Le nuove sfide di una founder del Fintech con Benedetta Arese Lucini, Founder e CEO di Oval e Otter

 

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Benedetta Arese racconta la nascita di Otter, startup fintech che permette di usare gli investimenti già realizzati per ottenere un anticipo in contanti e ripagarlo quando vuoi.

Oval era stata fondata da Benedetta nel 2017 insieme ad altri tre co-founder per fornire servizi di risparmio e investimento semplici e intuitivi. La fintech aveva raggiunto i 100 mila utenti attivi e raccolto al 2019 oltre 11 milioni di dollari da due round di crowdfunding. Valutata 60 milioni di dollari e partecipata anche dal Gruppo Intesa Sanpaolo, Oval non era però riuscita a chiudere il suo successivo round di finanziamento a causa della pandemia. Impossibilitata a crescere, la società è entrata in procedura di amministrazione ed è poi stata assorbita dal broker ETX Capital.

Benedetta, con grande sincerità e trasparenza, ci spiega come ha affrontato qui momenti difficili e le lezioni che ha imparato. 

Col suo bagaglio di esperienze, Benedetta ha fondato Otter, la sua nuovissima startup fintech in rampa di lancio.

Con lei stavolta non ci sono altri founder, ma non è da sola in questa impresa.
La community che ha creato durante la sua avventura in Oval non l’ha abbandonata e rappresenta adesso un grande valore per lei, premiando la coraggiosa mentalità di Benedetta: Go Big or Go Home.

Ascolta la sua storia.

 

Benedetta, sei stata una delle nostre primissime ospiti del podcast e in quella chiacchierata ci avevi raccontato del tuo percorso e il lancio di Oval Money che è la start up che hai fondato subito prima della nuova, di cui parleremo, Otter, e da quell’episodio sono successe tantissime cose. Se iniziamo con Oval Money, le cose purtroppo non sono andate come avevate sperato, nel senso che il prodotto, anche se era stato molto amato, aveva una community grandissima di oltre mezzo milione di utenti, aveva un business model che è stato messo a dura prova dalla pandemia, in un periodo in cui stavate per chiudere ogni finanziamento che vi serviva per continuare la vita di Oval Money, che purtroppo è saltato. Poi avete trovato un’altra opzione, di completare una acquisizione con un grande player italiano, che anche questa non si è concretizzata, quindi vi siete trovati a dover mettere Oval Money in amministrazione, che poi è stata acquisita da IDX Capital, ma purtroppo la parte di azionisti che aveva messo i soldi in crowdfunding ha perso i soldi investiti nella start up. Oval Money continua ad esistere, però non con il futuro che avevate sperato come founder, quando si pensa di crescere e continuare a crescere una start up. Però questo è il mondo delle start up, per cui in questa chiacchierata volevamo parlare di questo, del tuo percorso dopo Oval Money, di quello che stai facendo adesso e quindi ti faccio una domanda iniziale per parlare di questo momento: quando è arrivata la pandemia, e stavate lavorando su Oval e avete capito che sarebbero arrivate delle difficoltà, come sono andati quei primi momenti, quali sono le prime emozioni che hai provato e una volta entrata in mood problem solving, cioè “come facciamo a risolvere questa situazione?”, su cosa ti sei concentrata?

 

Prima di tutto grazie di avermi rinvitata e complimenti perché vedo che il vostro podcast sta crescendo sempre di più, quindi sono molto contenta che continuate a portare nuove startupper, imprenditori e imprenditrici (tante imprenditrici) anche sul vostro podcast. Mi piace questa puntata perché voglio essere assolutamente trasparente, che è un po’ il mio modo di fare le cose. Sono sempre stata così e penso sia il giusto modo per poter fare il lavoro che faccio. Devo dire che le start up vanno bene, vanno male, sono un po’ un rollercoaster, quindi ci sono dei momenti buoni e dei momenti difficili e spesso si entra in versione problem solving. Quello che è stato complicato all’inizio del periodo della pandemia è che ci siamo trovati in una situazione di problem solving che non conoscevamo, perché innanzitutto non sapevamo quanto sarebbe durata. All’inizio della pandemia ci hanno chiusi tutti in casa, quindi non riuscivamo neanche a comunicare in modo semplice. È vero che ci sono mille tool e in start up lavoriamo sempre da remoto, ma è molto diverso nei momenti difficili se non ci si può neanche vedere e parlare. Poi, terzo, c’è stato un generale shut down del mondo del mercato degli investments, che non vediamo neanche oggi, che per esempio è un mercato abbastanza complicato per il mondo delle start up, ma comunque gli investitori continuano a rispondere alle e-mail. Invece all’inizio della pandemia c’è stata completamente una chiusura dove non rispondeva più nessuno alle e-mail, non c’era più nessun tipo di comunicazione con il mondo generale, perché nessuno sapeva cosa sarebbe successo. In più la criticità era quella che non sapevi per quanto tempo sarebbe durato, quindi la prima emozione è “oh my God, non so per quanto tempo devo gestire questa problematica”.

 

Questa cosa, per i nostri ascoltatori, succede a marzo/aprile, quindi veramente gli inizi del covid, quando non sapevamo nulla, ci eravamo appena chiusi in casa e non era il covid dell’anno dopo o di adesso che ovviamente abbiamo visibilità.

 

Esatto. Io avevo in programma di fare il closing del round di investimento intorno a fine aprile/maggio del 2022, quindi a inizio marzo eravamo proprio nella finalizzazione dei term sheet, quindi abbastanza avanti con il round. Quindi ti trovi in questa situazione abbastanza complicata, perché è vero che da imprenditore sai che dovrai gestire delle difficoltà, ma questa proprio nessuno se la poteva aspettare. Il problem solving in cui siamo entrati è quello di cominciare a capire quale era il budget che avevamo, quanto sarebbe durato e quali erano le cose facili che potevamo utilizzare per fare un po’ di cost cutting, che è la prima cosa che devi fare. Quindi, quanto può durare la tua start up senza finanziamento? E quindi queste sono le prime cose che abbiamo fatto. Poi ci siamo messi a cercare anche un compratore, come avete scritto, e quindi ci sono state diverse fasi nel processo e con uno siamo andati molto avanti. Quindi il problem solving spesso è sempre molto business oriented. Ovviamente quando tu arrivi alla fine di un round, e ti prepari per un round, i mesi prima sono probabilmente quelli in cui una start up spende di più, perché deve far vedere dei numeri positivi, quindi va marketing etc. Quindi ci siamo trovati in un momento in cui abbiamo dovuto tagliare completamente il marketing e però da lì abbiamo scoperto anche come usare al meglio la nostra comunità, quindi ci sono anche dei buonissimi learnings, nel senso che impari sempre meglio come utilizzare quelle poche risorse che hai nel modo migliore. Queste sono state le prime cose che abbiamo fatto.

