Internazionalizzare un brand Italiano con Chiara Cascella, Founder e CEO di Espressoh

 

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Abbiamo avuto il piacere di tornare a intervistare Chiara Cascella, CEO e Founder di espressoh, brand di make up italiano che sta crescendo in tutto il mondo.
Chiara è stata la quarta ospite del nostro podcast e la ritroviamo oggi per discutere di come sta crescendo il progetto dopo il lancio - che come sappiamo è un percorso difficile.
Chiara ha lanciato Espressoh nel 2018 dopo aver lavorato vari anni da L’Oreal, con le idee molto chiare, con brand identity e tone of voice ben definiti che hanno permesso ad Espressoh di emergere in un mercato competitivo come quello del beauty.
Partita con un fatturato di 150 mila euro, che adesso supera il milione, sta puntando a crescere anche a livello internazionale.
Ha lanciato negli Stati Uniti e, in un solo anno, il brand è passato dal 10% di vendite all’estero al 20% solo in quel mercato.
Si sta espandendo anche nel sud est asiatico dove è già presente in Malesia, Filippine e Singapore oltre ad Australia e Nuova Zelanda.
Chiara, dalla sua sede di Pescara, sta raggiungendo questo successo globale perchè Espressoh, fin dalla nascita, aveva una visione internazionale e l’ambizione di promuovere in tutto il mondo un prodotto made the italian way.
Ascoltate la sua storia.

 

C’è sicuramente un trend su Made IT, che stiamo rinvitando un po’ i nostri ospiti, a dire il vero le nostre ospiti preferite sul podcast, perché siamo molte curiose di come stanno andando le cose e siamo veramente felici di ritrovarci, Chiara. In più, per questo episodio, visto che tu hai una forte community sui social, siamo riusciti a raccogliere qualche domanda dai tuoi followers, che ti chiederemo durante la chiacchierata, ma vorremmo ricordare a tutti che abbiamo parlato con te nel dettaglio del tuo percorso di studi, di come sei arrivata a lanciare espressoh. nella nostra prima intervista che ti abbiamo fatto, che è l’episodio numero #4 e quindi rimandiamo tutti i curiosi a quella chiacchierata e questa è un proseguimento e un’evoluzione, un racconto anche di quello che è successo negli ultimi due anni su espressoh., insomma sulla tua journey da imprenditrice. Cominciamo quindi con una domanda un po’ generale sui tuoi inizi, che viene dalla tua community, perché sicuramente è un tema molto importante per il podcast. Tu come hai superato la paura di iniziare, di non sapere se sarebbe stato un po’ un buco nell’acqua?

 Ho una risposta che non so quanto possa essere utile. Io in realtà non ho paura di nulla che riguarda il lavoro, il lavoro non è una cosa che mi fa paura. L’incertezza sul lavoro non mi fa paura, non ho paura di fallire in questo ambito. Lo metto in conto. Ovvio che, se dovesse succedere, mi dispiacerebbe e ci starei malissimo, però lo metto in conto e non mi spaventa il fallire sul lavoro. Poi ho ansia… però penso sempre “può essere che va male, pace, mi inventerò qualcos’altro”.

E questa è una cosa che secondo te l’hai sempre avuta, quindi non hai mai avuto tanta paura negli studi e nella carriera o è qualcosa che un po’ hai acquisito?

È sempre stato così, non ho mai avuto paura durante gli studi, non mi facevano paura gli esami, nulla. Non è superficiale, però…

No anzi, beata te. Perché tra l’altro uno si preoccupa…stavo leggendo una quote recentemente, una citazione che diceva che la maggior parte delle cose per cui ci preoccupiamo poi in realtà non si avvera mai. Stiamo sempre a crearci i peggiori (2.15) scenari nella nostra testa. Quindi essere una persona che magari queste cose non se le crea neanche, vivi poi più serenamente anche il tuo percorso lavorativo.

C’era anche un’altra domanda che è venuta fuori dalla tua community, sugli inizi, ed è qualcosa che secondo me tante persone che non fanno start-up o che magari ci pensano, la prima cosa a cui pensano è “con che budget parti?” Quindi volevamo chiederti a te: tu con che budget sei partita per lanciare espressoh. e come hai finanziato la crescita? È stato molto alto il budget? Anche se ci puoi dare dei numeri è sempre molto utile.

