questo livello di dedizione, di lavoro è l'unico modo per farcela?

La risposta è che in realtà lavorare duro per me è una condizione necessaria ma non sufficiente purtroppo. Fondamentale lavorare duro ma non è abbastanza, ci sono tantissime cose che sono molto importanti che secondo me le hai dette prima anche tu, sono la determinazione, l'ambizione, la capacità di rischiare, quella di fallire, anche l'intuito e l'imprenditorialità. Per me è una combinazione di tutti questi fattori che ti permette di avere successo, però lavorare duro, io non ho mai creduto e non penso mai crederò nelle scorciatoie, per me è una condizione veramente necessaria.

E se guardi indietro un po’ il tuo percorso, hai dei rimpianti di cose che magari non hai fatto oppure di una spensieratezza o sei contento della la strada che hai fatto? Avresti magari cambiato qualcosa o ti senti soddisfatto di dove sei? Domanda un po’ esistenziale, scusa.

Molto bella come domanda. Beh, io sono molto molto contento di quello che ho fatto e mi sono posto questa domanda che mi chiedi tu un sacco di volte. Forse la spensieratezza è una cosa che mi è mancata, tantissimi anni della mia vita, però mi rendo conto che anche le volte in cui ci ho provato a vivere una vita un pochino più spensierata, tornavo sempre sui miei passi, trovavo sempre il comfort nel dedicarmi completamente agli obiettivi che avevo e non penso avrei potuto condurre la vita diversamente da come l'ho vissuta. Non lo so, non posso chiamarlo regret.

È la tua natura. Infatti spesso chiediamo da dove viene l'ambizione dei nostri diciamo ospiti, cioè chi ci ha parlato di del ruolo dei genitori che magari non hanno mai detto bravo al loro figlio, quindi questa voglia di provare qualcosa ai genitori. Però tu quando però la tua infanzia l'hai descritta come un'infanzia molto bella, serena genitori che ti hanno fatto sempre fare quello che volevi fare tu e che molto della tua determinazione veniva proprio da provare a te stesso di migliorare, quindi diresti che viene proprio da lì la motivazione, quello che tu vuoi raggiungere nella vita viene soltanto da qualcosa che è dentro di te, qualcosa che vuoi provare a qualcuno, non lo so ho, aver successo. Da dove viene questa tua grinta e questa voglia personale?

È una bellissima domanda e penso che venga tutto da un continuo, incessante una sensazione di non essere adeguato per se stesso. Forse una risposta diversa da quella che ti hanno dato altri ospiti al podcast, ma quando penso alla mia vita penso che la persona per la quale è più difficile soddisfare le aspettative è me stesso. Le mie aspettative sono sempre quelle che spesso fallisco di soddisfare, mentre anche nel mondo del lavoro le persone che hanno lavorato con me hanno aspettative molto più basse nei miei confronti di quanto quella che mi pongo io ed è sempre stata una cosa, non so nemmeno come si dica in italiano questo senso di unrest, di non essere mai arrivato, di non aver mai fatto abbastanza che mi spinge continuamente a diventare una versione migliore di me stesso.

Abbiamo parlato anche tanto di fallimento e successo, ovviamente nei nostri occhi, quando abbiamo ascoltato la tua storia, sei una persona di grandissimo successo e tutto parte anche da fallimenti importanti che sei riuscito a superare, sei riuscito con la tua grinta e perseveranza sempre a migliorare. Cosa vuol dire secondo te fallire?

Di fallimenti nella vita ne ho avuti tanti e continuo ad avere ogni giorno. Fallire è un necessario passo nel percorso della propria crescita personale e anche professionale, se uno non fallisce vuol dire che non ci ha nemmeno provato. Fallire come dicevi tu anche prima, è una cosa che render resilienti. A forza di fallire diventi sempre più forte e più si fallisce probabilmente meno si ha paura del fallimento in sé, che è la competenza fondamentale che bisogna acquisire nel fallire. Si vive una vita con un senso di continua sperimentazione in se stessi e se non fa paura il fallimento poi si cresce. Quando si arriva a questa realizzazione io penso che il successo sia una cosa più facile da ottenere, quindi viva il fallimento e che non sia un tabù del quale non si possa parlare.