 

Quando poi avete capito che le cose non sarebbero andate come dovevano, come ti sei sentita? Cosa avete fatto? Ci puoi raccontare brevemente anche questa parte del capitolo?

 

Sì sì, certo. Devo dire che non c’è mai un momento in cui dici “le cose non andranno”, nel senso che sei sempre a cercare la situazione migliore per la situazione in cui sei. Ovviamente la soluzione migliore primaria è continuare ad avere capitale per far crescere l’azienda, secondo è vendere l’azienda, la terza è trovare un modo per cui magari riesci a salvare i clienti, il brand, i dipendenti, il lavoro dei dipendenti etc. Quindi questo è stato il modo in cui farlo e poi sicuramente ti preparano gli acceleratori, gli investitori. La tua community ti prepara sempre a imparare come fare a crescere un’azienda, sicuramente non come portarla in amministrazione Lì c’è stato un sacco di learning, ho dovuto parlare con tantissime persone nel settore dell’amministrazione per capire come si fa, perché nessuno te lo insegna questo momento e nessun fondatore si prepara in modo positivo per il fatto di dover fare una procedura di amministrazione che è una procedura diversa da quella di bankruptcy o di fallimento. La procedura di amministrazione è proprio un modo in cui le aziende si mettono in questo stand-by proprio per trovare un compratore, ovviamente per un importo spesso più basso però comunque è una situazione di stallo. È questa situazione di via di mezzo che scegli di prendere ancora prima di aver finito la cassa, in modo da salvare quello che è salvabile. È stata quella la decisione grossa, di dire “non arriviamo fino alla fine che abbiamo 1€ sul conto” e lì devi fare il fallimento, la bancarotta (non so come vuoi chiamarlo in termini legali), ma vai in una procedura di amministrazione e in questo modo riesci a salvare il salvabile e vendere quello che è il valore dell’azienda, ovviamente senza la valorizzazione della sua crescita, però il valore che l’azienda ha creato.

 

Grazie mille ancora di essere stata così trasparente perché, come dici, non è una cosa a cui ti preparano, non è una cosa di cui si parla apertamente, quindi c’è un po’ di mistero intorno a questo processo. Quindi per i nostri ascoltatori, secondo noi, era una cosa molto importante da raccontare. Infatti nello spirito di trasparenza, sei stata anche molto trasparente al momento della vendita a IDX Capital, nel raccontare quello che era successo con Oval Money su LinkedIn, mettendo un grande post e raccontando quello che era successo. Come hanno reagito le persone nel tuo network? Che tipo di risposta hai avuto a questo momento?

 

Come dicevo prima, è sempre meglio anticipare le notizie che non farlo. Questo l’ho imparato, probabilmente, dalla mia esperienza in Uber, dove i media erano abbastanza difficili da gestire: se tu anticipi la notizia, non c’è più una notizia, quindi non raccontano le cose nel modo sbagliato. Ho scelto prima di tutto di fare una e-mail con i miei soci, congiunta ai nostri investitori, che era una e-mail privata che andava a loro. Poi, visto che loro erano stati informati, dopo un po’ di giorni, quando sapevamo che sarebbe uscita la notizia, io l’ho comunicato sul mio LinkedIn. Una delle cose che ho scoperto è che c’era una comunità, specialmente di altri founder, di imprenditori, di investitori anche, la comunità del mondo tech, che ha ci ha dato un sacco di supporto, nel senso che hanno apprezzato il lavoro che avevamo fatto, hanno capito anche le situazioni di difficoltà che abbiamo avuto e che comunque hanno voluto credere nel fatto che come imprenditori potevamo continuare. Ho avuto anche alcune persone che mi hanno proposto di investire nel mio prossimo progetto. Io a quel punto non stavo neanche pensandoci, però è stato comunque un segno di fiducia. Poi ci sono stati un po’ di commenti antipatici, non tanto dagli investitori, che erano i nostri investitori, ma più da alcune persone in generale che magari non conoscevano bene la situazione, che però sono stati comunque silenziati abbastanza online. Quello che ho trovato molto forte come supporto è stato quello sia dai dipendenti, futuri e quelli che c’erano ancora dentro, sia dall’universo tech, che conosce questo mondo. È meno chiaro per chi non fa parte di questo mondo che le start up hanno una vita. Penso che quando abbiamo cominciato a fare start up, è sempre stato chiaro per me e i miei soci che se noi dovevamo fare start up, la facevamo sul serio, nel senso che cresci o non cresci. Non volevamo fare l’impresa familiare, che va benissimo, è una scelta. Ci sono tantissime persone che scelgono quella impresa e quella è un’impresa che ha senso di esistere e deve esistere e certe persone vogliono fare quello. Ci sono altre, come me, che volevano fare una impresa grande, quindi sono arrivate ad assumere 60 persone, ad essere in più di un mercato, a crescere, con un business model che non era ancora profittevole che, aiutato da capitali esterni fomenta la crescita. C’è una differenza, e questi sono i commenti su LinkedIn diversi che si vedevano tra chi pensa che fare impresa sia solo l’impresa sicura, piccolina, single owner business, e l’impresa start up. Questo secondo me, in Italia, dimostra ancora una grossa lacuna nel cosa vuol dire fare start up, perché start up vuol dire proprio azienda a rischio, con capitale di rischio. Quindi sono proprio due diversi tipi di imprese che si vogliono fare. Io non giudico chi vuole fare una o l’altra, è assolutamente aperto, però quando vuoi fare start up, devi prendere questo rischio. Sono sempre stata ispirata da Travis, che era il mio capo in Uber, il fondatore di Uber, che diceva sempre “guarda che Uber è la mia terza impresa e alla terza impresa gli investitori mi hanno dato i soldi senza neanche sapere cosa stavo per fare”, perché in America il fatto che tu, e poi ne parleremo dopo, sei second time founder o third time founder, ti crea solo del valore. Le prime due sue aziende sono fallite, spesso per questioni esterne alla sua capacità, e quindi nel mondo delle start up così si fa. Poi ovviamente mi auguravo di fare meglio, però questo è e non mi ha scoraggiato dal riprendere, di scegliere di continuare a fare questo lavoro.