Allora, ovviamente questa è una domanda, e di conseguenza una risposta, che dipende dal mercato o dal tipo di progetto. Se si parla di prodotti, quindi di consumer goods, dipende appunto dal settore. Il beauty necessita di investimenti perché ci sono dei minimi quantitativi, ma io ho fatto la scelta di partire con pochissimi prodotti, quindi di non lanciare direttamente una gamma di prodotti. Ancora oggi per essere un brand make-up abbiamo pochi prodotti. Ho fatto la scelta di iniziare un po’ alla volta, con poche referenze. Nella moda c’è tanto di sviluppo taglie. Ovviamente dipende dal budget. Non sono un’esperta, ma so che nelle start-up tech gli investimenti sono molto più alti, quindi ovviamente tutto è abbastanza relativo, anche il mercato di riferimento. Io ho iniziato con il mercato italiano, che è un mercato relativamente piccolo e a livello di marketing necessita di investimenti più bassi rispetto a quelli degli Stati Uniti. Negli Stati Uniti è difficilissimo lanciare lo stesso brand da zero. Ovvio che secondo me si può iniziare con 5000€, fai più fatica, però il beauty è un settore in cui puoi iniziare anche con 50-100 e poi vedere come va. Ripeto, in Italia. In America no.

La crescita come l’hai finanziata? Hai messo tu un apporto iniziale per partire, ma poi sai, di solito la gente può andare dalle banche o reinveste tutti i profitti…

Abbiamo reinvestito tutto.

Quindi non avete mai fatto aumenti di capitale con VCs?

No, la crescita è stata abbastanza organica, quindi abbiamo pian piano reinvestito proporzionalmente.

Questa è stata una scelta che avete fatto voi di non andare a prendere capitali esterni?

Sì assolutamente.

Perché volevate avere tutto il controllo dell’azienda?

Sì, finché sostenibile è sempre meglio avere il controllo e non avere altre voci in capitolo.

Come osservatrici esterne, e come consumatrici, perché Camilla e io siamo grandi consumatrici del tuo brand, abbiamo visto espressoh. crescere tantissimo negli ultimi anni. Avete lanciato tanti nuovi prodotti, ingrandito il team, state girando l’Italia con dei pop-up store. Siete anche da Sephora in Australia. Avete fatto anche dei pop-up in America, quindi ci puoi raccontare alcune delle milestones più importanti che avete raggiunto e se puoi condividere anche delle milestones a livello di fatturato? Sappiamo che ci sono molte persone che sono curiose.

Uno dei milestone più importanti è stato gli Stati Uniti. È stato super difficile, però è bello vedere il brand crescere e anche lì essere chiacchierato nel suo piccolo, in una nicchia. Anche negli Stati Uniti abbiamo aperto una società americana, abbiamo una logistica americana, quindi abbiamo setuppato una società anche lì, localmente, per poter gestire un e-commerce locale, essere più veloci e servire il consumatore come facciamo in Italia. Questo è sicuramente un bel milestone. La stessa cosa vale anche per il mercato sud-est asiatico e australiano, perché siamo in Singapore, Malesia, Filippine, Australia e New Zealand. In realtà era l’obiettivo di espressoh. quello di portare il made in Italy all’estero, quindi è super bello vedere che il brand possa essere riconosciuto e possa avere un suo perché anche in altri paesi lontanissimi da noi.

Qual è lo split adesso? Prima avevi detto che siete partiti con l’Italia, però adesso riesci a darci un’idea di split del vostro fatturato in giro per il mondo?

Fino all’anno scorso l’Italia era il 90% e quel 10% era sparso tra Stati Uniti, UK e the rest of the world e credo che adesso US pesi 15-20%.

A livello di fatturato ci puoi dare qualche numero?

Siamo ancora piccoli rispetto a quello che pensano le persone, però ti dico solo che i primi anni c’è stata una crescita più grande. Siamo partiti con 150.000€ il primo anno, abbiamo quadruplicato il secondo, poi piano piano +50 e quest’anno speriamo forse un +30.

Si rallenta un pochino quando uno cresce, ovviamente, perché quadruplicare quando diventi più grande, è più difficile.

Invece un’altra cosa ovviamente importante per le start-up o per tutte le aziende è il team. Anche questa è una domanda della community: come hai cresciuto il team? E soprattutto come hai cercato le persone giuste da inserire nel team e come hai fatto a capire che erano quelle giuste o dove ti serviva una persona che non fossi tu a fare le cose?