Esatto, ci vuole più questa mentalità che tante persone all'estero hanno, in tante culture il fallimento fa parte del gioco, anzi se hai fallito certi investitori sono anche più contenti di darti i soldi perché sanno che hai già sperimentato delle cose, imparato tantissimo, mentre in Italia c'è questa cosa che fallire una cosa brutta, c’è questa pesantezza intorno a questo, ma vogliamo veramente sdoganarlo, infatti chiediamo spesso queste domande sul fallimento perché è una parte naturale della vita, cioè non è che tutto è un successo costantemente quindi grazie per aver condiviso la tua esperienza. Siamo arrivati alla fine nostra intervista che chiudiamo sempre con la stessa domanda e ti vorremmo chiedere: secondo te in che modo la tua italianità ha contribuito al tuo successo?

Penso che sia una qualità fondamentale nella mia vita, penso che noi italiani abbiamo quell'ottimo bilanciamento tra creatività e capacità analitiche, sappiamo sempre risolvere i problemi in modo ingegnoso e abbiamo anche un ottimo senso dell'umorismo che qui, un Paese come la Germania è molto utile. Abbiamo tanto da dare nel mondo del lavoro e io sono felice, sono molto orgoglioso di essere italiano e sono anche molto orgoglioso di vedere che qui intorno a me ci sono italiani veramente tanto capaci, in tantissime posizioni di rilievo. Abbiamo tantissimo da dare, abbiamo competenze e capacità di affrontare problemi che sono diverse e uniche e spesso mi piace utilizzare questo esempio statistico, ad esempio tanti dei miei colleghi qui in Germania magari in media abbiamo le stesse competenze. ma la differenza lo fa lo scostamento medio dalla media, cioè noi italiani raggiungiamo dei picchi altissimi, ma anche bassissimi mentre tante altre nazionalità sai esattamente che cosa aspettarti, quindi noi siamo in grado di arrivare a soluzioni che nessun altro sarebbe stato in grado di proporre, mentre spesso in tante altre nazionalità non trovo la stessa variabilità. Non so se sia una cosa in cui ti ritrovi.

Sì sì, una grande flessione grande flessibilità. Dai, faccio una cosa che non faccio mai, ti faccio l'ultima altra domanda. Cosa ti farebbe tornare in Italia? Perché comunque adesso sei a Berlino.

Una risposta diversa che non ha nulla a che fare con in realtà la mia carriera ed è ho un bimbo di un anno, siamo due genitori italiani e la cultura italiana è una cosa che per me è fondamentale e ci tengo tanto ad avere le radici in Italia, ad essere italiano e mi piacerebbe anche poter trasmettere questa cultura a mio figlio, quindi spero un giorno di poter ritornare.Al di là delle startup, al di là di tutte le ambizioni, di tutto il resto, alla fine questo è quello che è più importante, che è la mia famiglia.

Grazie Enrico, direi che abbiamo finito e concluso questo episodio in maniera stupenda, grazie di averci raccontato il tuo percorso. Come ti dicevo, guardati con i nostri occhi, lo dovremmo fare un po’ tutti, guardarsi con gli occhi di altre persone perché hai fatto tantissime cose incredibili, tra l'altro ti ho scoperto tramite Luca Mastella che poi ci ha messo in contatto perché non abbiamo neanche parlato di questo episodio ma c'è stato un link tra voi due avete lavorato al Rocket, eri tu che avevi assunto Luca al Rocket vedendo il suo in advertisement su qualche piattaforma, quindi questa era una connection di tutto. Grazie mille Enrico!

Grazie a te Inès, alla prossima e grazie ai nostri ascoltatori.

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Da YouTuber a imprenditore, con Marcello Ascani, Content Creator e Co-Founder di Flatmates

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