 

Esatto, mi ricordo proprio nella nostra prima intervista che dicevi che la tua ambizione con Oval Money era “go big or go home”, quindi di fare una vera start up che crescesse 10x, una start up che crescesse velocemente e che si meritasse i capitali di rischio e appunto come dicevi, dentro una start up c’è tantissimo rischio e questo è parte del mondo start up. Alcune vanno, alcune non vanno. Abbiamo parlato un po’ di quello che è successo e di come avete risolto, come siete entrati in problem solving e come siete arrivati poi al capitolo finale per voi con Oval Money. Ma se parliamo proprio di lezioni come founder, quali sono alcune delle cose che hai imparato e, non amo fare questa domanda, però cosa faresti diversamente se tornassi indietro? Nel senso, ora che hai avuto tempo di pensarci, ci sono delle cose che hai notato che magari sapendole adesso avresti fatto diversamente?

 

È troppo facile questa domanda, però la cosa che ho imparato è che noi abbiamo cominciato a fare start up in un mercato molto positivo, in cui il mondo degli investimenti stava solo per crescere, che tra il 2016, quando siamo partiti, e il 2021 (ha avuto un anno assurdo di investimenti in start up), a parte il ’20 in cui c’è stato il niente, sono stati mercati abbastanza positivi. Quindi tu crei start up con l’idea che il finanziamento che prendi ti porta ad avere un finanziamento futuro. Ti scegli gli investors con dei criteri basati anche su quale sia la crescita che vuoi fare e non vuoi fare. Forse una delle cose che ho imparato, non che farei diversamente, ma che faccio diversamente nella seconda volta, è proprio quello di definire meglio cos’è il worst case scenario, che poi non posso prevedere, perché il covid non l’avrei potuto prevedere, però quando cresci, di crearti anche un worst case scenario sempre. Non sempre essere solo positivi, che è necessario, ripeto, per fare start up, però avendo in testa due business model: uno da una parte con la crescita e l’altro con il worst case, quindi dove sono le parti dove puoi tagliare velocemente se ti ritrovi in una situazione di mercato sfavorevole; e poi l’altra cosa è di scegliere bene le persone. Il capitale ha un valore oltre ai soldi, quindi sceglierti bene gli investors che vuoi avere dentro. Una delle cose che penso di aver fatto bene è di aver avuto, anche tramite il crowdfunding, un network, un gruppo di investitori che sono sempre stati di grande supporto. Quello che ho fatto male è che non li ho usati abbastanza. Certe volte molti di loro mi hanno detto “perché non ci hai scritto quando ancora non sapevi che sarebbe andata male e noi ti avremmo potuto aiutare e trovare delle soluzioni?”. Quindi forse il concetto di reaching out…anche con gli investitori, con cui hai un rapporto un po’ complicato, perché vuoi sempre dimostrare che stai facendo al meglio con il loro capitale, invece essere anche più trasparente con loro, non alla fine, ma durante il processo, può essere molto utile. Una delle cose che sto pensando di fare e voglio fare con Otter è creare un gruppo di initial investors che è gente con cui io penso di poter avere un rapporto confidenziale e che possono aggiungere valore a quello che faccio. Sto proprio cambiano concetto, al posto di fare prima funding e prendere soldi, prima sto cercando le persone con cui mi piace interagire, da cui voglio imparare e poi dopo gli chiederò di entrare nel capitale. Sto un po’ rigirando la cosa.

 

Questo è un consiglio super interessante. Questa è una cosa che si vede spesso nel mondo start up, visto che quando sei founder devi vendere la tua idea costantemente, vendere il tuo progetto e anche quando le cose stanno andando male, devi comunque sempre essere positivo, perché non sai mai con chi puoi parlare. È vero che poi magari in una situazione in cui le cose veramente stanno andando male, non ti puoi fare aiutare se non lo dici, ed è anche un momento, immagino, solitario, perché già essere founder è una journey un po’ lonely, perché poca gente può capire le complicazioni e lo stress che stai vivendo, però quando devi sempre mettere su la faccia che tutto va bene quando magari le cose stanno andando male, è ancora più difficile. Ne abbiamo parlato poco fa e lo diciamo spesso sul podcast: fallire o che le cose non vadano come hai previsto, fa parte del gioco, del mondo delle start up. Ci sono ovviamente i fallimenti più piccoli e quelli più grandi. Tu in generale sul fallimento cosa pensi e in Italia, secondo te, come è visto?

 

Ho letto l’altro giorno una frase che mi è piaciuta molto: “people either take risks or work for people who do”, quindi sei o una persona che prende rischi, o scegli di lavorare per qualcuno che poi è quella persona che prende dei rischi. Non è sbagliata nessuna delle due strade, però prendere i rischi fa parte di quello che è il lavoro di un imprenditore e fa parte di quello che è il lavoro di una start up. Nessun imprenditore, nessuna start up di successo ti dirà che ha avuto un’esperienza facile. C’è sempre stato un momento critico, difficile, e veramente la probabilità di sopravvivere spesso è lo 0,% e ogni tanto ce la fai, ogni tanto non riesci. Quindi stai facendo un gioco di probabilità. Il fallimento…anche la parola in Italia viene usata in modo pesante perché il fallimento, come dicevo prima, la bankruptcy è una procedura molto complicata e anche qui non ci sono facilitazioni per un’azienda che vuole chiudere per poi cominciarne un’altra o per un imprenditore che vuole chiudere veloce. Quindi anche questo, tutto l’ambiente intorno al mondo del fallimento, rende veramente difficile la scelta di chiudere un’azienda. Quindi cosa fanno le persone? Prendono le loro start up e le trasformano in piccole società di consulenza in cui fanno dei micro-check e le tengono in vita. Quando ho lavorato al ministero, guardavo il numero di start up che ci sono (start up innovative). In Italia ce ne sono qualcosa come 8.000. Ai tempi erano 7.000 e qualcosa. Adesso saranno anche 10.000. Se avessimo davvero 10.000 start up, saremmo il paese con più numero di start up di tutta l’Europa e forse anche più della California. Il fatto è che le nostre non sono davvero start up innovative e tanta gente che sceglie di fare un’impresa, come dicevo prima, gli dà una sopravvivenza, ma di certo non sta né creando tanto valore per l’economia, né assumendo tante persone. Quando separiamo il concetto di fallimento come una cosa vista male dal fatto di fare veramente start up, e quindi giocare su questa probabilità e questo rischio, probabilmente riusciremo ad essere un paese davvero pieno di innovatori, perché le persone di talento, a mio avviso, ci sono. È il sistema che manca.