Questa è una domanda super interessante e per me uno degli aspetti più difficili del mio lavoro adesso, perché ovviamente parti, sei da solo e fai tutto e poi piano piano hai bisogno di delegare ed è complicatissimo capire quali sono le priorità, quindi qual è la prima parte da delegare completamente, quindi cercare delle persone più o meno senior su quella posizione, quanto budget mettere a disposizione è complicato. Noi ora siamo circa una decina. Diciamo che il primo grande passo l’abbiamo fatto con la persona che ora si occupa della supply chain, quindi che è venuta a mettere ordine su tutto, dagli acquisti, allo sviluppo prodotto, fino a quando il prodotto non arriva al consumatore. Segue tutto questo processo ed è la persona più experience che abbiamo nel team, perché ha lavorato per dieci anni nella moda, poi nel beauty. È complicato perché devi cercare delle persone che abbiano esperienza, ma che comunque riescano ad adattarsi all’ambiente di una start-up, perché tutti sono dei tutto-fare, nel senso che non è super specifica la posizione. Ogni anno ci diamo degli obiettivi, cerchiamo di individuare quali sono le figure che vogliamo inserire e poi in base a come va, a come si evolve il fatturato, ci mettiamo alla ricerca. Al momento ci sono io, che mi occupo soprattutto di strategia, marketing, comunicazione. Luca, che si occupa di tutta la parte finance e che di recentissimo ha preso una persona nel suo team per la parte appunto finance and controlling. C’è Linda che si occupa di tutta la suplly chain e poi nel marketing c’è una social media manager, una project manager che si occupa a 360 gradi di tutto, poi c’è Marika che è la creativa del mio team e mi supporta dallo sviluppo prodotto alla creazione di contenuti. Quindi iniziamo a essere un po’.

Hai detto che il tuo focus è strategia e marketing, ma ti senti ancora che sai tutto di tutto e hai ancora una visione o sei arrivata a delegare e non sapere cosa fa…?

Siamo ancora pochi, quindi so ancora tutto, anche se non vorrei. Io quando decido di delegare poi “it’s your job”, mi diceva sempre la mia capa.

Sì, idealmente uno delega e poi devi solo fare un controllo finale ed è quello il posto dove devi arrivare quando hai un team ben funzionante. Idealmente quello è l’obiettivo.

Dato che siamo in ufficio tutti insieme…

Infatti parlando di ufficio, l’altra cosa interessante che abbiamo notato è che quando ci siamo parlate la prima volta avevi iniziato stando a Milano, e adesso hai trasferito espressoh. e l’ufficio a Pescara, la tua città natale. Come mai questa decisione? Ci sono dei pro, dei contro, sei felice di quello che avete…?

Ho seguito un po’ il flow, perché io vivevo a Milano e poi con il covid mi sono spostata. Sono tornata a Pescara nei mesi del covid e pensavo che avrei fatto sei mesi a Pescara e sei mesi a Milano, invece poi quei sei mesi a Milano non ci sono stati più, più per motivi personali, perché Pescara è una città più tranquilla, la qualità della vita è molto più alta, c’è il mare, soprattutto. Quindi abbiamo deciso, anche dati i costi di un affitto… abbiamo un ufficio di 200 mq che a Milano non potremmo permetterci. Una parte della produzione è sempre stata a Pescara e sarebbe comunque sempre rimasta a Pescara e quindi abbiamo deciso poi di prendere l’ufficio. Ci sono dei pro, è la mia città, quindi io sto bene, si vive bene, è molto più tranquillo, non c’è la frenesia di Milano. Se ti disabitui alla frenesia di Milano poi…il mood di Pescara è più L.A. È più difficile trovare le persone. Finora abbiamo trovato tutte persone abruzzesi che vivevano fuori e vogliono riavvicinarsi a un certo punto. Ad oggi, con il lavorare da casa, un mix tra lavorare da casa e lavorare in ufficio, secondo me è gestibile.

Immaginavo che quello fosse il challenge più grande, di trovare persone che hanno voglia di vivere a Pescara. Però ormai appunto se si può fare un po’ di remoto, uno può vivere in due città, con un piede in due posti, e quello forse è il mondo perfetto che stiamo tutti cercando di raggiungere. Anche tu viaggi molto, sono sicura che sei spesso a Milano, quindi c’è comunque bisogno di essere un po’ in giro. Abbiamo parlato un po’ del tuo ruolo e di quello che fai. Eravamo curiosi di sapere un po’ del tuo management style e di come state crescendo espressoh. Hai una strategia ben precisa che prefissi a inizio anno e che poi comunichi al team? Ci sono delle aree che secondo te sono particolarmente importanti, tipo sviluppo prodotto, marketing, distribuzione, logistica? Immagino che sia un po’ di tutto, ma hai una cosa su cui sei fissata e che deve essere perfetta da espressoh.?