 

Assolutamente. Infatti noi sul podcast vogliamo portare queste conversazioni un pochino più mainstream per far capire esattamente che dopo un’esperienza difficile escono fuori, come abbiamo detto prima, tantissimi insegnamenti, un nuovo modo di fare, un nuovo modo di vedere le cose, ancora più resilienza e sicuramente una preparazione ancora migliore per la prossima, quindi fa parte del gioco, bisogna fallire. Dai fallimenti si impara tantissimo, anche perché quando va tutto bene può essere anche molta molta fortuna. Invece quando uno riesce a sistemare le cose quando magari vanno male, è bravura. Tra l’acquisizione di Oval Money e il lancio di Otter è passato un annetto e ti volevamo chiedere su cosa ti sei concentrata in questo ultimo periodo.

 

Nell’ultimo anno ho passato un po’ di tempo con la parte burocratica dell’acquisizione di Oval, ma una delle cose su cui mi sono lanciata di più, ed è una delle cose che mi piace davvero tanto fare, è quello dell’angel investing. Nel primo anno, quando si vuole cominciare un nuovo progetto…dopo un po’ di mesi avevo già un po’ messo insieme l’idea che avevo per Otter, che era un’idea che mi frullava nella testa da un paio d’anni. A un certo punto la volevo mettere dentro Oval, poi ho capito che era un prodotto un po’ diverso, per un target un po’ diverso, quindi mi era rimasta lì. Mentre frullavo l’idea di Otter, ed è una cosa che spesso dico a tanta gente che dice di voler cominciare una start up e mi chiede cosa fare: spesso tra quando ti viene l’idea e quando esci sul mercato, passa tempo, spesso anche più di un anno (sei mesi/un anno). In quei sei mesi devi pensare a qual è il tuo futuro, quindi se uno sta lavorando non licenziarti subito, perché comunque ti aiuta avere un importo che continui a guadagnare, perché nel mondo delle start up devi fare budgeting non solo dell’azienda, ma anche di te stesso. Io quindi ho fatto un po’ di consulenze, che era il mio modo di guadagnare un check ogni mese e nel frattempo facevo quello che è la mia passione, che è anche l’angel investing. Quindi ho anche rifocalizzato perché avevo più tempo e mi sono messa a investire molto di più su imprenditori italiani, che prima non facevo tanto e fare la angel proprio attiva, quindi cercare di aiutarli sia nella procedura di expansion, o di raccolta fondi, o comunque in generale di azione di vari e diversi progetti. Start up nel mondo fintech, ovviamente, sono le mie preferite perché penso che posso aiutare un po’ di più. E questo dimostra che ci sono anche degli imprenditori che volevano avermi come angel, non tanto per i soldi che andavo a portare, perché gli angel spesso non è che cambiano proprio il check che uno sta tirando su, ma anche per le competenze che uno poteva portare. Quindi ho passato un anno a fare questo e in più faccio la scout per un paio di VC, alcuni formalmente, alcuni un po’ più informalmente. Cos’è la scout? Ci sono Venture Capital che ogni tanto fanno fatica a trovare dei progetti e allora chiedono ad alcuni angels, che lo fanno anche abbastanza regolarmente, di sottoporli dei progetti che già loro stanno guardando. La tua credibilità, con il fatto che investi anche i tuoi soldi, crea un’attenzione maggiore per diversi VC nello scegliere di investire in start up, specialmente a seed level, perché quelle a seed level hanno pochissimo da dimostrare, spesso c’è solo un team, un’idea, poco mercato, hanno fatto poca roba. Quindi la conferma che ci siano degli angel che ci investono, aiuta i VC nel prendere una decisione. Queste sono state le cose che ho fatto, oltre a mettermi giù e fare tutta una serie di lavori che non avevo mai fatto, come Product Manager per Otter, per definire quello che era il prodotto che volevo creare. Avevo due developers che mi hanno aiutato a creare la prima piattaforma e tutti i vari test che ho dovuto fare…la parte di regulation, la parte legale etc., che ovviamente ha richiesto un sacco di tempo e quando lo devi fare da sola, usi pochissimi aiuti esterni.

 

Sì infatti adesso arriviamo a Otter, ma prima ti volevo chiedere, visto che hai cominciato a fare angel investing, specificamente in Italia o con imprenditori italiani, in che start up hai investito e che start up cool stai vedendo al momento che ti interessano?

 

Come dicevo, ho investito più che altro in start up fintech e anche i marketplaces, che è un po’ il mondo di Uber che rimane, quindi del delivery. C’è una start up di un fondatore che secondo me è super in gamba, che si chiama Macai, che fa last minute delivery; nel fintech ho investito in una start up che si chiama Vanilla Rocket, che fa tutta una cosa intorno al mondo degli NFTs, molto innovativa, anche se l’NFT ha degli ups e downs di mercato. Questa qua è più la parte tech, quindi ha anche tutto un lato molto sofisticato nella gestione/creazione di communities intorno agli NFTs. Ho investito in una start up che si chiama Komodo che è una alternativa al mondo del buy now, pay later. Queste sono quelle su cui ho già investito. Sto guardandone un paio di altre con cui sto lavorando e vediamo come va.

 

Giovanni Cavallo di Macai l’abbiamo anche intervistato sul podcast l’anno scorso e l’abbiamo menzionato adesso. Hai annunciato recentemente il lancio di Otter, la tua nuova start up nel mondo fintech, ma ci racconti un po’ di più cos’è Otter, com’è nata l’idea di questo tuo nuovo progetto?