Sì, io e Luca condividiamo la strategia a grandi linee in termini di obiettivi di distribuzione, di geografia, quindi le decisioni più importanti le condividiamo e in realtà facciamo anche un po’ di brainstorming con il team, di solito a fine anno. L’anno scorso l’abbiamo fatto perché è dall’anno scorso che abbiamo un team un po’ più numeroso e condividiamo con il team. In termini di sviluppo prodotto la strategia è chiara, me ne occupo principalmente io, però è già da prima di fondare espressoh. che avevo in testa la stessa strategia e riesco a seguirla. Poi purtroppo a volte si deve essere flessibili e adattarsi ai cambiamenti last minute, ma a quello sono abituata per motivi che non dipendono da noi. Anche a livello di distribuzione avevamo le idee un po’ chiare, però il mercato evolve, quindi anche lì ci si deve adattare. Però su distribuzione e sviluppo prodotto sono abbastanza fissata. Marketing anche, però viene abbastanza naturale. La brand identity c’è e le persone che lavorano con me l’hanno ben chiara e riescono poi a declinarla.

Poi ti faremo qualche domanda specifica su sviluppo prodotto e marketing perché sappiamo che tutti, anche domande dalla community, erano molto curiosi di capire più in dettaglio come funziona il tutto. Scusa se ti chiedo, Luca è tuo marito?

Luca è mio marito.

Ok, quindi hai deciso di portarlo dentro espressoh. e lavorate insieme, come sta andando?

Lui lavorava in un fondo di private equity prima, e ovviamente mi ha aiutato all’inizio sulla parte finance ed è socio dell’azienda. L’idea è che sarebbe entrato dopo un po’, quando l’azienda sarebbe già cresciuta, però è iniziata ad andare bene da subito. Lui comunque aveva intenzione di mollare il lavoro, io avrei dovuto cercare aiuto esterno e quindi poi alla fine dopo qualche mese è entrato anche lui.

Insomma il lavoro insieme…siete partiti già con questa idea? Vi trovate bene, funziona, challenges?

Funziona, funziona. La strategia la condividiamo, anche perché lui avendo lavorato tanti anni nel private equity ha visto tantissime aziende. Io ho più esperienza in quello che è il beauty, però funziona. Io non mi occupo assolutamente di tutta la parte finance e controlling, ammistrazione, però funziona. È pesante perché si parla quasi sempre di lavoro.

Esatto, è un po’difficile poi dividere le cose. Ecco, arriva la domanda sul marketing. La brand identity espressoh., tutta la vostra strategia di marketing sui social, ma anche con questi pop-up store, offline/online, affascina molto, è molto fresca, è molto cool, sicuramente molto diversa da altri brand che vediamo in Italia. Ci puoi raccontare com’è evoluta la brand identity, se è evoluta da quando è iniziato, da quando ci siamo parlate la prima volte e se hai lezioni da condividere o consigli su come fare marketing su un brand beauty o Direct to Consumer? 

La strategia marketing, brand identity di espressoh. è rimasta la stessa. Magari proprio nei primi mesi di lancio in cui arrivi sul mercato, ci sono stati dei mesi di fine tuning sull’immagine, sul tone of voice della comunicazione, però da quando ci siamo parlate noi, che era già sul mercato da un anno e mezzo, ora sono quattro anni quasi, è rimasta così e credo sia un po’ la forza del marketing di espressoh., cioè avere le idee abbastanza chiare, stick to it, quindi se una cosa non è in linea, non è in linea, via. O è in linea o lo è, è il mio mantra. Secondo me, quello che dico spesso anche a chi mi chiede consigli, è di avere le idee chiare di chi sia il consumatore e di quali sono i valori del brand, di qual sia l’immagine e portarli avanti. All’inizio è difficile perché hai tantissime proposte, tantissime persone che vogliono collaborare, si devono dire tanti no e bisogna andare avanti per la propria strada e costruire l’immagine. La coerenza secondo me è la cosa più importante. È ovvio che a volte può scappare qualcosa, sfuggire qualcosa, e non è perfetto o perfettamente coerente, però deve essere una bassissima percentuale e parlo a livello di immagini, di copy, di pop-up store, di partnership. Soprattutto all’inizio la coerenza, secondo me, è la cosa più importante per creare un brand forte.

Invece lato distribuzione siete un brand molto B2C, quindi vendete molto sull’online, però ci sono certi mercati in cui si può entrare…tipo dicevi l’Australia, l’Asia, siete entrati tramite Sephora, adesso siete anche alla Rinascente, quindi state andando anche omnicanale e in retail. Immagino che dovete fare tanti pitch ai retailer con cui volete lavorare. Certi rispondo sì, ma come tutti i brand, ci sono anche tanti no. Lo sto sperimentando io sulla mia pelle, quindi ti sto facendo questa domanda: come gestisci i no che ricevi? Perché le persone vedono solo i sì, perché solo quando uno lancia si vede, però non vedono tutte le porte in faccia e tutti i no. Come reagisci e come ti tieni motivata quando tutti ti dicono “no” quel giorno?

La nostra strategia con la distribuzione è un po’ diversa. Aspettiamo che ci chiamino loro.

Ok, beati voi, è una buona posizione in cui essere.

Tendenzialmente quello. Stiamo cercando di capire se vale la pena entrare su qualche retailer specifico in alcuni mercati. Quindi non so rispondere alla tua domanda sui no.

Non l’hai sperimentato.

Non l’ho sperimentato. Comunque il nostro focus, il nostro core, è rimanere direct to consumer, ma dopo il covid le persone vogliono comprare in negozio, tornare nei negozi, e lo stiamo sperimentando con il nostri pop-up store ed è per questo che abbiamo fatto un tour di pop-up store. Quindi stiamo rivalutando la strategia di distribuzione per il futuro. Tenere l’online, però è importante avere anche una presenza fisica. Essere solo online ci ha aiutato tantissimo durante la pandemia.

Infatti parlavo di questa cosa proprio l’altro giorno con qualcuno che diceva che tantissime tech companies, quali Stripe e tutte queste mega che stiamo vedendo, stanno facendo dei mass layoff di migliaia di persone perché, a quanto pare, mi diceva questa persona che ha il marito che lavora da Stripe, queste tech companies si erano aspettate dei numeri altissimi dopo la pandemia, che sarebbero quindi rimasti i tassi di crescita. Invece tante persone, come stai dicendo, sono tornate al fisico, che è molto interessante perché tutti prevedevamo questo spostamento completo verso l’online, verso l’e-commerce, ma invece tante persone adesso, che magari sono state chiuse in casa e fanno tutto online, preferiscono andare nel negozio, quindi è interessante vedere che sempre più brands vogliono farsi trovare anche in punti vendita fisici.

Direi che la strategia sembra spostarsi molto sull’omnicanale. Magari la discovery di persona e poi una volta che hai un prodotto che ti piace per comodità lo ordine online, però ci deve essere quella possibilità di provare, toccare, immagino soprattutto con il beauty in cui avete delle shades molto adaptable e poco range di shades che vi aiuta, però immagino che le persone vogliano comunque provare tutto.

La questione delle shades è stata pensata apposta, andando controcorrente e prendendomi insulti di qua e di là, però fa parte della purpose di espressoh. il voler semplificare il make-up, che significa anche il voler semplificare l’acquisto del make-up a chi non è esperto. Se gli metti davanti già cinque shades, va fuori di testa, non compra. E ti assicuro che in Italia vendiamo principalmente due shades e c’è già difficoltà a scegliere tra queste due.

Quindi i brands che hanno 60 fondotinta, li possono vendere solo in negozio, perché per fare il matching è folle. Una cosa che la gente non sa finché non lavora nel beauty è che o uno ha i prodotti come i vostri, che sono fatti per essere adatti per varie tonalità di pelle, però se uno va nei brand che vendono sessanta tonalità diverse, tre/quattro colori fanno praticamente l’80% del fatturato. Quando sei MAC, che fai parte di un colosso e dietro puoi permetterti di pagare anche gli emo cues e magari non vendere quelle shades e praticamente buttarle…

E poi però vengono buttate, esatto.

E poi buttarle, esatto. Invece quando sei un piccolo brand e hai i minimi ordini, sviluppare 60 shades vuol dire mettere tantissimi soldi su dei colori che magari non verranno venduti. Le persone ovviamente non lo vedono dal punto di vista di business, ma più dal punto di vista dell’inclusività, però c’è tanto dietro e tanto spreco purtroppo per offrire tutti i colori.