 

Sicuramente. Io sono appassionata di fintech un po’ perché vengo dal background finanziario, poi mi piace molto come la tecnologia può democratizzare la finanza, quindi l’idea è che per una persona che comunque di finanza ne capisce e che trova che sia un mondo molto complesso…perché tanta gente invece è anche molto smart, che è accomplished, che ha fatto una grandissima carriera in altri settori, spesso il mondo finanziario lo ignora e  c’è una literacy/educazione finanziaria generale, in Italia, molto molto bassa. Non solo in Italia. In Italia specialmente, ma comunque anche in Europa. E ho avuto sempre questo pallino di dire come faccio ad usare la tecnologia per portare prodotti finanziari che sono spesso aperti solo a chi li conosce o ai super High Net Worth Individuals (quindi alle persone molto ricche) a tutti? Oval era un po’ anche questo, perché voleva portare il risparmio, il micro-risparmio, il micro-investimento. Otter si sposta un po’ dal mondo dall’investimento (non tantissimo), creando una soluzione che permette a chi ha già un piccolo portafoglio di investimenti di metterlo a pegno e ricevere un finanziamento. Quindi l’idea è questa: che oggi, specialmente con un mercato che scende, magari la gente si ritrova i suoi risparmi messi da parte per la pensione etc., che valgono meno di prima, o comunque non vuole spenderli oggi se ha una spesa inaspettata o se deve fare un progetto grosso, che può essere aprire una nuova impresa, piuttosto che ristrutturare casa e svariati altri progetti (quindi o emergenze o progetti); non vuole andare a disinvestire il proprio portafoglio, perché primo è in negativo e secondo l’ha messo da parte per la propria vita futura e quindi può metterlo a pegno, a garanzia con Otter, e ottenere un anticipo, come lo chiamo io, quindi un finanziamento in cui deve pagare solo il tasso d’interesse, non ci sono nessun tipo di rate, non c’è nessuna scadenza. L’unica cosa che viene richiesta è questa garanzia. Il portafoglio, per chiarire, rimane della persona, quindi gli interessi, i dividendi, la crescita, è sempre della persona. Il finanziamento può essere utile in un momento di difficoltà, di emergenza o piuttosto invece di crescita di una persona che vuole fare dei progetti ed è un prodotto estremamente utilizzato nel mondo del High Net Worths, quindi i private bankers lo offrono spesso, soltanto che richiedono spesso che tu abbia un portafoglio da mezzo milione/un milione in su. Per chi ha un portafoglio dai 5.000€ in su, che è quello su cui si concentra Otter, non c’è alternativa, oltre al prestito al consumo, che è di solito molto caro e che comunque ha delle rate ed è molto più complicato. Quindi, è un prodotto super semplice e che esiste da anni. Non ho inventato niente nel prodotto finanziario, ho solo cercato di semplificarlo e portarlo al mondo retail.

 

È molto interessante. Faccio un esempio personale, magari aiuta anche a visualizzarlo. Per esempio io mi sono trovata esattamente nella situazione che descrivevi. Ho appena comprato casa, la devo ristrutturare e avevo un budget limitato perché tantissimi dei miei soldi erano bloccati nel mio portafoglio di investimento, sia i miei sia quelli del mio ragazzo, e il mercato stava crollando ad ottobre novembre, quindi non volevamo…ci siamo ritrovati a decidere se vendere gli investimenti che avevamo a una perdita o chiedere un prestito e non sapevamo appunto…come dici, le opzioni sono limitate, quindi abbiamo preso una delle due decisioni, però saremmo stati degli user perfetti per Otter e sono sicura che tanti ragazzi della nostra età, di 30 anni, 35, 40, si trovano in quella fascia in cui hanno questo problema.

 

Devo dire che una delle cose che mi entusiasma di più di Otter è proprio quello. Ho passato anni a dire che è importante investire, mettere da parte, il risparmio è importante e continuo a pensarlo. Il fatto è che chiaramente, anche quando lavoravo in Oval o comunque andavo a parlare con un mercato di persone, di risparmiatori, spesso ti dicono “Sì, però io ai trent’anni sono gli anni in cui voglio investire, comprare casa, devo fare il viaggio di nozze, devo ristrutturare, voglio cominciare la mia piccola impresa, aprire un ristorante, voglio cominciare la mia start up”. Ci sono mille motivi per cui una persona ha bisogno dei soldi oggi e quindi è proprio questo il motivo per cui Otter è un anticipo, perché la nostra idea è che il tuo portafoglio, se lo tieni nel tempo e se è ben diversificato, nel tempo dovrebbe crescere. Quindi noi ti stiamo anticipando il beneficio futuro del tuo portafoglio, che al posto di beneficiarne a 70 anni, lo puoi usare oggi che sei negli anni migliori della tua vita. Quindi questo è il motivo per cui per me è super entusiasmante, perché non ti toglie il concetto giusto del risparmio per il lungo termine, ma ti permette di goderti la vita oggi.

 

È davvero interessante. Fino a che tipi di importi avanzate? Perché se stiamo parlando di 10.000-20.000 o anche di centinaia di migliaia di euro? È anche interessante capire un po’ il target.

 

Noi andiamo dai 5.000. Il tuo portafoglio deve avere un minimo di 5.000€ e può essere grande quanto vuoi. L’anticipo, per dare una media, sarà più o meno la metà del tuo portafoglio, poi dipende quello che hai nel portafoglio…varierà. Abbiamo un machine learning, un algoritmo, che ovviamente fa parte della tecnologia che ho creato, che analizza il portafoglio e ti dà un valore, sia di interesse, che deve essere pagato, sia il valore dell’advance, quindi dell’anticipo, che più o meno sarà sul 50%. Per renderla facile è più o meno il 50%. Quindi se uno ha un portafoglio di 20.000, fino a 10.000€. La cosa che è anche interessante di Otter è che l’abbiamo strutturato per essere il più semplice possibile e anche il meno caro possibile, quindi non ci sono costi di entrata, costi di uscita, si può pagare quando si vuole. Non ha una durata, non ha delle rate, si paga solo l’interesse e si paga l’interesse anche solo su quello che viene utilizzato. Quindi, per esempio, Camilla, nel tuo caso che devi ristrutturare, tu sai che avrai bisogno di 20.000€, ma non è che paghi tutti i fornitori prima, cioè li paghi nel tempo, le ristrutturazioni hanno bisogno di tempo, quindi già ti fai approvare 20.000€ da Otter, ma l’interesse viene pagato solo su quello che viene erogato nel momento. Quindi se ci metti sei mesi, ovviamente i primi mesi paghi molto meno di interessi e questo è anche un modo per essere flessibile, o per chi ha dei progetti a corto termine che sa che rientreranno certi soldini, può comunque ripagarlo velocemente, quindi non pagare tanto interesse. L’abbiamo cercato di fare nel modo più flessibile possibile. L’ultima cosa particolare è che spesso le banche offrono questa cosa ai High Net Worth Individuals che hanno i portafogli presso di loro, quindi che comunque devono avere i soldi investiti con quella banca stessa. Noi permettiamo alle persone di mantenere il portafoglio nella banca che vogliono (la loro banca di riferimento), devono solo metterlo a pegno, quindi dobbiamo fare un paio di carte con la banca stessa, che ci conferma il pegno, però questo permette anche alle persone di non dover cambiare banca o di dover mettere a pegno magari solo una percentuale del proprio portafoglio, senza dover far vedere a Otter tutto il proprio portafoglio. Anche questo crea riservatezza e tutta una serie di presidi di privacy che aiutano anche la persona a scegliere questa soluzione.