Secondo me chi poi prova i nostri prodotti…non è una questione di non inclusività perché comunque è ampio, magari ci sono delle shades in between, che non riescono a trovare il match perfetto, e a quel punto diciamo “te ne mandiamo due invece che una e le puoi mischiare. Te la regaliamo”. Se dovesse capitare, preferiamo fare così, però dalla più chiara alla più scura, credo che copriamo comunque… 

Assolutamente sì, anche perché usate dei pigmenti flessibili e avete proprio sviluppato qualcosa che può funzionare su varie tonalità di pelle. Invece, ci puoi dare il dietro le quinte sul product development, su cosa vi state concentrando, come ti vengono le idee per i nuovi prodotti? Te li sogni la notte, guardi ad altri brands? Come funziona questa creazione?

Diciamo che ho una sorta di roadmap di sviluppo prodotto. Ancora prima di lanciare espressoh. ce l’avevo per i primi due o tre anni. Cerco di seguire quella. La strategia è quella di avere i must have del make-up, che siano prodotti che conoscono tutti, quindi super di nicchia, che siano facili da utilizzare. Abbiamo i nostri laboratori partner, decido di fare un blush o un fondotinta con delle caratteristiche specifiche e chiedo loro di propormi delle formule con quelle caratteristiche. Poi parte una serie di test, di mesi di test, all’inizio soprattutto tra me e Marika, che è make-up artist, in cui li testiamo, chiediamo di migliorare alcuni aspetti, fino poi arrivare alla formula definitiva. Però chiedo sempre delle formule particolari che non sono state viste sul mercato. Per un fondotinta è difficile che non si sia visto, però in questo caso particolare, abbiamo richiesto un fondotinta che fosse performante, però che non si dovesse sentire assolutamente sulla pelle. Cerchiamo di lavorare in questo modo.

Ne abbiamo parlato all’inizio, che è una cosa molto interessante, che vi siete internazionalizzati, spingendo molto su Australia, Asia e, penso il più grande, gli Stati Uniti. Quali sono stati i challenges più grandi di internazionalizzare il brand e come sta andando?

Sì, Stati Uniti è il paese principale in cui stiamo investendo, in cui abbiamo iniziato a investire.  Siamo partiti abbastanza light con questo paese che è enorme. Ovviamente essendo un paese così grande, è difficilissimo, c’è tantissima competizione, è cento volte più difficile rispetto all’Italia farsi notare, però credo che l’unicità di alcuni prodotti e la qualità di altri ci abbiano aiutato tanto. Il Glassy è andato viral su Tiktok Stati Uniti e tutte le tiktoker americane di beauty degli Stati Uniti hanno comprato Glassy e hanno fatto un video su Glassy. Tanti prodotti, il correttore, il fondotinta… ovviamente aiutate da delle ragazze PR con cui lavoro da un po’ di anni, da prima di aprire la società negli Stati Uniti, abbiamo iniziato a fare tantissimo sealing. Tantissimo poi è relativo, perché rispetto ai brand americani, sei comunque molto piccolo e, autofinanziandoci, non abbiamo milioni da investire in marketing negli Stati Uniti. Quindi con il poco che facciamo, poco relativamente, perché per noi è tanto, però per quello che è il mercato, è comunque poco, abbiamo visto dei super risultati, perché il brand lo conoscono, lo conoscono le editor principali americane, lo conoscono le tiktoker, cioè è conosciuto. Abbiamo visto incremento delle vendite, però è difficilissimo, perché l’Italia, se ci pensi, è grande come la California, quindi in termini di grandezza e di risonanza è difficile. Però bisogna continuare, io sono confident che i risultati arriveranno, cioè già sono arrivati, ma continueranno ad arrivare.

Ovviamente immagino che l’attrazione dell’America è che appunto, per tutte le difficoltà, sia un mercato così grande, quindi si fanno numeri molto più alti e molto più velocemente rispetto all’Italia che è un po’ un plateau dopo una crescita iniziale. È questo il motivo principale per cui volete essere in America? Perché vi siete internazionalizzando e quanto è importante secondo te per un brand?