 

Una domanda che ti faccio che secondo me tanti ascoltatori che magari non sono…cioè fare un investimento o mettere i loro soldi in una nuova impresa, in una start up, quando uno mette i risparmi di una vita può essere…uno si dice ma in che modo questi soldi sono protetti se succede qualcosa a Otter? Perché comunque è una start up, come abbiamo detto prima, ad alto rischio. Come sono protetti i capitali delle persone?

 

Come dicevo, il capitale non deve neanche essere spostato. Può restare all’interno della banca. Se uno lo vuole spostare verso Otter, Otter ha delle banche partner, quindi vengono messi nelle banche partner e in Italia c’è una legge importante per i risparmiatori, che probabilmente tutti conoscono, che è il fatto che se i tuoi soldi sono all’interno di una banca (una banca regolata italiana), fino a 100.000€ sono protetti dal fondo di garanzia dei depositi. Quindi anche se quella banca fallisce, quindi se qualsiasi partner bancario di Otter fallisce, fino a 100.000€ che sono presenti su quel conto, lo stato italiano li ripaga ai risparmiatori, l’ha sempre fatto, lo fa in pochi giorni tra l’altro. È una delle poche cose che funzionano velocemente in Italia. Questo permette al risparmiatore di essere tranquillo nel dove mantiene i suoi risparmi, quindi li può o tenere dov’è la sua banca di fiducia o se vuole spostarli, ovviamente avere questa garanzia.

 

Bene, grazie per la spiegazione perché è utile anche per il tuo business, magari per trovare qualche nuovo cliente sul podcast. E invece come ha reagito il tuo network quando ti sei confrontata e gli hai raccontato che stavi lavorando a questa nuova idea?

 

Devo dire che è stato abbastanza interessante vedere come LinkedIn, o comunque il network che ti crei, può essere utile nel tempo. E questa è anche una cosa che ho imparato da Oval nei momenti di difficoltà, dove la nostra community si è anche molto attivata. Il fatto di creare una community ancora prima di creare il prodotto in sé, probabilmente come fate anche voi con il vostro podcast. La vostra community è quella che poi vi fa conoscere in giro e quindi la community sia di investitori che precedentemente avevano investito, e che sono anche interessati a supportarmi e a investire di nuovo, piuttosto che i vecchi clienti di Oval che mi dicono “mi interessa molto questa opportunità”, o gente che comunque io ho incontrato nei miei vari percorsi, da quando ero in Uber a quando sono andata in Oval, con cui ho lavorato in Rocket Internet, etc., o vengono a vedere se c’è opportunità di lavoro. Questo anche è interessante, quindi c’è sempre meno questa paura di andare in una start up molto piccola, e anzi il second time founder aiuta. Non avrei pensato, perché Otter è veramente piccola in questo momento, però vedo che c’è interesse, quindi toglie un po’ il rischio. Questo ho visto che aiuta. E poi questo concetto di creazione di community. Una delle cose che sto passando tantissimo tempo a fare è interviews, cioè parlare faccia a faccia con il mio network e ci sono persone che danno feedback diversi, alcuni molto positivi, alcuni negativi, alcuni critici su alcuni punti, ma è giusto così, che mi aiutano anche a definire un po’ qual è veramente il mercato che voglio targettizzare, perché io sono convinta che questo prodotto può essere usato per tantissime esigenze. Però, come sapete, quando uno comincia una start up, una delle cose che ti dicono è “focalizzati su un problema”, quindi voglio capire qual è il problema più ovvio, più imminente che posso risolvere grazie a Otter. Poi ce ne saranno tantissimi, però se è la ristrutturazione della casa, allora vado a cercare tante persone che hanno bisogno di Otter per questa specifica necessità. Non perché voglio escludere le altre. Adesso non voglio dire nel podcast che non c’è qualcuno che l’ha bisogno per altro. Non sto eliminando, però quello che sto facendo in questo periodo è che Otter è live, ma non ho ancora speso una lira di marketing. I clienti che mi arrivano sono di word of mouth perché sono persone con cui io voglio anche interagire, voglio capire quali sono le loro esigenze per poi, quando sono pronta a metterci i soldini di marketing, capire dove devo andare a targettizzare, che è il primo problema. Forse questa è una cosa che posso insegnare o comunque una delle cose che ho imparato nel fare start up, anche nel dare consigli. Tra i consigli che mi sono stati dati è che spesso c’è questa curva di apprendimento all’interno di una start up. Potete andare da Facebook, che adesso è enorme, a Otter, che è appena nata, ma focalizzarsi su quello che è il mercato dei tuoi early adopters è molto importante, perché quelle sono le persone che tu puoi convincere con meno sforzo e con meno soldi, quindi sono quelli che puoi raggiungere prima. Questo non vuol dire che il tuo mercato è grande così, è importante che hai nella testa qual è il mercato generale e, ripeto, dato che io penso che Otter si possa usare per tutto, una delle cose su cui sto veramente focalizzandomi è capire qual è l’esigenza primaria oggi per utilizzare Otter. Vi assicuro che per adesso ne ho un po’ di disparate, quindi se qualcuno vuole scrivermi e darmi la sua esigenza, mi aiuta molto.

 

È il famoso trovare, più che il product market fit, anche capire esattamente qual è l’esatto fit iniziale e poi cambiare con gli input. Il metodo credo che sia lì in start up cambiare con gli input che ti arrivano, così non sei fisso su un’idea ma riesci ad adattarti a quello che ti dicono i tuoi consumatori, che sono le lezioni importantissime da seguire, soprattutto all’inizio quando si lancia una start up. Quindi consigli molto molto utili. Una domanda perché abbiamo notato che, l’hai detto anche tu, sei partita come solo founder e anzi hai deciso di fare molte cose da sola già dall’inizio, anche cose che magari non avevi fatto nella tua vita passata, come il product manager. Perché questa scelta di partire in solitaria e di scegliere questo metodo in cui sei molto involved tu personalmente già dall’inizio e che hai messo tutte le basi da sola?

                                         

Questo è nato dalla situazione. Ho cominciato a fare Otter che eravamo ancora metà in covid e un po’ anche dalla mia volontà di usare quelle esperienze che ho avuto e sfruttare il più possibile quelli che sono stati gli insegnamenti della mia prima esperienza per riportare a farla da sola. Penso sempre che il concetto di founder è un po’ flessibile nel mondo delle start up, nel senso che comunque c’è spesso un founding team, quindi anche chi entra come employee number one, ha un modo di dover vedere l’azienda con il cappello da founder. È sicuramente una diversa esperienza lavorativa, perché probabilmente entra già con uno stipendio, o comunque entra già con una diversa impostazione di equity. Però, per me, sentivo che era necessaria…adesso ho 39 anni e quindi ho acquisito abbastanza esperienze da provare a farlo da sola, come founder, ma come dicevo prima, con un network molto più ampio di aiuto. Quindi penso che il co-founder o i co-founder ti danno quella certezza iniziale che dici “ho i miei co-founder e quindi sono sicura che tra di noi qualcosa capiamo e decidiamo”. Invece così mi creo anche più insicurezza, perché sei da solo e ti devi sbattere contro il muro e non hai tante persone con cui parlare, che mi forza a usare quel network che è un po’ quella cosa su cui voglio migliorare di cui ho parlato all’inizio. Quindi poi, anche come angel, non importa quanti anni ho lavorato, mi sento sempre inadeguata e questo forse è il feeling di un founder. Quindi dover metterti giù e imparare a fare le cose, che possono essere dal product manager di un’intera piattaforma a, banalmente, creare il link per fare il marketing online, quindi cose abbastanza banali. Dove vai, su google, a scrivere “how to…”? e leggi un sacco di cose. Questo certo senso di inadeguatezza, o del voler comunque continuare a imparare, è una delle cose che mi piace di più del lavoro del founder e del lavoro dell’imprenditore.

 

Abbiamo nominato spesso questa idea del second time founder, che banalmente vuol dire essere founder di nuovo, quindi partire con la seconda start up, la seconda azienda. Ci puoi parlare un po’ di più di cosa sono le cose che sono cambiate dalla prima alla seconda volta? Ed è tutto più facile la seconda volta?

 

No, tante cose sono più facili, ma non è tutto più facile. Sicuramente quel senso di inadeguatezza o comunque quella paura di partire è sempre molto grossa. Una delle cose che mi è successa è che avevo scritto, parlato, di aver fatto una nuova cosa, ma non volevo mai metterla online, perché finché non la metti online dici “è protetta”, quindi nessuno sa com’è e ti senti molto meno esposta. Appena metti il tuo progetto online è come se fossi nuda davanti a un sacco di gente che critica o che commenta. Questa sensazione rimane sempre, che tu sia first time o second time founder. Devo dire che nel mondo fintech, che ho scelto di continuare a fare…potevo fare una cosa completamente diversa, ma ho scelto di rimanere nel fintech, rimanere nel mondo degli investimenti, rimanere in un settore/mercato che conosco abbastanza. Questa cosa mi ha aiutato tanto. La prima volta, quando ho fatto Oval, non avevo neanche idea di cosa volesse dire “regolatori”, di come si dovesse regolare un’azienda; tutti i contratti finanziari, legali, terms and conditions, che bisogna fare; il fatto che devi fare il KYC (il controllare gli utenti fino in fondo), perché non è come Amazon dove ti iscrivi con la mail e basta. Quando ti iscrivi a Otter, vedrete, devi mettere un sacco di informazioni, quindi queste procedure quando le fai la seconda volta sei molto più confident. Penso che, e questo me lo diranno solo gli utenti, ho speso tantissimo tempo sull’onboarding, che è proprio la parte dove il cliente si iscrive alla piattaforma, per renderlo più semplice possibile nelle difficoltà che ci sono date dai regolatori, proprio perché ho imparato così tanto prima e mi dico “ora uso queste cose per renderlo più semplice”. Quindi ci sono tante cose che puoi portare avanti. Dall’altra parte, come dicevo, è sempre un nuovo progetto, è il tuo nuovo bimbo, quindi vuoi sempre che sia perfetto e non lo è, e quindi una delle cose interessanti che dicono sempre è “se il tuo progetto è perfetto, it means you launch it too late” (è troppo tardi), quindi “lancialo quando non è perfetto”. Però quella sensazione di lanciare una cosa che non è perfetta è sempre comunque come buttarsi giù da un burrone e vedere cosa succede.

 

Sono contenta che anche tu, dopo tutte queste tue esperienze, ti senti ancora così, perché vuol dire che non sono solo le persone che lo sperimentano per la prima volta quando si lanciano, ma rimane un po’ sempre. Nel mezzo di tutte queste avventure lavorative, hai anche avuto la tua prima bambina e quindi ti volevamo chiedere in che modo è cambiato il tuo approccio al lavoro. E poi, domanda personale…come donne trentenni che magari sono un pochino indietro a te, che però stanno pensando di avere una famiglia…tante donne magari si mettono dei limiti dicendo “no, non faccio la start up perché vorrei cominciare ad avere un figlio e non c’è maternity leave e non ci sono tutte quelle cose che un’azienda ti può dare” e quindi poi si bloccano e magari non lo fanno mai. Mi interesserebbe sentire la tua opinione a riguardo.