Sì, l’America è stata scelta perché è un mercato enorme, quindi ha tantissime potenzialità. Anche avere una quota di mercato minuscola in America equivale a fare gli stessi numeri dell’Italia, quindi decidendo di mettere l’effort, i soldi in un mercato, abbiamo deciso l’America, anche un po’ per la cultura loro. Sono super attratti dal made in Italy, dal cliché italiano. Espressoh. non è proprio il cliché italiano però è quello che un po’ fa parte della nostra identity, il made in Italy e il raccontare un po’ anche della cultura italiana. Quindi è stata scelta l’America. Io espressoh., l’ho pensato per essere portato all’estero fin da subito. Non so se ne avevamo parlato.

Sì, sì.

La comunicazione tutta in inglese dal giorno uno. In Italia questo ci penalizza, però riusciamo a vendere in America e siamo su Sephora Singapore. Preferisco andare più piano in Italia, essere un po’ più limitata in Italia, però avere la possibilità poi di crescere all’estero.

Soprattutto il beauty è interessante. Penso che il 75%, se non l’80% di tutto il beauty o make-up globale è prodotto in Italia, però di brand italiani famosi nello skin care e nel make-up, quelli grossi italiani non sono in realtà quasi mai usciti dall’Italia, quindi parliamo di Collistar, anche l’Estetista cinica, sono dei brand che secondo me, almeno da consumer, da beauty addicted, non li vedo proprio uscire dall’Italia. Non so se avrebbero una grande risonanza perché non si sono mai molto aperti. 

O lo fai subito, o farlo in corsa è complicatissimo. Quando hai un brand radicato in Italia, con una comunicazione tutta in italiano, con riferimenti marketing a ciò che succede in Italia, perché comunque quello è, ci sono alcune cose che sono relative solo all’Italia. Se la tua comunicazione si aggancia a questo tipo di eventi, è difficile andare all’estero. Espressoh. è stato pensato per raccontare quella che è l’Italia e portare il valore del made in Italy attraverso la nostra comunicazione, ma internazionalizzabile, prendendo insulti da tutti, perché siamo italiani ma non scriviamo in Italiano.

Infatti mi ricordo che ho fatto una conversazione con te, privata, in cui ti chiedevo questa cosa, perché sono dietro al tema con il nostro brand di Food che ho con mia sorella. Abbiamo proprio questo dilemma: il mercato adesso è italiano, parliamo in inglese o parliamo in italiano? Sono tutte considerazioni che devi fare creando il tuo brand e la tua immagine, pensando anche a cosa vuoi nel futuro. Invece a livello più personale, tu come imprenditrice, di cosa vai più fiera guardando alla strada che hai fatto in questi ultimi anni?

Sicuramente di essere arrivata fin qua e di aver potuto metter su un team. Non è un team enorme, però è la cosa che mi rende più feria; e di aver comunque sostenuto la crescita…tutti vanno fieri di prendere capitale esterno, noi andiamo controcorrente anche su questo.

Fate le cose diversamente e funzionano. Però in effetti se uno si prende 20 milioni, è abbastanza facile poi spendere in marketing e fare delle vendite. Un conto però poi è la profittabilità e quando non ci sono più soldi se riesci a vivere, a mantenere il tuo business. Se non prendi capitali esterni vai più lento, però è una crescita anche poi più sana e riesci più a sostenerla. Invece quali sono state le difficoltà più grandi che avete affrontato? Una tua follower ci chiede: c’è stato un momento dove magari economicamente non andava bene e hai pensato di mollare tutto?

Pensare di mollare tutto, no, soprattutto perché avevo lo stipendio delle persone. Fortunatamente, economicamente sta andando bene, però ovviamente ci sono dei momenti di up e di down. Soprattutto quest’anno siamo stati attaccati da altri brand, piccoli brand, però so che fanno parte di gruppi…non sono proprio indipendenti. Però quest’anno abbiamo, soprattutto nella prima parte dell’anno, sofferto tanto la concorrenza, perché andavano proprio a mirare le influencer con cui lavoriamo di solito, il tone of voice più o meno lo stesso, e quindi ci ha un po’ penalizzato anche a livello di vendite, anche il fatto che comunque si è spostato un po’ più sul retail fisico, quindi non avendo punti vendita nella distribuzione, o comunque pochi…però di solito non mi dispero, cerco di adattare la strategia, di mettere in piano delle strategie marketing, distribuzione. Però no, mollare tutto no, non adesso, Poi ultimamente stavo dicendo al team, se dovesse andare male, ci riconvertiamo in qualcos’altro. Siamo tutte molto flessibili.

Quello è molto importante, ovviamente, essere flessibili. Credo che questa tua attitudine a non disperarsi, non avere troppa paura del lavoro, aiuta perché uno riesce magari a prendersi un pochino in più di rischi e avere una attitudine più sana, piuttosto che farsi prendere dall’ansia. Poi ti volevamo chiedere appunto, con queste difficoltà, il percorso, le vittorie – e, aggiungo una cosa, ovviamente nel tuo percorso avevi lavorato molto da L’Oréal, quindi sapevi come si lanciava un brand, sapevi come si faceva marketing, quindi avevi, l’hai detto molte volte, un’idea molto chiara, che ti è servita come blueprint per tutta la crescita - ma ci sono delle lezione, dei momenti, delle cose che non sapevi assolutamente fare e che hai imparato in questo percorso, anche delle lezioni più filosofiche su motti dell’imprenditoria? 

Seguo molto il mio istinto, anche e soprattutto nella relazione con le persone, partner commerciali, di business. Nel 90% dei casi mi è andata bene. Anche quando non so fare delle cose, in dei campi in cui ho molta meno esperienza, posso mettere il mio occhio critico, impegnarmi, però è importante fidarsi delle persone con cui si decide di lavorare e delegare e fidarsi di queste persone. Io personalmente come mi fido di queste persone? Vado a istinto, però secondo me la relazione con gli altri e scegliere con chi lavorare, è la cosa più importante.

Stiamo facendo una piccola serie con ShippyPro, il nostro sponsor, su crescere un team e una cosa che ci diceva founder e CEO è che la cosa più importante è essere 100% convinti quando si porta una persona nel team e di avere proprio questa sensazione di good feeling, di istinto che è la persona giusta. Se c’è una parte di te che non è al 100% convinta, è molto meglio prendere il rischio di dire di no, piuttosto che dire sì e inserire una persona che poi crea, soprattutto in un team di 10 persone, delle dinamiche non positive. Non per forza non positive, ma che non ci sia un fit perfetto e immagino che è lo stesso quando scegli uno sviluppatore con cui lavorare sui prodotti o un business partner, qualsiasi persona con la quale uno lavora, deve esserci un allineamento di valori. Sempre domanda collegata: c’è un mantra che segui nella vita lavorativa?

La mia vita lavorativa è che non sto operando nessuno a cuore aperto e non c’è a rischio la vita di nessuno.

Ti calma quando uno si fa prendere da questi momenti di angoscia.

Non ho mai lavorato nel beauty se non come consulente esterna su alcune cose, ma mi sembra di capire, anche vedendo Inès crescere in questo mondo professionalmente, che è un mondo dove si prendono molto le persone sul serio, ci sono molte ansie e creano delle angosce inesistenti, nel senso che se delivery arriva domani e non oggi, non muore nessuno e si può problem solve intorno.

Ancora nessuno è morto, siamo tutti vivi. Perderemo dei soldi, però li recupereremo. Ovvio, mi girano se perdiamo dei soldi, però se non c’è soluzione, non c’è, quindi…

Concludiamo la nostra chiacchierata, non ti rifacciamo la tua domanda sull’italianità, perché te l’abbiamo già fatta, ma con una bella domanda che è arrivata da una tua follower che chiude un po’ questo cerchio. Diresti che è stato più difficile gestire la fase iniziale del lancio o l’evoluzione del brand?

L’evoluzione del brand, tutta la vita. Se hai i mezzi e hai le idee chiare, cioè i mezzi economici, di tempo, devi essere settato per iniziare. Se sei settato per iniziare, inizi e vai. Poi l’evoluzione, crescere il team, decidere come e in cosa investire di più, prendere decisioni sui mercati, prendere decisioni sulla distribuzione.

Buttarsi in realtà non è la cosa più paurosa, anzi, come ci hai detto, non bisogna avere troppa paura, però poi ci vuole tanta resilienza e tanta strategia per continuare a crescere, mantenere l’energia dell’inizio, quindi, come diciamo spesso nel podcast, i challenges non finiscono mai e ce ne sono in tutta la fase di crescita, dipende da quanto grande diventa l’azienda. Grazie mille Chiara, è stato bellissimo ritrovarsi sul podcast, raccontare un po’ la crescita di espressoh. Come abbiamo detto, siamo grandi fan, ti seguiamo da vicino e quindi grazie ancora di essere tornata con noi.

 Grazie mille a voi.

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