 

Prima di tutto non sono l’esempio migliore perché la mia prima bambina l’ho avuta a 38 anni. La cosa che mi ha fatto impressione è che a Londra, all’ospedale, mi hanno detto che sono average age, quindi vuol dire che nelle città in cui si lavora tanto, ci sono sempre più madri che scelgono di posticipare che, non dico che sia una cosa giusta (probabilmente non lo è), però è quello che succede nel mondo del lavoro. La mia bambina è arrivata un po’ per caso, non avevo fatto piani, vivo ancora in un appartamento dove siamo un po’ schiacciati e l’abbiamo messa nella cabina armadio perché non ho una seconda stanza. Fare la madre mi dà la stessa insicurezza di fare la start up founder, però ho avuto una bambina femmina e la cosa che penso che sia più importante è quella che dopo aver partorito…tante mie amiche mi avevano detto quando ero incinta “vedrai che quando diventi madre magari cambia il tuo atteggiamento verso il lavoro, vuoi fare solo la mamma” e io in un certo senso ero quasi spaventava da questa cosa, perché io amo lavorare. Mi piace quello che faccio. Invece la mia bambina mi ha dato solo una energia in più che non pensavo potessi avere. Sono sempre stata una persona che faceva mille cose e adesso mi sento che ne posso fare ancora di più. Sai che dicono “se hai bisogno di fare qualcosa, dallo a una persona busy”, ecco dallo a una madre busy. Le fai in un modo magari un po’ scoordinato, tipo stamattina ero in una board call mentre le davo la pappa, quindi sei un po’ meno presentabile ogni tanto, però ti dà una forza in più e quindi devi solo saperla gestire. Io non ho preso maternity leave, un po’ perché non avevo un lavoro full time e la consulenza mi permetteva di lavorare quando volevo. Sono tornata a lavorare full dopo pochi mesi. Ovviamente sono fortunata perché riesco a gestirlo con un po’ di help, però questa è una scelta, perché è vero che l’help è caro, però se lavori riesci a coprirlo. Molte mamme dicono “non ha senso, perché se spendi tutto il tuo stipendio per l’help, allora stai a casa”. Per me è più importante dimostrare alla mia bambina che la mamma che lavora è una cosa normale. Sono contenta di avere una figlia femmina, perché spero che nella sua vita la mamma che lavora per lei sarà una cosa normale, e che veda questa cosa come una cosa buona e che le permetta di capire che la mamma può guadagnare uguale al papà, che può essere la mamma a mantenerla, che può essere lei stesa poi a mantenersi. Se riprendo un po’ il mondo dell’educazione finanziaria, penso che per le donne diventare madri ti fa diventare ancora più financially conscious. Nel senso che, se vuoi, non puoi solo pensare di affidarti a un partner e dire “adesso mi affido al partner e mantiene sia me che la figlia”, ma poi in un istinto materno sei tu che vuoi dire “adesso voglio prendermi cura io della mia bambina” e quindi anche della sua crescita. Fai progettazione finanziaria anche per lei e diventi molto più consapevole, quindi questo è quello che direi. Sono sorprendentemente positiva. Non l’avrei mai detto. Mi sento sempre inadeguata, come madre, però questo…

 

Bisogna togliere il mito della perfezione. È giusto dire che già quando lavori tanto e sei founder e non hai figli, la vita è un casino. Se aggiungi anche un figlio, magari è ancora più bella ma è ancora più incasinata. Sicuramente diventi più efficace, questo è quello che dicono tutte le mamme, non sprechi un secondo della tua vita.

 

No, assolutamente. Il mio schedule e quello della mia bambina sono dentro lo stesso calendario e quindi so esattamente come gestire le due cose, più o meno.

 

Benissimo. Facciamo spesso questa domanda che ci piace molto, sul successo. Ti volevamo chiedere cosa vuol dire per te il successo e se ti ritieni una persona di successo o se magari non ti ritieni ancora una persona di successo e quando ti riterrai una persona di successo?

 

Per la stessa inadeguatezza di cui parlavo prima…dipende cosa vuol dire il successo. Io sono contenta e soddisfatta della strada che ho preso e quindi questa la trovo una cosa di successo, cioè riuscire a scegliere il proprio percorso e portarlo avanti, quindi avere l’ambizione di fare una cosa e farla. Questo per me è già un successo. Poi se uno parla di successo nel senso più ovvio, più canonico, nel senso che ha una start up e diventa una unicorn, allora abbiamo un po’ di strada da fare. Un’altra lezione che mi ha dato Travis, che mi è sempre piaciuta molto e che vorrei lasciare ai founder: il successo non è dato dal round di investimento che ricevi, ed è questo purtroppo che i media…fanno sempre e solo la notizia quando hai ricevuto un round, ma per la tua start up devi celebrare con i tuoi dipendenti o con i tuoi founder quando raggiungi degli obiettivi che ti sei messo. Io ho un po’ di obiettivi nella mia testa per Otter e quando li raggiungerò, quello per me sarà successo, non di aver raised 20 milioni o 100 milioni o X milioni di round o di evaluation. Questo combina un po’ il concetto di creare una business che ha valore, rispetto a creare una società che raggiunge solo obiettivi finanziari, di funding, che poi sono quelle che oggi stanno facendo più fatica, perché appena il mercato gira e i fondi non ci sono, le start up fanno fatica. Questa secondo me è la cosa più importante. Stavo leggendo l’altro giorno un post di LinkedIn…io ho letto tutti i libri del fondatore di BaseCamp. BaseCamp è un software molto grosso, usato da tantissime start up e loro non hanno mai fatto funding, sono cresciuti sempre organicamente. Adesso hanno millions di revenues e ovviamente fanno benissimo, ma quello viene considerato successo o no? Perché non hanno fatto la billion dollar funding, allora non hanno successo? Per me lui è uno dei fondatori che può essere considerato con più successo, quindi dobbiamo staccare un po’ l’idea di successo dall’idea di fundraising e questo è sicuramente quello che io voglio fare.

 

Bellissima questa lezione e questa risposta perché è vero che è molto da click-bating scrivere “ha tirato su 450 milioni e ha un miliardo di evaluation”, e come diceva Andre Di Camillo, che abbiamo avuto sul podcast (l’episodio è uscito questo lunedì), sono favole finché non si concretizza, cioè sono solo dei numeri e finché non vedi l’azienda, o non fai un vero profit, sono solo numeri un po’ in aria. Ci sono tante strade per il successo, infatti ci piace chiederlo perché ognuno ha la sua definizione. Grazie mille Benedetta per essere stata sul podcast, ti auguriamo un mega in bocca al lupo con Otter. Siamo sicure che è un prodotto che sarà validissimo e che piacerà a tante persone, quindi seguiremo la crescita e in bocca al lupo per tutto.

 

Grazie mille a voi e anche in bocca al lupo per le vostre start up e per Made IT.

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